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Riuso e riciclo

Sembra un ottimo binomio per la salvaguardia ambientale e la conservazione di risorse, tuttavia il nuovo regolamento sugli imballaggi dell’Unione europea, che sarà pubblicato il prossimo 30 novembre, ha sollevato numerose perplessità.


La Commissione europea, in pratica, punta a far ruotare tutto attorno al concetto principale del riutilizzo e a ridurre la quantità di imballaggi immessi sul mercato, sollevando forti timori da parte di chi i rifiuti li ricicla. Secondo gli ultimi dati, in Italia sono più di 700mila le aziende che rischiano di essere travolte dalla nuova proposta di regolamento europeo che di fatto andrebbe a colpire il sistema economico del Paese che nell’industria del riciclo vanta un primato europeo.

Per Confindustria, che auspica uno slittamento degli impegni, il provvedimento potrebbe avere impatto su più di 6milioni di dipendenti. Si tratta praticamente della totalità delle aziende associate al Conai, il Consorzio nazionale imballaggi, a cui andrebbero aggiunte quelle del settore agricolo, della logistica e del packaging nonché i produttori di macchine per imballaggi. Nella bozza di testo è prevista anche una riduzione degli imballaggi generati pro capite del 5%, entro il 2030, del 10% entro il 2035 e del 15% entro il 2040. È indubbiamente un fatto positivo, ma che incide in modo pesante sul concetto di riciclo sviluppato negli ultimi trent’anni con la messa a punto di tecnologie efficaci per dare nuova vita a quella gran parte di rifiuti che può essere recuperata. Un ambito in cui l’Italia eccelle visto che nel 2020 ha dato recuperato 371mila tonnellate di acciaio, 47mila di alluminio, 4 milioni di carta, quasi 2 milioni di legno, 1 milione di plastica, 2 milioni vetro. Circa 10 milioni di tonnellate di materiale complessivamente, a dimostrazione di quanto il Paese si sia attivato.

Dati ancora più recenti (Rapporto Unirima 2022) ci dicono che l’Italia, in Europa, è seconda solo alla Germania per il riciclo della carta con circa 7 milioni di tonnellate di carta da macero (+3% rispetto all’anno precedente) recuperate. Ecco dunque le ragioni del conflitto: la necessità di ridurre drasticamente la quantità di imballaggi immessi sul mercato contro un’eccellenza italiana che già ne avvia al riciclo oltre il 70% del totale e offre grandi opportunità di lavoro.

Oltre alle fondate paure dell’impatto del regolamento europeo, per l’industria del riciclo si è aperto un altro difficile fronte. I consistenti aumenti dei prezzi dell’energia stanno facendo emergere criticità nella filiera. Una crisi che sta travolgendo imprese del riciclo messe a dura prova dal caro bollette e dalle difficoltà di approvvigionamento. Molte rischiano di chiudere interrompendo il virtuoso percorso che porta all’immissione sul mercato di prodotti provenienti dalla valorizzazione dei rifiuti. Un effetto domino che rischia di vanificare gli sforzi fatti per prevenire la dispersione dei rifiuti in discarica.

Sergio Tolosano

Nuovo ospedale di Cuneo, semaforo verde

Ne avevamo parlato ad agosto, evidenziando le fondate preoccupazioni di molti. Ora per il nuovo ospedale di Cuneo sembrano superate alcune difficoltà e l’assessore regionale alla Sanità, Luigi Icardi, azzarda addirittura una data per l’inaugurazione: il 2028. Cinque anni di lavori, nell’area Carle di Confreria, con inizio a primavera 2023.


Qualche anno fa l’Ares Piemonte ricordava che gli ospedali piemontesi sono fra i più vecchi d’Italia. L’Agenzia regionale della sanità è stata chiusa, tuttavia ogni anno l’Ires, l’Istituto di ricerca della Regione, pubblica un monitoraggio sulla “qualificazione edilizia e funzionale degli ospedali pubblici regionali”. Negli ultimi anni i dati oscillano un po’ ma la sostanza non cambia. Il report del 2021 rileva che con l’ingresso della nuova struttura di Verduno si sale solo di qualche decimale nei punteggi: il 62% delle strutture ospedaliere risulta critica per obsolescenza, 31 su 50 non sono attuali rispetto ai requisiti di riferimento. Fatta 100 la loro vita utile, queste 31 strutture si presentano con un’età superiore a 70.

Anche il Santa Croce e Carle di Cuneo, nato a metà degli anni 50, è stato definito inadeguato. “A metà novembre istituiremo la Conferenza dei servizi per il nuovo ospedale di Cuneo con tutti i soggetti interessati” ha assicurato il presidente della Regione Alberto Cirio il 6 ottobre scorso, alla presentazione del nuovo reparto di terapia semintensiva del Santa Croce. In tale sede si dovrà anche decidere se sarà l’ente pubblico a realizzare la struttura, come previsto in un primo tempo, o se interverranno aziende private che già hanno avanzato proposte. Cirio ha poi aggiunto “… è evidente che Cuneo è, è stato e lo sarà in futuro l’ospedale di riferimento di tutta la provincia e non solo”.

Affermazioni incoraggianti che vedremo alla prova dei fatti nei prossimi mesi. Ci sono novità anche per il nuovo ospedale unico del Quadrante Nord Ovest. Il 17 ottobre, Cirio e Icardi, in un incontro a Savigliano, hanno indicato l’area proposta per la costruzione del nuovo complesso sanitario, lungo la direttrice Saluzzo-Savigliano. Il progetto del nuovo ospedale di Saluzzo-Savigliano-Fossano prevede 325 posti letto, 57 posti tecnici, 19 sale diagnostica, 8 sale operatorie, 2 sale emodinamica e cardiologia interventistica, 4 sale blocco parto e 34 ambulatori, dimensionati per 17 mila ricoveri ordinari, 170 mila esami di diagnostica, 10 mila interventi chirurgici, 1.200 parti e 160 mila visite all’anno.

Sergio Tolosano

Preoccupazioni per il S.Croce-Carle

Da alcuni mesi la stampa provinciale evidenzia timori e preoccupazioni sul futuro dell’ospedale Santa Croce- Carle e si parla con insistenza di un depotenziamento della struttura a favore del nuovo insediamento di Verduno (Alba).


Per il nuovo ospedale pare tramontare l’idea che a realizzarlo sia l’Inail e compare quella pubblico-privato. Il progetto arriva dalla Inc, società del gruppo Fininc, holding torinese in lizza per la realizzazione del Parco della Salute di Torino. Non possiamo smentire né di confermare le preoccupazioni dei cittadini, tuttavia ne abbiamo colte nella relazione della Corte dei Conti di Torino che, lo scorso 27 luglio, ha certificato il bilancio regionale 2021. Bilancio che nel suo complesso riduce l’indebitamento ma che evidenzia criticità proprio sul fronte sanitario. Il capitolo Sanità è di competenza regionale e vale il 75% dell’intero bilancio.

La spesa sanitaria della Regione (comprese le partite di giro) supera di poco gli 11 mld di euro a fronte di entrate maggiori. In particolare la Corte rileva che il Piano sanitario Regionale è stato approvato nel 2012 ed è scaduto ormai da sette anni, manca cioè una cornice generale nella quale inserire gli investimenti. Investimenti che, peraltro, sono piuttosto scarsi poiché le voci in uscita sono quasi soltanto spesa corrente. Si rileva anche che la Regione ha approvato a gennaio 2022 un piano di realizzazione di sei presidi ospedalieri, per complessivi 1,2 mld di euro, tra cui quello di Cuneo (310 mln).

La preoccupazione della Corte emerge a pag. 78 della relazione generale “ … si deve notare come dall’analisi del dibattito in Consiglio regionale e nelle relative commissioni, traspaiano scelte programmatorie soggette a continui mutamenti, fatto questo rilevato più volte dalla stampa e dall’opinione pubblica in numerose occasioni”. “La questione della programmazione della spesa per edilizia sanitaria fa il pari con quella della mancata approvazione del nuovo piano sanitario regionale e non può che determinare preoccupazione, anche e soprattutto a fronte di possibili danni erariali discendenti dall’avvio di costruzioni di nuovi presidi e da quello di ristrutturazioni di presidi che poi non risultano più ricompresi nella programmazione e che, quindi, vengono abbandonati o non completati o che, spesso, rimangono allo stato di progettazioni anche esecutive o di dettaglio”.

“In altri termini appare preoccupante notare come si siano appalesate scelte gestorie di impegno e pagamenti di spesa a valere su nuove strutture ospedaliere e su ristrutturazioni delle stesse, allorché queste poi non sono più state individuate come strategiche nei quadri programmatori regionali e negli accordi di programma con lo Stato centrale”. In queste tre frasi della Corte dei Conti appaiono più nuvole che … sereno.

Sergio Tolosano

L’estate che non ti aspetti

L’estate che non ti aspetti. È opinione diffusa che l’Italia sia in campagna elettorale perenne, d’altro canto elezioni politiche a fine estate non molti se le attendevano.


Difficile capire i perché di questa crisi, tanto più che gli “strappi” fino ad ora erano sempre stati ricuciti, difficile anche attribuire responsabilità o meriti in questa fase pur se, indubbiamente, alcuni partiti hanno tenuto comportamenti più responsabili di altri in un momento complicato per il nostro Paese, ma anche per il resto del mondo.

Insomma, attendere la fine naturale della legislatura era questione di pochi mesi e probabilmente si sarebbero potute assicurare alcune tappe importanti. L’Italia ha messo a punto un PNRR (191,5 mld dall’Unione e 30,6 mld dal Governo) di portata estremamente rilevante e, checché se ne dica, è la nazione che ha avuto la maggior dotazione economica dall’Europa. Circa il 25% dei 750 mld dell’intero finanziamento Next Generation EU 2021-2027. È pur vero che questi contributi dovranno essere restituiti in buona parte, ma il 35% sono a fondo perduto, se pur condizionati da precisi obiettivi di riforma.

Le elezioni saranno dunque una corsa contro il tempo per raggiungere obiettivi in funzione UE e legge di Bilancio entro dicembre, così da evitare l’esercizio provvisorio per il 2023. Si torna al voto il 25 settembre con la vecchia legge elettorale (questa volta le Camere non hanno fatto in tempo a cambiarla) ma con Camera e Senato ridisegnati dal taglio dei parlamentari, questo sì in vigore, che da 945 passano a 600. Tempi stretti per la presentazione dei simboli elettorali (14 agosto) e per le liste (22 agosto), mentre subito dopo partirà ufficialmente la campagna elettorale, che si preannuncia dura, e si concluderà il 23 settembre.

La sola certezza è quindi la decisa diminuzione dei parlamentari, difficile azzardare se ci sarà una vittoria netta di qualche coalizione e se il paese sarà più governabile di prima. Se pensiamo che in questi quattro anni e mezzo abbiamo assistito a tre governi espressione di alleanze anomale prima e di un tentativo di unità nazionale con un premier tecnico poi, mentre il Parlamento ha dovuto richiamare in servizio un Presidente della Repubblica al termine del suo mandato, dopo aver bruciato una lunga teoria di candidati e se a questo aggiungiamo il calo di votanti nelle consultazioni recenti, le premesse non sono delle migliori. Resta il fatto che il voto è un esercizio di democrazia e per quanto disillusi e sfiduciati è bene non rinunciarvi.

Sergio Tolosano

La siccità preoccupa

Nel Paese, in particolare al Nord e soprattutto a Nord ovest, è ormai evidente l’allarme siccità. Precipitazioni pressoché nulle negli ultimi sei mesi e nevicate del tutto inconsistenti, gli ingredienti principali della crisi idrica. Una crisi che coinvolge il settore agricolo e l’uso idro-potabile, ma incide pesantemente anche sulla produzione di energia.


Attualmente il 44% dell’energia prodotta in Italia arriva da fonti rinnovabili e il 45% di questa quota è di origine idroelettrica, l’impatto della siccità quindi è evidente, ma non basta, anche il termoelettrico ha bisogno di acqua come mezzo di raffreddamento. Al 23 giugno, dice Agostino Re Rebaudengo di Elettricità Futura, la produzione idroelettrica è ridotta alla metà dell’usuale e pure quella termoelettrica è in calo sensibile, fino ad un terzo di perdita. Per di più, in questa situazione, si sta creando una contrapposizione tra produzione di energia e usi irrigui.

Sul fronte idro-potabile non c’è da stare allegri. Anche nella nostra zona allarmi, inviti e ordinanze per usare al meglio la risorsa si accavallano. Alla diminuzione o esaurimento delle sorgenti di captazione e agli sprechi, occorre aggiungere anche la dispersione in rete. Il CNR (Consiglio nazionale delle Ricerche) afferma che la dispersione raggiunge livelli del 70%. Il dossier Acque in rete 2021 di Legambiente, che differenzia da Nord a Sud, lancia un analogo allarme: perdite medie del 26% nei capoluoghi del nord, del 34% in quelli del centro, del 46% nei capoluoghi del Mezzogiorno. E capoluoghi al limite, come Frosinone, con perdite fino al 78%. Se poi consideriamo che l’Italia detiene il record di prelievo pro capite in Europa di 156 metri cubi per abitante – con tali perdite – è facile comprendere quale sia la necessità di acqua.

In questo breve spazio non si può approfondire, ma è evidente che bisogna agire subito e in modo serio. Da un lato programmare interventi di vera efficienza della rete, individuare e incentivare soluzioni di risparmio della risorsa e da parte dei cittadini acquisire più consapevolezza del valore dell’acqua e ridurre quelle piccole situazioni di spreco che, moltiplicate per milioni di persone, fanno grandi numeri. Aggiungiamo un ultimo dato: il recente rapporto della Guardia di Finanza sull’attività 2021 ha evidenziato un totale di 5,6 mld di euro di truffe sui “bonus Edilizia” con 2,5 mld di crediti inesistenti sequestrati. Una cifra molto significativa che, se fosse legata al risparmio idrico e con i dovuti controlli, potrebbe avere effetti importanti.

Sergio Tolosano

Se le api scomparissero

Se le api scomparissero, all’uomo rimarrebbero soltanto quattro anni di vita. Partiamo da questa frase attribuita al Albert Einstein, che secondo molti studiosi lo scienziato non ha mai pronunciato e forse nemmeno pensato, che pone comunque in evidenza l’importanza del ciclo biologico delle api nell’impollinazione di centinaia di migliaia di specie vegetali.


Lo scorso 20 maggio si è celebrata la quinta Giornata mondiale della api e l’ISPRA (Istituto superiore per la ricerca e protezione ambientale) ha organizzato una tavola rotonda con sette ricercatori che hanno illustrato la complessa organizzazione sociale delle api, i benefici che procurano all’uomo attraverso i loro prodotti e le numerose minacce a cui sono sottoposte per mano dell’uomo e della natura. Allo stesso tempo, Coldiretti sottolinea che dall’impollinazione dalle api dipendono, in buona misura, ben 3 colture alimentari su 4, come mele, pere, fragole, ciliegie, cocomeri e meloni, secondo la Fao, ma l’impollinazione operata dalle api è fondamentale anche per la conservazione del patrimonio vegetale spontaneo.

Sempre secondo Coldiretti, in Italia esistono più di 60 varietà di miele a seconda del tipo di “pascolo” delle api e dall’elaborazione sui dati del rapporto dell’Osservatorio nazionale miele ci sono 1,5 milioni di alveari curati da circa 73mila apicoltori dei quali oltre 2 su 3 sono hobbisti che producono per l’autoconsumo. In crescita la presenza di giovani con le aziende apicole condotte da under 35 che sono aumentate del 17% negli ultimi cinque anni (elaborazione Coldiretti su dati Unioncamere). In Italia si consuma circa mezzo chilo di miele a testa all’anno, poco sotto la media europea che è di 600 grammi, tuttavia, più di 1 vasetto su 2 di miele viene dall’estero a fronte di una produzione nazionale stimata pari a 18,5 milioni di chili nel 2020. Per evitare di portare in tavola prodotti provenienti dall’estero, spesso di bassa qualità, occorre – consiglia la Coldiretti – verificare con attenzione l’origine in etichetta oppure di rivolgersi direttamente ai produttori locali nelle aziende agricole, negli agriturismi o nei mercati di Campagna Amica.

Oltre al pericolo pesticidi utilizzati in agricoltura, anche il clima condiziona pesantemente l’attività negli alveari. Tanto le gelate tardive della scorsa primavera, quanto il caldo eccessivo di questa limitano la raccolta del polline, aggravando una situazione che nell’ultimo anno ha visto dire addio a un vaso di miele italiano su tre proprio per effetto dei cambiamenti climatici; eventi estremi che hanno compromesso sensibilmente la vita nelle arnie. L’ape, da sempre simbolo di laboriosità, ci invita ad agire senza indugio per porre un freno all’inquinamento. Insomma, salvare le api per salvare anche noi stessi.

Sergio Tolosano

Montagne nuove

Questo mese usciamo dalla Valle ma non andiamo lontano. Parliamo di due comuni entrambi montani ed entrambi in provincia di Torino, due idee di rilancio che puntano sull’ambiente e sulla scuola.


Uno, Lemie in Val di Viù (Valli di Lanzo) a quota 960 m con poco meno di 200 residenti, ha messo a punto un progetto di taglio selettivo dei boschi, sia di privati che di proprietà comunale, che consenta di immagazzinare carbonio. Si tratta di un’idea tutto sommato semplice: dare un valore economico a ciò che i boschi fanno da sempre, ripulire l’aria aiutandoli, allo stesso tempo, a farlo ancora meglio. In pratica, il Comune, fra i primi in Italia, ha la possibilità di vendere crediti di carbonio sul mercato libero alle aziende che devono compensare le emissioni e contemporaneamente può migliorare la gestione dei boschi con i finanziamenti delle stesse aziende inquinanti che in questo modo certificano la compensazione delle proprie emissioni dannose per l’ambiente. Il progetto – definito “Piano forestale aziendale” – è a medio termine (15 anni) e presuppone un recupero complessivo di oltre 8mila tonnellate di CO2 emessa.

Il comune di Ronco Canavese, stessa quota e poco più di 300 residenti, ha deciso invece di investire sulla scuola. Parte da lontano questo intervento, da quando nel 2007 il paese ha perso la scuola primaria statale ed ha deciso di ricorrere ad pluriclasse comunale avviata con l’aiuto dell’Unione montana Valli Orco e Soana, attraverso fondi regionali per le “scuole di montagna”. Quella scelta si è dimostrata vincente non solo perché ha evitato il trasferimento giornaliero degli allievi, che nel frattempo sono anche aumentati, nella statale a fondovalle, ma dal solo mantenimento della scuola si è andati oltre.

Il «Bonus scuola» insieme a Valprato, le Lavagne Interattive Multimediali (LIM), le attività extra (musica, sport invernali e l’inglese nella settimana di scuola all’aria aperta), l’insegnamento del francoprovenzale, la dotazione di un notebook per ogni alunno e il registro elettronico grazie alla collaborazione con l’IC di Pont Canavese. Importantissimo, infatti, il riconoscimento degli alunni nel sistema del MIUR e la programmazione didattica realizzata nell’ambito di quella dell’Istituto Comprensivo. Nel 2021, poi, il Comune ha ottenuto una seconda insegnante, assunta per l’intero anno scolastico. Grazie a questo risultato è stato possibile attivare il tempo pieno per il periodo gennaio-giugno 2022. Istruzione e ambiente dunque due risorse fondamentali su cui investire e progettare un futuro per le nostre montagne.

Sergio Tolosano

Segnali incoraggianti

Un titolo che appositamente non chiude con un punto interrogativo poiché vogliamo dare fiducia a un rinnovato senso di comunità che sembra trasparire da alcuni importanti atti delle amministrazioni locali.


Partiamo dall’approvazione di una richiesta dell’Unione montana affinché gli organi competenti, dal Governo alla Regione, si facciano promotori di misure che garantiscano il servizio di medicina di base generale e pediatrica, nonché di guardia medica nei piccoli comuni dei territori montani. Oltre a consentire di garantire il fondamentale diritto alla salute dei cittadini, peraltro sancito dalla Costituzione, la presa di posizione dell’Ente montano indica, a mio modesto avviso, anche una visione di sviluppo responsabile dei nostri territori dove la salute non è un costo ma un investimento.

Altro segnale positivo è la creazione con la Provincia del Servizio Europa Interventi Strategici (SEIS) mediante la stipula di una convenzione poliennale con l’Amministrazione provinciale che si pone l’obiettivo di progettare e attivare un modello di gestione associata delle fasi di ricerca del finanziamento, di gestione e di rendicontazione per interventi strategici del territorio provinciale. Se non correrà il rischio di diventare un nuovo carrozzone burocratico, il coordinamento previsto potrà offrire opportunità interessanti anche per i piccoli comuni, da sempre alle prese con difficoltà rilevanti nella progettazione e nel reperimento di fondi. Un terzo segnale positivo vogliamo individuarlo nella solidarietà, espressa anche con atti formali delle amministrazioni locali, per cercar una soluzione reale e fattibile per la strada di Vallone di Elva – che nonostante i molteplici interventi della Provincia sull’alternativa Stroppo-Elva –potrebbe rappresentare per il piccolo comune dell’alta Valle un collegamento più rapido e diretto con il fondovalle. Analogamente, anche per il fondovalle qualcosa si sta muovendo, e ne parliamo ampiamente in queste pagine, in merito alla viabilità nel centro storico di Dronero, dopo gli ultimi e sempre più frequenti incidenti. Comune, Provincia, Regione, imprenditori e amministrazioni limitrofe si parlano e si auspica possano trovare delle soluzioni utili, alcune più immediate, altre più di lungo respiro ma definitive.

Uno sviluppo sano non può prescindere da un piano generale nel quale incasellare di volta in volta progetti compatibili. Per esempio le tre distinte zone artigianali – legittimamente pensate e realizzate da ogni singolo comune di fondo valle – per quanto funzionali in sé, devono fare i conti con il grave problema del collegamento viario tra di loro e con l’esterno. Un filo lega le tre questioni di cui abbiamo parlato, ovvero la necessità di dialogare e di “fare gruppo” per proporre idee condivise che vedano il territorio nel suo insieme.

Sergio Tolosano

Usa e getta

Il 14 gennaio, in Italia è entrata in vigore la direttiva SUP (Single use plastic), voluta dall’Unione europea per ridurre il consumo di plastica monouso e limitare la sua dispersione nell’ambiente e negli oceani. La direttiva dell’Unione (904 del 2019) è stata recepita dal Decreto 196 del novembre 2021 che pone un deciso freno alle plastiche monouso.


Alcuni prodotti, cui siamo fin troppo abituati, se realizzati con plastica tradizionale, non potranno più essere commercializzati mentre è concesso l’esaurimento di eventuali scorte. Ne citiamo alcuni: bastoncini cotonati (già vietati in Italia); piatti, posate, cannucce, agitatori per bevande e bicchieri; palloncini e aste per palloncini; contenitori in polistirene per asporto e consumo diretto di alimenti. Il decreto fissa degli obiettivi ambiziosi anche per le bottiglie in plastica. Dal Luglio 2024, i contenitori per bevande in PET, dovranno contenere almeno il 25% di PET riciclato entro il 2025 e almeno il 30% a partire dal 2030.

Nel testo italiano, emesso con alcuni mesi di ritardo rispetto ai tempi fissati, compaiono però alcune deroghe alla direttiva e per questo motivo il Decreto è già finito sotto la lente dell’Unione Europea che poco prima di Natale ha invitato il Governo a rivederlo entro il prossimo 23 marzo, pena il rischio di avvio di una procedura d’infrazione. Potremmo dire – come abitualmente succede con le direttive europee – “tardi e non bene”. La direttiva, antecedente allo scoppio della pandemia Covid, non contempla però mascherine e guanti monouso di cui in questi ultimi due anni si è fatto uso massiccio. Uno studio pubblicato su Environmental Science & Technology, stima che siano 6,8 miliardi le mascherine usa e getta utilizzate in tutto il mondo ogni giorno. Questo numero da solo spiega l’importanza del loro corretto smaltimento a fine vita. Studi e progetti sperimentali per il loro corretto recupero sono in corso a livello universitario ed industriale.

A questo proposito vale la pena citare ancora un progetto sperimentale messo a punto dal Politecnico di Torino (sede di Mondovì). L’iniziativa è partita dai ragazzi del “Circolo delle idee” nel giugno scorso, con le mascherine raccolte tra gli studenti del Liceo Beccaria-Govone di Mondovì ed inviate alla sede staccata del Politecnico. A coordinare il progetto, il dott. Daniele Battegazzore, ricercatore del Politecnico che lavora ad Alessandria. “L’idea è recuperare la parte di una mascherina chirurgica (circa il 70%) che è realizzata con materiali che possono essere lavorati e trasformati per diventare plastica. Si tratta di un processo tecnicamente fattibile, e neppure troppo complesso”. Dove non arriva la legge, rimane il buon senso e la sensibilizzazione dei cittadini.

Sergio Tolosano