Figli di un Vallone minore

paglieres Cos’hanno gli altri che non ha Paglieres?

Ottobre dal caldo insolito e preoccupante, ma ricco come sempre di colori strabilianti; l’alta valle non offre più un ventaglio così variegato di sfumature, il giallognolo dell’erba si perde nelle brume: è il momento del riscatto della media e bassa valle, quella che resta sempre un po’ in disparte, intimidita. Più timido di tutti il vallone di Paglieres, così vicino al fondovalle eppure così lontano, misconosciuto, se non fosse per quella borgata di Moschieres di tradizione acciugaia, e i ricordi partigiani. Il torrente che lo taglia e che alimentava l’invaso si chiama rio di Paglieres fino all’entrata del bacino, e di Combamala all’uscita. Montagne boscose e incolte che sembrano chiudersi in un abbraccio soffocante (“«Coùmbomalo», valle incassata, impervia” M. Bruno).
Ma c’è una sorpresa alla testata della comba: improvvisamente si apre una radura e occhieggia un laghetto. Non ha un nome, lo chiamano lago del Gourc dal nome della grangia lì accanto. Lo si raggiunge comodamente in meno di un’ora di cammino tranquillo sullo sterrato che conduce alla grangia uscendo dall’asfaltata per Celle e girando a sinistra nell’abitato di Bedale. Non si trova su tutte le cartine ed ha avuto un momento di visibilità nel calendario 2011 di Bruno Rosano. Trattasi in verità di un antico sbarramento umano ma con metodi naturali (niente cemento, grazie) per convogliare le acque del rio a consumo del bestiame. Infatti in estate non è particolarmente invitante: una mandria e un gregge pascolano tutt’intorno. Ma in autunno è una festa: betulle, ontani, larici, abeti, sorbo e altre varietà arboree si specchiano in acque ricche di trote: un maestoso faggio sembra fare il guardiano, mentre le punte rocciose che segnano il confine con la valle Grana – Rocca Cernauda, m. Chialmo, m. Cauri – ricordano «gite» ben meno rilassanti durante la guerra. Merita una breve escursione fotografica di mezza giornata, volendo si può proseguire fino al colle della Margherita in val Grana, o il quasi omonimo colle s. Margherita di Moschieres.
Sorge una riflessione sul destino di questo vallone: perché così negletto? Fino a una dozzina d’anni fa la sua gloria era la diga, ormai una cattedrale nel deserto. L’Enel fa orecchie da mercante, evidentemente non la ritiene competitiva: eppure si scava per fare centraline altrove, e addirittura si sogna il faraonico progetto del maxi-invaso anziché riqualificare ciò che già c’è. Ma anche nel piano di recupero ambientale-paesaggistico delle borgate non c’è una lira. L’Unione Europea ha sganciato soldoni per i soliti noti: Elva, Podio, Chiappera che è già un gioiello, Morinesio che lo è diventato, Marmora che sembra il Trentino. A Paglieres chi ristruttura è un privato che ci mette del suo: il resto crolla. Il GTA prosegue in cresta senza scendere, il neonato sentiero del Cauri sfiora solo l’altro versante. Un po’ poverino il nostro Paglieres, ma con dignità.
Ci sono valloni e vallonastri.

M. Teresa Emina