Due immagini si sovrappongono sovente nella mia mente, quella del mio paese alpino ora abbandonato e quella sempre uguale delle periferie di una qualsiasi grande città occidentale in cui il lavoro mi ha portato. |
Sono la sintesi di un percorso dal medioevo al post moderno da cui prendo lo spunto per riflettere sul rapporto tra città e contado, di cui il Monte è parte
Le città, così come le viviamo ora, sono una evoluzione recente di un modello organizzativo vecchio di millenni, innescata nel XIIX secolo dalla prima industrializzazione.
Da allora l’inurbamento si è fatto imponente ed ha alimentato i consumi, la produzione di massa e la “società del benessere”, che per la Pianura Padana ha voluto dire la desertificazione delle Alte Terre che la circondano.
A livello globale tutte le aree urbane negli ultimi decenni sono cresciute in modo esponenziale ed è del tutto evidente che in un futuro prossimo tutto questo comporterà rischi significativi per gli abitanti, per l’ambiente e per la biodiversità, per il Nord Italia la situazione non è sicuramente diversa.
Non è un caso che si parli di “inurbamento” partendo dal lemma latino “urbs”, inteso come insieme di edifici e infrastrutture e non da “civitas”, che ha significato politico, organizzativo e geografico e riconduce al concetto di cittadinanza, una differenza che è sostanziale e caratterizza una deriva storicamente recente e legata all’affermarsi dei valori della civiltà occidentale.
Tutto questo non è connotato però da una solidità che possa far sperare in un avvenire sereno, l’occidente si caratterizza per una fragilità di cui ci siamo improvvisamente accorti l’11 settembre 2001, fragilità sempre più evidente con la crisi attuale, che non è congiunturale, questa è la prima crisi strutturale della modernità.
Nel secolo scorso c’è stata una rapida espansione urbana con enormi periferie degradate per le classi popolari, ora nelle città si è innescato un processo diverso, quello di una nuova stratificazione sociale che vede le classi medio-alte ristrutturare e occupare quartieri centrali, mentre le classi medio – basse si spostano in città satellite o più oltre.
La povertà, che negli anni ’50 era sui monti, ora è scesa a valle spostandosi in questi luoghi, ma è una povertà diversa, perché è senza quelle prospettive e speranze che accompagnavano l’esodo da quassù, ora non ci sono vie di fuga, le masse povere sono in un “cul de sac”.
La modernità aveva promesso il “benessere”, che però non ha coinciso con il raggiungimento della felicità personale, una questione molto più complicata e per un cittadino la tranquillità, l’aria pulita, una passeggiata nei boschi o un bagno al mare per staccare da ritmi e luoghi frenetici e stressanti, sono diventati una necessità e si è disposti a spendere quanto basta per una evasione settimanale da ambienti sempre più invivibili.
Ma veniamo a situazioni a noi prossime, torniamo in Piemonte con le sue pianure, colline e montagne.
Se in altri contesti geografici la metropoli mettono a disposizione verde pubblico, parchi e spazi aperti nel contesto urbano, in Piemonte questa necessità è meno sentita perché il verde, la pace e l’ambiente incontaminato è fruibile a pochi chilometri da casa, nelle Alte Terre che circondano una pianura completamente antropizzata e contaminata.
Questo porta il “Piè” a guardare al “Monte” come a un luogo di sfogo, come a una pertinenza che a tutti i costi si deve cercare di mantenere incontaminata ( almeno quella !!!), ovvio perciò che l’attenzione sia posta sull’ambiente e non sull’uomo che lo vive.
L’ambiente in pianura è ormai irrimediabilmente perduto, perciò preservare i monti è il modo per lavare la cattiva coscienza collettiva, perché allora non farne un unico grande parco naturale?
Due metri e due misure sono allora utilizzati dalla politica di gestione del territorio, uno per la pianura, dove è stato possibile disporre dell’ambiente senza alcuna limitazione, un’altro per il monte, dove l’attività umana è tollerata quasi come una presenza inopportuna.
Se a questo si aggiunge che le popolazioni alpine non sono assolutamente rappresentate nelle istituzioni a tutti i livelli, perché, con le regole attuali, sono le città a eleggere la quasi totalità dei rappresentanti, va da se che nella catena di comando questa impostazione “ambiente – centrica” prevale e gli interessi delle popolazioni alpine sono completamente esclusi.
Guardate che qui sta l’inghippo che va risolto.
Non ci troviamo di fronte a un confronto tra pari, ora sta tornando in modo evidente un confronto tra città e contado dai connotati medioevali e per un montanaro definirsi cittadino sta diventando un ossimoro.
Riflettendo dal Monte su quanto sta succedendo, mi pare però evidente che in questo momento storico paradossalmente chi rischia di più è la città ed è urgente porre le basi per un nuovo patto per recuperare assieme quella dimensione di “civitas” che una modernità effimera ha negato al monte e cancellato dalle città.
E’ solo unendo le forze tra due realtà che sono andate allontanandosi negli ultimi decenni che possiamo pensare a un avvenire possibile.
L’interesse è reciproco, non sarà facile, ma non vedo altre strade.
Mariano Allocco