Il canto smarrito della terra

frutteto Popoli senza tempo per viaggiatori… e turisti (in)consapevoli

Il tempo si è fermato in Africa, forse non è mai partito. Mentre noi dibattiamo questioni di lana caprina abitando una beata bolla di ignoranza, menefreghismo, tecnologia – e solitudine – loro sono sempre lì: se vanno avanti non si vede, svelati da un sole implacabile anche d’inverno. Un popolo, o meglio un insieme di popoli tanto diversi e tanto apparentemente uguali, come noi appaiamo a loro del resto. Con una cosa in comune, sempre quella da secoli: l’essere poveri, vittime di sfruttamento, corruzione, stranieri che rubano il territorio, le risorse, la dignità: fomentando guerre fratricide per interesse, o insinuandosi nei gangli vitali di un’economia sempre sul punto di partire, sempre una promessa. Prima i bianchi, ora i cinesi trovano in Africa pozzi per la loro sempre più avida sete. E agli africani le briciole della loro terra, nella loro terra. E poi vengono su da noi a “rompere le scatole”, sì, ne abbiamo bisogno ma insomma se solo potessero stare là, più contenti tutti: loro di certo, noi non so.
E poi i viaggiatori. Chi va in Africa per piacere – ma non solo – deve sapere cosa andrà a vedere. Sono grandi, grandiosi gli elefanti che sventolano le orecchione, e quei buffi ippopotami che fanno appena capolino, quasi si vergognassero di farsi vedere (buffi? Sono tra gli animali più pericolosi della savana). Gli uccelli, bellissimi, sfoderano un’ugola da far invidia alla Callas, roba che neanche i nostri usignoli. Gran classico i leoni, appollaiati per la consueta foto di rito, annoiati dalla nostra curiosità: “Dài, ragazzi, ancora una poi schiodano anche questi”. Animali che vediamo tutti i giorni nei documentari, perché solo in Africa si riesce a riprenderli facilmente, altrove nel mondo sono estremamente elusivi. Il sole al tramonto è così grande, fucsia, il cielo è viola. Di notte il firmamento è un tappeto di stelle (specie nell’emisfero australe). Perché non alzare gli occhi, a guardarlo a lungo in silenzio, anziché concentrarsi su se stessi, sulle proprie chiacchiere da bar, ed erudite dissertazioni sulla prossima cena?
Appunto, il cibo: cosa c’è di etico nell’essere in mezzo a gente povera, ma povera sul serio, miserabile e pensare solo al proprio – abbondante, superfluo – sostentamento? Non il viaggiatore, ma il turista (in)consapevole non vede l’ora di tuffarsi nella modernità, in qualcosa che gli ricordi la casa. Nelle città ci sono i supermercati: ma quanti possono rifornirsene? Ci sono più commessi che clienti. “Finalmente un centro commerciale”! Anche se a casa ci si sta tutto l’anno, e qui non si dovrebbe portarsela dietro. Spendere meno per i propri vizi di occidentale, e dare il di più a chi è lì a chiederti una penna, un quaderno, a venderti due banane per non sentirsi un mendicante. Appena fuori città, dieci minuti e sei catapultato in un mondo di capanne di terra e paglia, donne colorate col secchio sulla testa, due capre, quattro galline che razzolano in comunione con tutti, nugoli di bambini polverosi che fanno ciao ciao. Non c’è uno steccato, non c’è proprietà privata su animali, cose e persone. Sembrano due mondi diversi, opposti e ti chiedi perché? Il mondo senza tempo e quello – un pochino, solo un pochino – più…”civilizzato”. Perché gli altri sono… incivili. “A cosa pensano quei bambini che vedono arrivare una carovana di stranieri che fa cose strane (per loro) e tira fuori un sacco di cose inutili (per loro) e che magari stenta a sorridere?” si chiede l’amica Barbara. “Cosa vorrebbero dirci? Forse ci insegnerebbero a essere più sereni”. Forse, se non fossero malati e affamati. Gli ignoranti, i decadenti siamo noi, vecchi bianchi. Se loro ci appaiono figli prodighi incapaci di far fruttare i talenti, noi siamo i ricchi Epuloni che ci laviamo la coscienza con un po’ di carità pelosa.
Senza esagerare coi pistolotti – giusto restando in tema evangelico, tutti abbiamo una trave nell’occhio – il senso dell’Africa è nella semplicità, non quella di chi è sempliciotto, ma nell’essenzialità delle cose, della vita, dell’oggi: anche perché lì il domani… C’è un sentore di libertà mentale pari a quello dei leoni liberi dalle gabbie, ciascuno nel proprio mondo. C’è una memoria ancestrale a cui apparteniamo tutti (che ci piaccia o meno i nostri antenati venivano da lì), una dignità che si riflette negli occhi liquidi di una piccina venditrice di carbone triste come lei, o nello sguardo fiero e gentile, nel portamento nobile e paziente della brava guida, vera essenza dell’Africa. Un inno alla terra dalla quale siamo venuti e alla quale torneremo.

M. Teresa Emina

www.twana-adventure.com
e-mail: twanaadventure@gmail.com