Sfalcio a mano

Pro Festa civica macrese. Sfalcio a mano

Nelle foto “istituzionali” alcuni momenti della manifestazione realizzata a Macra di Sfalcio a mano, nel pomeriggio di domenica 12 agosto. La dimostrazione rientra nel progetto “Prometheus” ed è stata organizzata sui terreni dell’Associazione fondiaria del comune.
All’iniziativa hanno partecipato l’Assessore regionale alla Montagna Alberto Valmaggia e il sindaco di Macra Valerio Carsetti.
Nel ricca mattinata è stata inaugurata la sala polivalente “Chiaffredo Abello” dedicata ad un macrese morto sul monte Vodice nel 1917 durante la 1ª Guerra mondiale ed insignito della medaglia di bronzo.
È stata anche scoperta una lapide commemorativa della scelta del palazzo municipale come sede del CLN nel 1944 dai partigiani della 104 Garibaldi “Carlo Fissore”.
Infine la firma del protocollo di gemellaggio con la città di Villa Iris in Argentina e la messa in funzione del defibrillatore comunale per le situazioni di emergenza.

Fotografie di Iuri Califano di Progetto HAR.

Prima hanno preso l’acqua, ora tocca al bosco

Pro In mezzo secolo lo spopolamento ha portato all’abbandono del territorio e al degrado dei boschi e dei coltivi e le valli stanno diventando un deserto verde.

Questione seria che quassù conosciamo bene e che finalmente comincia ad essere presa in considerazione dalla politica, ma come?
Domenica 18 febbraio in prima pagina de La Stampa l’annuncio che con un decreto legislativo il Governo si occuperà di boschi e caseggiati rurali abbandonati, altre due pagine dedicate all’interno.
L’obiettivo è la “gestione attiva e razionale del patrimonio forestale”, prevista anche la “sostituzione diretta o affidamento della gestione dei terreni” a terzi in caso di inadempienze.
Questione non da poco mettere in discussione la proprietà privata quassù, faranno lo stesso per gli alloggi lasciati vuoti nelle città?
Tutto risolto allora? No, perché qui si confonde la causa con l’effetto: rendiamo vivibili le nostre valli, solo così il territorio sarà di nuovo presidiato e i boschi coltivati.
Da tempo denuncio che al centro delle politiche montane viene posto l’ambiente e non l’uomo che quell’ambiente vive e questo Decreto del Governo non è che l’ultimo esempio di una impostazione ideologica ambientalista.
Il rischio è di innescare derive coloniali per lo sfruttamento delle risorse rimaste, quelle rinnovabili, se si pensa ad un utilizzo delle biomasse bisogna avere ben presente che il guadagno sta tutto nella bolletta energetica, a monte rimangono solo briciole.
Gli interessi in gioco nella gestione del bosco sono enormi, prima hanno messo le mani sull’acqua, che ora tocchi ai boschi?
Boschi e case quassù sono abbandonati perché il Monte non è più vivibile, bisogna agire sulle cause prima che sugli effetti, gli strumenti legislativi ci sono già, perbacco, attivateli e se occorre aggiornateli prima di fare altre leggi!
L’attuale legge sulla Montagna, la n°97 del ’94, conosciuta come la “Carlotto”, nei primi 9 articoli norma chiaramente la gestione del territorio e della proprietà privata, qualcuno l’ha letta?
Altrettanto chiara è sulla questione fiscale all’art.16, quando dice che le imprese montane sotto un determinato fatturato “sono esonerate dalla tenuta di ogni documentazione contabile e di ogni certificazione fiscale”.
Decine di Comuni alpini, molti della val Maira e val Grana, hanno deliberato per chiederne l’attuazione, perché si fa finta che questa legge non esista?
La “Carlotto” ha la sua centralità non sull’ambiente, ma sulle “insopprimibili esigenze di vita civile delle popolazioni residenti”, non era stata scritta a palazzo su suggerimento di lobby, ma coinvolgendo le comunità delle valli, che siano questi i motivi per cui rimane nel cassetto?

Mariano Allocco

Il Consorzio chiede l’accorpamento con Cuneo

Il Socio Assistenziale Grana e Maira confluirà nel Consorzio Cuneese
Seguendo le sorti del Distretto Sanitario dell’ ASLCN1 anche il Consorzio per i Servizi Socio Assistenziali prende la via di Cuneo e le anticipazioni sulla traghettazione dell’Ente verso il Consorzio Cuneese apparse sul nostro giornale erano fondate.

L’Assemblea Consortile svoltasi nella sede di via Pasubio martedì 25 luglio ha approvato, all’unanimità dei Sindaci presenti, la richiesta di confluire nel Consorzio del Cuneese. La decisione era nell’aria da tempo e già l’assemblea del 27 aprile scorso aveva rinviato la decisione per ulteriori approfondimenti, quando una precedente riunione di sindaci a fine 2016 aveva formulato orientamenti verso questa ipotesi.

Il Consiglio di Amministrazione stesso, in un suo documento ufficiale di programmazione, ad aprile riprendeva quanto discusso coi sindaci e cioè “… che stante la situazione attuale, risulta ineludibile iniziare un percorso che determini la fusione dei servizi sociali con l’ambito cuneese.” Solo a fine 2015 tutti i 22 comuni delle due valli avevano adottato delibere di proroga del consorzio per altri 6 anni, ma evidentemente “… le difficoltà organizzative e gestionali resesi palesi nel corso del 2016” (vedi documento sopracitato) hanno portato alle recenti decisioni.
A sottolineare il particolare momento erano presenti a Dronero il Sindaco di Cuneo e Presidente della Provincia Federico Borgna e alcuni sindaci del Consorzio Cuneese di territori che già avevano percorso tempo fa lo stesso iter come, ad esempio, la valle Vermenagna. Alla base di questa scelta appaiono esserci motivazioni legate a problemi di personale, che nel tempo hanno portato l’ente nato il 1 aprile 1997 ad un organico totale di 37 dipendenti a fine 2016 (soprattutto per mancata sostituzione dei pensionamenti) e l’aver dovuto far fronte alla mancata copertura del posto da Direttore del Consorzio, resosi vacante per dimissioni dal 1 gennaio 2016 e attualmente coperto a scavalco dal dott. Aurelio Galfrè Direttore del Consorzio Socio Assistenziale del Cuneese.

La popolazione di riferimento del Consorzio Grana e Maira alla data del 31 dicembre 2016 era di 39.603 abitanti con un decremento nel corso dell’anno di 37 persone. La popolazione extracomunitaria regolare era di 3387 persone con una diminuzione in un anno di 47 unità presumibilmente riferibile al perdurare della crisi economica. Il dato dei minori extracomunitari inseriti regolarmente nella scuola dell’obbligo si mantiene intorno alle 450 unità, suddivisi nelle scuole di ogni ordine e grado.

Le argomentazioni portate a sostegno della fusione nel consorzio del capoluogo di dimensioni decisamente più grandi sono prima fra tutte quella del mantenimento del livello e della qualità dei servizi erogati ai cittadini. il Consorzio del Cuneese ha già attive delle soluzioni gestionali per servizi sovra-zonali, inserimenti lavorativi accreditati, ufficio tutele, ufficio appalti e ufficio per partecipazione a bandi europei che dovrebbero allargare le risposte alle nuove esigenze anche rispetto alle recenti politiche ministeriali per la coesione sociale.
Il Consorzio del Cuneese ha infine un Ufficio di Coordinamento – “Cabina di Regia” – già attivo dal 2015 che definisce linee di indirizzo e di raccordo con le comunità locali e in questo ufficio entreranno a far parte anche alcuni rappresentanti del territorio delle valli Grana e Maira. A Dronero la riorganizzazione prevede il mantenimento della sede centrale del Servizio Territoriale con l’appoggio di un amministrativo, così come dovranno rimanere le 5 attuali sedi del Servizio Sociale Professionale (1 Busca, 2 Caraglio e Valle Grana, 3 Cervasca e Bernezzo, 4 Dronero, 5 Roccabruna Villar e Valle Maira) con Assistente Sociale, OSS Territoriali e OSS di Cooperativa che gestiscono i Servizi di Assistenza Domiciliare per Anziani e la distribuzione pasti a domicilio.

Allo stesso modo saranno mantenuti operativi i Centri Diurni per disabili e il Servizio di Educativa Territoriale per minori e disabili. Una scelta “ineludibile” o inevitabile come dicono le carte, quasi “una scelta obbligata”, come ha detto qualche sindaco in alcuni sommessi consigli comunali dove se ne è parlato a cose fatte, dettata dalla necessità di poter continuare a garantire la continuità dei servizi assistenziali. Come si può non tener conto di una tale priorità assoluta ed inderogabile. Tuttavia quello che sta accadendo in questi ultimi tempi è un continuo e progressivo trasferimento/accentramento decisionale in situazioni distanti dal territorio con l’obiettivo di mettere insieme le risorse, che restano comunque sempre più esigue.

E questo vale per Dronero che “rinuncia” prima al Distretto ASL e ora al Consorzio Socio Assistenziale, e vale anche per i comuni della valle che hanno ceduto l’acqua di Comuni Riuniti ad ACDA. E’ una logica centralizzante e “dei grandi numeri” che alcuni (anche amministratori pubblici locali) ritengono il “male minore”, ma che mette una parte di territorio in una condizione di sentire di contare di meno. Si entra a far parte di istituzioni magari più forti ma che bisognerà trovare il modo di mantenere anche vicine alle esigenze delle valli, pena un’ulteriore mobilità dai piccoli centri verso i fondovalle. E’ chiaro, non sono più gli anni del decentramento a tutti i costi e la riduzione delle risorse pubbliche impone politiche di rigore e di razionalizzazione, ma le scelte che in questi mesi stanno caratterizzando il nostro territorio sono significativi segnali da cogliere che inducono serie riflessioni.

Mario Piasco

La Maestra Lucia Abello, racconta

Una valle nei ricordi della maestra Lucia Abello. Una vita con i bambini, in classe e fuori. Scuola, teatro, gite, giornalini, laboratori, musei…

Una vita dedicata alla scuola, si sarebbe detto una volta della straordinaria carriera scolastica della maestra Lucia Abello. Straordinaria, ma anche comune a tanti altri insegnanti delle nostre valli: all’inizio sedi disagiate, lontane, isolate d’inverno e carenza di materiali didattici, con le pluriclassi. Sull’altro piatto della bilancia l’affetto e la gratitudine di allievi e genitori, con tante iniziative extrascolastiche portate avanti tutti insieme. E la consapevolezza di aver vissuto in una società rimasta solo più nei ricordi.
Nasce in borgata Cucchiales, Lucia (come la chiameremo nel nostro articolo, con affetto e rispetto), sopra Stroppo, in un anno difficile, nel primo dopoguerra, pochi mesi dopo la promulgazione della Costituzione italiana. Frequenta le elementari a Morinesio, distante un chilometro da casa, con la maestra Adriana Bertogliatti. Non c’è la classe quinta: non è stata istituita, i bambini sono troppo pochi. Così, ripete la quarta. Frequenta l’avviamento commerciale, allora la conclusione degli studi, nel convitto di Demonte. Senza la media non si poteva continuare. Da qui la decisione di trasferirsi con la sorella gemella Marilena a Saluzzo, in casa della maestra Bertogliatti, non più a Morinesio, che le prepara privatamente per la terza media. Molto severa, rigida: le ragazze si impegnano ad aiutare in casa in cambio di vitto e alloggio. Superato l’esame di terza media, frequenta i quattro anni delle magistrali, poi un anno per prepararsi al concorso magistrale e insieme, l’impegno del doposcuola alla Dante Alighieri, allora alla Castiglia, nella parte alta della città del marchesato. Vince il concorso e passa in ruolo. Prima sede la Borgata Raina di Prazzo, oltre San Michele: così Lucia può abitare a Cucchiales. Bellissimo, ricorda ancora.
Dura poco: sono gli anni dell’abbandono della montagna e della discesa a valle, verso le fabbriche, verso una vita meno faticosa e isolata. Le famiglie lasciano per prime le borgate impervie, così chiudono le scuole, una dopo l’altra. Nel 1969 quella di Borgata Raina. Lucia va a Ussolo, chiusa nel 1971. Poi a San Michele di Prazzo, chiusa nel 1977: «Il primo anno avevo una collega di Cartignano, poi 4 anni con mia sorella Adriana. Saremo poi insieme anche in altre scuole, per molti anni».

Sono anni con tragici eventi familiari: «Purtroppo nel 1974 mio padre, che faceva il muratore, cadde da un’impalcatura. Morì dopo sette mesi alle Molinette, aveva 65 anni. Lui era del 1912 e si era sposato nel 1947. Mentre lui aveva già 35 anni, la mia mamma, classe 1926, non ne aveva ancora 21. Così sua madre, mia nonna, era andata in municipio a firmare l’autorizzazione perché potesse sposarsi. Mia madre non è andata lontano dopo il matrimonio: è scesa solo di una ventina di metri. Anche mia nonna: lei era salita però, a Caudano. Forse il nome vuol dire posto caldo, infatti è ben esposto al sole, come Cucchiales, che è tutto su una cresta. Allora le case erano costruite in posti scelti bene, lontano dai canaloni che scaricavano valanghe di neve, come quella del Monte Nebin. Ma erano posti chiusi, ci si conosceva tutti, per sposarsi non si andava lontano. Non c’erano strade: quella di Elva è stata costruita solo nel 1960», spiega Lucia. Ricorda quei tempi, senza abbellimenti, senza rimpianti pur riconoscendo che l’infanzia era stata povera ma molto felice: «Perché c’era affetto, tanto affetto, soprattutto da parte delle mie nonne. Vedove troppo presto tutte e due. La mia nonna materna è rimasta vedova a 32 anni con tre bambini. Il marito era morto cadendo da un albero. Molti allora l’aiutavano, tagliando il fieno per l’inverno. La sorella, sposata a un francese le aveva dato una mano. Ricordo la prima pensione ai coltivatori diretti, nel 1955. La pigliava la mia nonna paterna, Maria Maddalena Abello in Abello, vedova da tanto tempo anche lei. Quando la ritirava, circa cinque mila lire, regalava ai tre nipoti il Proton, uno sciroppo ricostituente , e poi, sempre con la pensione, il primo orologino», continua.

Il dispiacere più grande era la mancanza di libri: le biblioteche ambulanti non arrivavano lassù, si fermavano a Bassura, 5 chilometri duri da superare, soprattutto d’inverno. Tanto che il più bel regalo di Natale era quello della maestra Bertogliatti: un libro per ogni bambino, attaccato all’albero. L’economia era povera, fondata anche sul baratto: chi poteva aveva delle mucche, un po’ di patate, grano e poi farina da scambiare con il panettiere in cambio di pane. Il padre di Lucia aveva fatto un mutuo per poter aggiustare un locale e aprire un’osteria, l’Osteria delle Alpi: dava solo vino, niente di fresco, non c’era ancora la possibilità di conservare i cibi. Aveva fatto tutto lui. E aveva continuato aggiustando le case di chi, dalla pianura, Saluzzo, Chieri, Torino, veniva a passare le vacanze in montagna. Aveva imparato il mestiere a Parigi, con suo padre che là era morto e là era stato seppellito. La madre, rimasta vedova, aveva voluto tornare al paese. «La mamma non era mai uscita da Cucchiales, era conservatrice, non osava tanto fare cose nuove», spiega Lucia. «Invece papà era moderno, di ampie vedute, aveva imparato in Francia».
Ma anche a San Michele ci sono sempre meno bambini e Lucia, nel 1977, va a insegnare per sei anni a Busca capoluogo, poi a Dronero. Fino alla pensione, nel 2005. Che differenza con i suoi alunni di montagna! A Busca le classi sono numerose, quattro prime di 23 alunni. Due soli alunni aveva trovato in classe il 1° ottobre (allora primo giorno di scuola) del 1970 nella sua classe a Ussolo: Paolo e la piccola Giovanna. Gli altri tre erano ancora al pascolo alle Grange con i genitori. Lucia il giorno dopo, 2 ottobre, prende Paolo e sale a trovare gli altri alunni, Luciano, Valter e Livio. «La mamma di Livio e Valter ci fece la polenta e facemmo una grande festa. Poi il 3, tutti a scuola, per poi far subito festa il 4, anniversario della fine della Grande Guerra. Quell’inverno i ragazzi mi insegnarono a sciare su una bella discesa che partiva da Ussolo. Persi anche l’orologio nella neve. Lo ritrovai nel prato a primavera».

«Mi sono sempre trovata bene con i colleghi, con i bambini e con le famiglie che mi hanno sempre molto aiutato conentusiasmo e tanta collaborazione. Nel pomeriggio facevamo il teatro, nei festivi organizzavamo le gite, pagate con i proventi delle recite. Come a Montecarlo, nel giorno del Gran Premio. In 500, la mia. E con un’auto grande di Giovanni, il padrone del ristorante Ponte di Ussolo. A carnevale, portavo i bambini mascherati fino ad Acceglio Villaro. Là chiedevano in regalo uova, dolci, soldini e poi andavamo al ristorante di Ussolo». Momenti importanti passati insieme: la Festa degli alberi, il giornalino di Valle: «“Un po’ di noi”: tutto scritto da loro (i bambini di Acceglio Villaro, Prazzo, S. Michele, Canosio), noi maestre lo stampavamo con il ciclostile. Negli anni ‘73/’75», spiega Lucia. Proprio la Festa degli alberi rappresentava un momento solenne ed era molto attesa dai bambini. «Si percorreva a piedi parecchia strada per trovare un luogo adatto al rimboschimento. Si mettevano a dimora le piantine benedette dal parroco. Alla presenza delle autorità i bambini recitavano e cantavano. Al termine, un momento conviviale concludeva la festa», ricorda Lucia.
I ricordi si intrecciano, sempre più numerosi, talvolta curiosi, come quello dei cognomi: «Abello è degli Stroppesi. Aimar di Celle, Einaudi di Garino e Macra; Raina di Elva; Colombero di Marmora: questo rinfocolava i campanilismi», sorride divertita Lucia.

C’erano differenze tra i bambini delle borgate di montagna e quelli di Dronero? Lucia non ha dubbi. Negli ultimi anni gli scolari non sapevano come comportarsi e mancavano di rispetto verso gli anziani e verso l’autorità: senza autocontrollo, non disponibili a imparare, con problemi di integrazione. Forse questa constatazione influisce negativamente: «Ricordo con piacere i miei anni di scuola, soprattutto la maestra Luisita Rovera di San Damiano che mi ha ispirato a diventare maestra anch’io. Se scegliessi adesso forse cambierei. Perché la comunicazione verbale è stata soppiantata da quella virtuale. I giochi e le amicizie di una volta non ci sono più. I miei ragazzi di Ussolo giocavano “a tuc”, a prendersi e a toccare il posto dove contavano e gridavano “liberi tutti”». Un altro mondo.
I ricordi scolastici continuano a ritornare ben vivi e attuali nella mente di Lucia. Soprattutto il passaggio alle scuole di Dronero che comportò un cambiamento per affrontare una realtà più affollata e diversificata. Nel 1988 sperimentò, nelle elementari di Dronero OltreMaira, i nuovi moduli educativi con tre insegnanti su due classi, insieme alla sorella Adriana e a Nino Andreis. «Apprezzai subito questa distribuzione del lavoro, perché,se ci si accostava con spirito collaborativo, gli altri due insegnanti davano sicurezza, aiuto e una visione più aperta e risolutiva dei problemi. Dopo qualche anno i moduli furono adottati in tutte le elementari».
Molte e diverse le nuove attività che coinvolgevano attivamente i bambini: «Bellezze locali: dopo la visita alla Chiesa dei Cappuccini, accompagnati da Don Rossa, preparammo una guida e, per un mattino, gli alunni furono i ciceroni per i visitatori. La direttrice didattica: Donatella Acconci, mi incaricò di coordinare la Commissione “Scrittura creativa” da cui nacquero i burattini, creati nei sotterranei della scuola e pitturati. Un genitore, falegname, il signor Valerio, costruì il teatrino. Storie, scritti, poesie furono poi raccolte in un libro. Mi commosse profondamente la poesia scritta e letta nella ricorrenza del 25 aprile del 2000 da Damir, ragazzino bosniaco fuggito dalla guerra con la famiglia». E poi ancora l’allestimento di una mostra che raccolse le ricerche su proverbi, giochi di un tempo, l’emigrazione, i lavori minorili. E la ricerca su “La scuola al tempo del fascismo”. Tutti lavori che contribuirono a dar vita al “Museo de l’Escolo”. E ancora “Calca il palco”, bambini attori per una mattina al teatro Iris, gremito. Un fiume di ricordi e di esperienze, fino al volontariato dopo la pensione nell’associazione Raffaela Rinaudo, una vita “ricca” nella quale i “talenti” non sono stati nascosti nella buca della parabola del Vangelo, ma sono stati ben usati.

«Lo so che sono stata lunga nel raccontare, ma tu lavora di forbici», è la raccomandazione finale.

Daniela Bruno di Clarafond

Ricordiamo la raccolta di poesie in patois (con traduzione) di Lucia Abello, De Pours e de Bufes (Polvere e rèfoli), presentazioni di Giuseppe Durbano e Ferdinanda Susa, Edizioni “Ël Pèilo”, Amici di Piazza, Mondovì. Dolce rimpianto per un tempo e un’infanzia ormai lontani.

La strada dei Cannoni

nizza Sarà la “Limone – Monesi” della valleVaraita? E la Val Maira?

Nella giornata di giovedì 27 luglio 2017, alla presenza del Presidente dell’Unione Montana dei Comuni del Monviso Silvano Dovetta, del Presidente del Parco del Monviso Gianfranco Marengo, del Sindaco di Valmala Andrea Picco, del Sindaco di Casteldelfino Alberto Anello, del Consigliere Comunale di Rossana Marco Pasero e dei rappresentanti di Motoraid Experience Claudio Giacosa e Rino Fissore, l’ATL del Cuneese, con il Presidente Mauro Bernardi ed il Direttore Paolo Bongioanni, ha percorso la Strada dei Cannoni partendo da Venasca, salendo a Valmala ed arrivando, dopo molti chilometri di sterrato, alla Colla di Sampeyre.

Durante la percorrenza della strada bianca, si è discusso sulla possibilità di utilizzo della stessa in chiave turistica, mutuando il modulo della Via del Sale Limone – Monesi per cercare di generare gli stessi straordinari risultati turistici. Il percorso, che ha poi visto la discesa su strada asfaltata fino all’abitato di Sampeyre e quindi il rientro su Venasca, potrà dunque diventare uno straordinario anello per motociclisti, appassionati di 4×4, e-bike e MTB. Nei prossimi giorni l’ATL del Cuneese provvederà a realizzare un servizio fotografico e video del percorso e, insieme all’Unione Montana, procederà con la definizione della mappatura della stessa, in modo da poterla presentare alle fiere di settore autunnali in un cofanetto dedicato “La Via del Sale e la Via dei Cannoni”, dando vita ad un’opportunità di percorrere strade bianche in quota unica al mondo.

“Sono molto soddisfatto di questo incontro – dichiara il Presidente dell’Unione Montana Silvano Dovetta – e ringrazio l’ATL del Cuneese per la sensibilità dimostrata e per aver voluto constatare direttamente in loco la bellezza di questa strada in quota. Mi auguro che questo percorso possa diventare un prodotto turistico spendibile e che l’ATL del Cuneese lo possa promuovere in tutte le fiere d’Europa dedicate al cicloturismo. Sono certo che la Strada dei Cannoni possa dare un qualcosa in più al turismo della Valle Varaita, attraendo tutti quei turisti, amanti di moto e bici, che sono alla ricerca di nuove vette e di nuovi percorsi”.
“Lavoreremo insieme per promuovere la Strada dei Cannoni e per generare sempre maggiori flussi turistici per la Valle Varaita e per l’intero territorio di competenza della nostra ATL.” conclude il Presidente dell’ATL del Cuneese, Mauro Bernardi.

R.D.

Escursioni in Valmaira – Laghi del Roure e valle di Ciabriera

nizza Facile giro ad anello tra Italia e Francia

Il Col di Maurin si trova in una zona molto aperta, luminosa e panoramica. Poco sotto al colle, dal versante italiano, nasce il rio Maurin che dà luogo al più lungo corso d’acqua italiano. Infatti, quando il Maurin confluisce nel Maira, ha già percorso 7 o 8 Km in più e, quando arriva presso Casalgrasso, ha percorso oltre 30 Km in più del Po, nel quale ufficialmente confluisce. Se la lunghezza del corso d’acqua fosse misurata, come per gli altri fiumi, dalla sorgente più lontana (quella del Maurin) al mare, il fiume più lungo d’Italia misurerebbe circa 40 Km in più rispetto ai dati ufficiali.
A nord del passo, non lontani, si trovano i bei laghi del Roure, sparsi in un’ampia conca di magri pascoli.
Al ritorno si può percorrere la selvaggia e poco frequentata valle di Chiabriera.
Per chi ha voglia di fare qualche passo in più e salire un facile e panoramico 3000 aggiungo la descrizione dell’ascesa alla testa di Cialancion.

1) Laghi di Roure per il Col di Roux
Difficoltà: E (escursionista medio)
Partenza: Quota 1900 presso grange Claviera sulla strada verso il Maurin
Dislivello in salita: metri 800
Lunghezza: circa 12 Km andata e ritorno
Esposizione: prevalentemente sud
Tempo di percorrenza: solo andata, 2 h 30’ per escursionisti medi
Quota massima 2677 passo
Cartografia: chaminar en val Maira di Bruno Rosano
Accesso stradale: Val Maira. Acceglio Chiappera, si prosegue oltre il paese per 500 metri quindi, dopo il ponte, si sale a destra per la strada asfaltata, poi sterrata, che passa sotto la rocca Provenzale. Si parcheggia a quota 1900 sotto grange Claviera (divieto di transito).
Itinerario: Si prende il sentiero che sale sulla destra e porta al piano delle grange Collet.(m 2006 ) Si prosegue per la strada che sale verso il colle Maurin (indicazioni SRC e T13 ). A quota 2150 si giunge a un pianoro e si abbandona la strada che, verso destra, raggiunge le grange Seimandi.
Si continua dritto verso il colle Maurin. A quota 2430 si passa a destra del lago Sagna del Colle e si attraversa un bel piano, poi il sentiero sale ripido. A quota 2550 si abbandona il sentiero del col Maurin per salire a destra fuori sentiero verso un vicino colletto erboso, passando di fianco a destra di una notevole voragine, non visibile dal basso. Dal colletto si entra in una valletta che si segue a sinistra giungendo al col di Roux ( m 2668 ), posto non lontano e a est rispetto al colle di Maurin. Di qui il primo lago del Roure dista circa 500 metri. Dal passo si continua quindi in territorio francese per terreno pianeggiante passando poco sopra a un piccolo laghetto. Continuando in traverso ( sentiero ) alla stessa quota, si giunge al lago inferiore del Roure m 2653. Oltrepassato il primo lago, scendendo circa 100 metri a sud-ovest, si ragggiunge il lago occidentale mentre attraversando verso nord-ovest, senza scendere, si giunge al lago centrale (spesso asciutto) e più avanti al lago settentrionale. I sentieri in questa zona non sono ben definiti, per cui con la nebbia è facile perdersi. Può essere l’occasione di un bell’esercizio di uso della cartina e della bussola, oppure del GPS utile soprattutto per ritornare senza errore sui propri passi.

2) traversata e ritorno per il colle e la valle di Ciabrera
Difficoltà: E su terreno facile ma sentiero a tratti poco definito
Dislivello : m 1000 metri per tutto il giro
Esposizione: variabile
Lunghezza : Km 15 circa
Partenza: come sopra
Tempo di percorrenza: ore 3,30’ dall’auto al colle di Ciabriera. 6 ore circa per tutto il giro.
Cartografia: chaminar en auta val Maira di Bruno Rosano
Itinerario:
Dal primo lago del Roure si sale un valloncello verso destra (Est) che porta (tracce di sentiero e ometti ) al bacino del lago superiore, spesso asciutto. si attraversa tutto il pianoro e si sale, sempre verso est, all’evidente colle di Ciabriera (non salire direttamente dal bacino a destra al colle di Cialancion che dal versante opposto è scosceso ). Dal colle scendere in territorio italiano tenendosi leggermente a sinistra giungendo a un ripiano, poi in una valletta a sinistra di un promontorio con un evidente cippo. A quota 2650 il valloncello gira a destra; a questo punto, salendo a sinistra pochi metri, si giunge al piccolo e suggestivo lago di Ciabriera.
Si ritorna e si continua nella valle principale raggiungendo un ampio piano erboso a quota m 2550. Si va in fondo a sinistra, si sale qualche metro, poi si volta decisamente a sinistra (ometti e tracce di sentiero ) collegandosi con il sentiero proveniente dal monte Maniglia che in basso confluisce nel sentiero GTA proveniente dal colle Bellino.
Per questo sentiero si torna a grange Collet e all’auto.

3) Testa di Cialancion metri 3014
Difficoltà: EE
Dislivello: 400 metri oltre il percorso già descritto
Esposizione: ovest
Tempo di percorrenza: 1,30’- 2 ore salita e discesa oltre il percorso precedente
Itinerario: Si segue il percorso dei laghi del Roure fino a quota 2620 circa poco sotto il col di Roux. Si sale il ripido pendio sulla destra in direzione delle rocce che si vedono in alto e che si trovano a sinistra della cima, passando tra una pietraia e delle rocce grigie e inclinate. Saliti circa 200 metri di dislivello si obliqua a destra (qualche traccia di sentiero ) portandosi in una zona meno ripida da cui si raggiunge direttamente la vetta.
Vista amplissima verso la Francia fino alle vette ghiacciate degli Ecrins.

Sergio Sciolla

San Damiano, pensieri di Pietra

nizza Nel tardo pomeriggio di domenica 16 luglio scorso si è conclusa la bella esperienza di una tre giorni di laboratori artistici all’aperto di scultura e modellazione, dislocati tra Piazza Caduti e l’area retrostante alla Chiesa Parrocchiale dei Santi Cosma e Damiano, e qui abbiamo incontrato il professor Enrico Perotto, studioso d’arte e docente presso il Liceo Artistico Ego Bianchi di Cuneo.

Professor Perotto davanti ai nostri occhi abbiamo un vero atelier d’arte a cielo aperto.
Gli artisti, tutti dotati di una riconosciuta abilità esecutiva, sono stati sedici in tutto, di cui otto scultori (Daniele Aletti, Astrid Fremin, Emanuele Greco, Daniela M. Guggisberg, Giovanni Lerda, Marco Odello, Andrea Rinaudo e Cristina Saimandi), tre ceramisti (Lara Ganarin, Gianmario Vigna e Guido Vigna), tre pittori che si sono messi alla prova con la scultura conservando le scelte espressive che li caratterizzano (Corrado Odifreddi, Andrea Quaranta e Luc-François Granier), un altro artista che ha usato la stampa xerox con cui riproduce in b/n aspetti diversi della realtà, come le pietre (Nadir Valente), e un’esperta di calco in resina di volti umani, fantasiosamente trasformati in composizioni colorate, ironiche e suggestive (Alessia Clema). Alcuni sono originari della Francia, come Astrid Fremin e Luc-François Granier, e una coppia è nata in Svizzera (Daniela M. Guggisberg e Daniele Aletti), ma anche loro risiedono o sono in stretto rapporto familiare con il territorio cuneese.
In qualità di collaboratore del Progetto Pensieri di Pietra come ha vissuto lo svolgersi di questa esperienza?
Venerdì 14 luglio gli artisti si sono tutti dati appuntamento a San Damiano su invito di Gian Lerda, infaticabile ideatore e organizzatore dell’iniziativa, ma anche autore di un’installazione che invita a soffermarsi a pensare sui problemi umani del presente. Con lui, io ho collaborato prima nella scelta degli artisti e quindi nella preparazione delle brevi schede assecondando e interagendo con gli artisti nelle diverse fasi della loro attività pratica. Ogni giorno, dalle 10 alle 13 e dalle 15,30 alle 19,30, si sono impegnati sempre con entusiasmo nella realizzazione delle loro specifiche opere, chi scolpendo direttamente la pietra con ogni genere di attrezzi manuali o meccanici, chi modellando pazientemente la creta.

L’impatto di 16 diverse espressioni creative coi materiali e luoghi della valle quale atmosfera ha fatto nascere?
Non si è trattato solo di un incontro occasionale tra personalità diverse del mondo dell’arte in provincia di Cuneo, ma è stata veramente una bellissima opportunità di condivisione di un rapporto umano nato dal lavoro svolto gomito a gomito tra gli artisti, condividendo ideali comuni e momenti oltre che di fatica, anche di serenità, vissuti sempre con spirito leggero e il sorriso sulle labbra.
La prima edizione di questa 3 giorni, che ha visto anche interessanti momenti musicali, teatrali, di incontro e presentazione di prodotti locali, si è svolta all’insegna dell’opera dei locali Maestri Fratelli Zabreri del xv secolo. Qual è il suo giudizio su questo evento sandamianese?
Speriamo che questa iniziativa del tutto positiva, ben supportata dal Comune e dalla Pro Loco, si possa riproporre nei prossimi anni, forse ripensandola un po’, in modo da farla diventare un appuntamento d’arte ben caratterizzato per San Damiano Macra e i suoi turisti più affezionati della Valle Maira.

R.D.

Roccabruna, conclusa l’estate ragazzi

nizza Sabato 22 luglio, presso l’oratorio Sacra Famiglia di Roccabruna, si sono concluse le attività di Estate Ragazzi. In questo periodo intenso di attività, giochi, gite e divertimento i ragazzi hanno imparato a conoscere il Creato, opera meravigliosa che nasce dalla parola di Dio ed è donata all’uomo perché, creatura tra le creature, ne diventi il custode.

Da molto tempo gli uomini hanno indicato in quattro gli elementi primordiali di tutto l’universo. Essi sono mescolati in modo perfetto dentro il Creato e plasmano tutte le creature.
Già nelle prime pagine della Bibbia possiamo leggere del Mondo, il nostro mondo, e scoprire la bellezza e la forza, oltre che la fragilità e la complessità di ciò che ci è stato consegnato.
Terra per sperimentare l’origine e il fondamento, acqua per tornare all’essenzialità, aria per scoprirsi bisognosi dell’altro e fuoco per alimentare di passione le nostre comunità e il mondo che viviamo. E allora Detto-fatto … Un disegno perfetto!
Un intreccio ancora più grande, brulicante di vita.
Dio, come un grande ingegnere, ha progettato il mondo donando un posto a ciascuno: a creature piccolissime come le formiche che smuovono la terra e la rendono fertile, alle pecore che la percorrono e brucano l’erba, ai lupi che le inseguono per mangiarle.
Ma nel Suo lavoro ha messo un ingrediente segreto che fa da motore a tutti gli altri: l’amore.
A noi Dio ha chiesto di custodire il mondo che ci ha donato. Custode viene dal latino “custos”: è una parola antica e magnifica, che scorre sulla lingua con un suono insieme grave e dolce. Non è una guardia, non usa la forza bruta. È piuttosto qualcuno che veglia, assiste, protegge, ma soprattutto si prende cura: previene i pericoli, provvede alle necessità.
Servono grandi occhi per osservare, grandi orecchie per ascoltare, un po’ di silenzio nel cuore per fare spazio agli altri.
Lungo il cammino si può scoprire com’è bello avere tante persone intorno a sé con cui condividere esperienze, prendersi cura degli amici, dei legami che nascono, scoprire vincoli che tengono uniti per sempre.
Il lieto fine, come in ogni storia, non è mai scontato. Ci incantiamo davanti a un tramonto. Passiamo ore ad ascoltare il rumore del mare. La natura ci emoziona. Ma la sua forza può travolgerci in un attimo. Così non ci sentiamo al sicuro nel mezzo di una tempesta, e sappiamo che un terremoto può mandare in frantumi le nostre certezze.
Ma non dimentichiamo che siamo capitani del nostro cuore e possiamo sempre ripartire da lì per trovare la forza di affrontare la paura e di rimettere in asse il timone, a patto che a guidarci sia il rispetto, e non il desiderio di dominio.
In queste settimane trascorse insieme, abbiamo tentato di riscoprire il Mondo che ci circonda, creato per noi. Siamo partiti dall’elemento TERRA e per conoscerlo meglio abbiamo camminato tra le nostre montagne, guardandoci attorno e scoprendo la meraviglia che ci circonda, poi abbiamo provato a far crescere una piantina prendendocene cura ogni giorno ed infine analizzato gli elementi che compongono la terra sotto i nostri piedi.
Una notte tra il sabato e la domenica abbiamo conosciuto il FUOCO, affascinante e pericoloso, ma con capacità straordinarie: ci riscalda, ci permette di cucinare e, soprattutto, illumina il buio.
È arrivata così la seconda settimana, che abbiamo dedicato alla scoperta dell’elemento ACQUA. Con l’acqua ci si può divertire, ma allo stesso tempo è utile per dissetarci e per pulirci ed è anche una casa per alcuni esseri viventi.
Nell’ultima settimana abbiamo cercato di “acchiappare” l’ARIA, l’elemento più misterioso: invisibile, impercettibile, ma sempre presente, e che ci permette di vivere.
Sono stati giorni intensi, pieni di attività e novità, da cercare e scoprire ogni giorno. Giorni che ci hanno permesso di scoprire la MERAVIGLIA del Creato che ci circonda, che ci è stato donato e di cui dobbiamo avere cura.
“Durante queste settimane siamo stati accompagnati da molte persone che, con il loro contributo, ci hanno permesso di vivere al meglio le varie attività, quindi ci sembra doveroso ringraziarle.
Partiamo con il ringraziare don Eligio che, anche se rimanendo un po’ in disparte, ci sostiene sempre nelle nostre attività e, con lui, tutti i “don” che ci hanno accompagnato e aiutato durante il cammino: don Michelangelo, don Graziano e don Marco. Un doveroso ringraziamento all’intrepido Jhon Smith; ad Anna e Bruno che ci hanno aiutato a conoscere meglio le piante e ci hanno insegnato come prendercene cura; ai gestori del bar del campo sportivo che hanno sopportato le nostre razzie di gelati; ai gestori del campo sportivo per averci dato la possibilità di usufruirne e quanti, in diversi modi, ci hanno dato una mano. In particolare noi animatori vorremmo ringraziare le nostre famiglie. Come ogni anno, per un mese si trovano a doverci sopportare, anche quando la sera arriviamo a casa stanchi. Grazie per il sostegno, che non manca mai! Ci aiuta ad affrontare queste giornate intense e piene di meraviglia.
In ultimo ringraziamo tutti i ragazzi che hanno vissuto con noi questi giorni intensi e pieni di gioia, alla scoperta dell’opera meravigliosa che ci circonda”.

Gli animatori

Migranti in Valle

nizza La “questione migranti” è entrata a piedi giunti in valle e non è argomento attorno al quale si possa fare melina. Non la farò e dico la mia in modo franco.

Cominciamo col contestualizzare il problema perché quanto sta succedendo non ha nulla a che vedere con i flussi migratori degli ultimi tre secoli, altra è l’analogia a livello storico.
L’attuale situazione europea ha evidenti quanto sottaciute similitudini con cosa succedeva nel 4° e 5° secolo, quando un Occidente ormai inerme, con un esercito mercenario, in piena crisi economica e istituzionale, si confrontava con un monoteismo antagonista e cercava di gestire al meglio flussi migratori spinti da guerre, carestie e cambiamenti climatici.
Questi furono i fattori che portarono al “declino e caduta” dell’Impero Romano.
Si badi bene che allora nessuna di quelle genti si fermò sulle Alpi, che furono popolate secoli dopo quando signori illuminati garantirono “libertà e buone vianze” a coloro che sceglievano di farsi montanari.
Ora l’ininterrotta affluenza di fuggitivi raccolti dalle navi di soccorso che stazionano quasi stabilmente davanti alle coste della Libia continuano a chiamarla “emergenza migranti”, ma emergenza non è, è normalità.
Due umanità completamente diverse si confrontano.
Da un lato c’è chi arriva da noi con i barconi e che non potrà procedere oltre, perché l’Europa sta blindando le nostre frontiere, dall’altro ci siamo noi che non capiamo bene come e da chi tutto questo sia voluto e gestito, se dal caso o da interessi più grandi di noi che stanno rimestando nei conflitti tra Sud e Nord del mondo.
Sicuramente attorno a questo fenomeno sono in ballo flussi di denaro enormi e la sua gestione, se basata su buonismo, slanci emotivi o, ancor peggio, su sensi di colpa indotti artificiosamente, rischia di provocare disastri sia per popolazione italiana che per stessi migranti.
In una Italia in cui il tasso di disoccupazione supera l’11%, con quello giovanile al 40% circa, spacciare le migrazioni, peraltro incontrollate, come risposta alla mancanza di manodopera è velleitario e se qualcuno dice che questa può essere la risposta allo spopolamento dei borghi alpini denuncia un approccio strumentale, se non amatoriale, ad una questione che merita ben altra attenzione.
Ridate “libertà e buone vianze” alle valli, solo così si ripopolano i borghi alpini, solo così si possono creare spazi di accoglienza.
Nella nostra valle l’atteggiamento da parte di qualcuno, per me, è stato sicuramente “zelante”.
II 12 novembre scorso, quando il prefetto non aveva ancora avanzato alcuna richiesta, Prazzo deliberò di “informare il Prefetto che il Comune sta lavorando al problema e a trovare la disponibilità di locali….” , interessante, tra le altre, una dichiarazione di voto “poniamo il problema come opportunità…..in quanto consente di gestire il problema dei profughi portando nelle casse dei comuni dei soldi”.
Quando poi il Prefetto comunicò che ogni comune doveva accogliere 6 richiedenti asilo, pena il “liberi tutti” alle cooperative, al vertice si seguì una strada che nessuna altra valle aveva ancora percorso.
A chi è venuta questa idea? In che sede è stata discussa? Quali consigli comunali hanno messo al loro o.d.g. l’argomento? Qualcuno ha fatto qualche analisi sull’impatto che avrà questa decisione sul piano sociale, economico e organizzativo?
Do per scontato che questa scelta sia stata avallata da una analisi dell’impatto sulla società di valle, analisi che sarebbe interessante conoscere.
Il Prefetto fa il suo mestiere e lo fa anche bene, gestisce la situazione in base ad obiettivi definiti, i suoi però, i nostri quali sono?
Sono certo che qualcuno si sta organizzando per gestire una comunità eterogenea di migranti in paesi in cui nella brutta stagione ci sono una decina di abitanti, in proporzione è come sistemare 60.000 migranti a Cuneo (tra l’altro, quanti ne ospita Cuneo?), come sono certo che il tutto sia stato ben ponderato e si saprà come evitare che si inneschino derive divisive nelle comunità locali.
Sono anche sicuro che i decisori hanno ben valutato la situazione e sapranno assumersi le loro responsabilità.
Sarebbe stato forse opportuno e saggio verificare con le comunità locali preventivamente quale strada seguire, perché convocare riunioni a decisioni ormai acquisite non è coinvolgimento, ma comunicazione.
Sindaci e organizzazioni sul territorio in altre valli hanno deciso in modo diverso da noi.
In val Maira si è preferito scegliere la strada dello zelo e qualcuno ha addirittura anticipato i tempi, ovvio che questo zelo abbia ricevuto il plauso dall’esterno, ci mancherebbe, siamo stati i primi della classe!
I numeri però sono cocciuti e impongono una riflessione: +139,86% per gli sbarchi in Italia a gennaio – marzo 2017 rispetto al 2015, mentre in Spagna l’anno scorso gli sbarchi sono stati in tutto poco più di 8000.
I numeri di richiedenti asilo da ospitare in valle di cui si discute ora sono quelli assegnati nel 2017, cosa succederà l’anno prossimo? Qualcuno ha idee al riguardo?
Quanto gioverà esserci mossi in questo modo senza aver cercato di affrontare la questione cercando un accordo con le altre valli per aggregare maggior potenza contrattuale e facendo tesoro di approcci altri?
Sarebbe interessante conoscere la posizione dell’UNCEM e dell’ass.re regionale alla montagna al riguardo.
A proposito di atteggiamenti “buonisti”, mi torna alla mente quanto diceva un ecclesiastico, Don Garnero, dal 1908 per sessant’anni parroco a Prazzo: “essere buoni non vuol dire essere minchioni”, ma erano altri tempi e lui era figlio di quei tempi.

Mariano Allocco

ValMaira 1000 anni . Presentazione logo

nizza A San Salvatore di Macra presentato il logo per il millennio della Valle

La mattina di sabato 27 ha accolto nella storica chiesa posta al centro della val Maira la presentazione ufficiale del logo scelto per la ricorrenza del 28 maggio 2028, i primi 10 secoli di storia scritta della nostra valle. La cappella del San Salvatore, costruita in anni compresi tra il 1120 ed il 1142 per iniziativa dei Monaci di Oulx (Val Susa) è stata testimone dell’affollato incontro che il prof. Secondo Garnero, padre dell’idea del compi millennio della valle, ha aperto con queste parole: “Diamo inizio alla corsa verso il 2028 della Val Maira … per arrivarci con un vestito nuovo, fatto di tessuti antichi e pregiati”. A queste parole han fatto seguito quelle di don Beppe Dalmasso, parroco insieme a don Ugo Sasia della valle, che ha ricordato che cosa rappresenti San Salvatore per l’intera comunità.
Dopo questi due momenti introduttivi si è entrati subito nel vivo dell’incontro e la parola è passata al prof. Rinaldo Comba , storico medievalista, che ha analizzato e inquadrato nel suo contesto il primo documento ufficiale che riguarda la valle di cui siamo a conoscenza. Intorno all’anno 1000 si parla di insediamenti e roate “ruà”, non ancora di veri Comuni ma comunità di territori e di beni in qualche modo “pubblici” amministrati da Conti e Marchesi, sorta di “Prefetti amministratori”, che in tempi successivi subentreranno come proprietari dinastici.
La fondazione dei Monasteri costituiva anche un modello gestionale e doveva assicurare da parte dei religiosi ai Conti le preghiere ed il perdono dei peccati per sé, per gli avi e per tutta la dinastia. In quest’ordine di pensiero il prof. Comba invita a collocare il documento, una pergamena che porta in calce la data del 28 maggio 1028. Si tratta di un lascito del Conte Olderico Manfredi e di sua moglie Berta con cui venne fondato il Monastero Femminile di S. Maria di Caramagna.

Vi si può chiaramente leggere in latino, insieme ad altri possedimenti, la donazione di “… anche metà della metà (cioè un quarto) delle case e di tutte le altre cose che Noi abbiamo nella valle che è chiamata Magrana (Valle Macra o Maira), nei luoghi e nei fondi che deteniamo in Surzana (zona di Dronero), Sancto Damiano, Pagliario (Pagliero), Stroppo, Prada (Prazzo), Sancto Michaelo, Cilio (Acceglio), Paderno (probabilmente Paglieres) e Rocabruna”. Un interessante reperto storico posto al centro dell’attenzione dall’idea di Secondo Garnero.
Dopo il punto di vista dello storico è la volta del prof. Piercarlo Grimaldi, antropologo e Rettore dell’Università di Pollenzo, ad analizzare l’argomento della marginalità o meglio del vivere in territori al margine, discorso di estrema attualità se si pensa anche al tema “aree interne”. Grimaldi introduce il suo intervento con alcune riflessioni sull’antropologia che a differenza della storia è una scienza più recente e con meno certezze: questa disciplina rispetto ad alcune forme organizzative delle società umane usa termini come “complessità” o “primitività” e si basa oltre che su documenti scritti anche sulla tradizione orale e l’oralità spesso usa le parole “all’incirca” o “pressappoco”.

La relazione tratteggiando molti altri aspetti pone l’accento su come la val Maira, a differenza delle valli vicine, per diverse ragioni nel tempo sia rimasta isolata e questo fatto le ha permesso di salvaguardare una sua originalità e il suo paesaggio, paesaggio anche come visione umana e modo di sentire. Questo territorio con la sua storia, tradizione e cultura proprio per questa sua capacità di organizzarsi a vivere in periferia diventa oggi di estremo interesse. La sua particolare marginalità può rappresentare una risorsa per il futuro, un modello di sviluppo sostenibile armonico ed integrato con la natura e le sue ricche radici storiche.
Il Sindaco di Macra Valerio Carsetti esprime il suo entusiasmo per questa iniziativa di rilancio e sottolinea come San Salvatore rappresenti la cornice di bellezza ideale per parlare delle qualità che fanno innamorare del nostro territorio. E si arriva al momento clou della presentazione del “Logo del Millennio” selezionato da una commissione a cura di Espaci Occitan in un concorso tra 55 opere presentate.
E’ la stessa autrice Erica Castelli a descrivere la sua creazione che viene proiettata in questa occasione sullo schermo per la prima volta al pubblico. Il logo è composto dalla stilizzazione di una bifora che costituisce una emme maiuscola sovrastata dal nodo di Salomone e va così interpretato: è un’unione di tre simboli, in alto il nodo di Salomone simbolo anche della Unione Montana rappresenta unione e indissolubilità, la emme maiuscola M come simbolo di Maira e Mille anni e la bifora è quella della chiesa di San Salvatore, la più antica della valle. La riproduzione della bifora è visivamente in graffiato a rappresentare le tracce ed i segni del tempo ed è di colore bordeaux, un colore elegante e raffinato, sempre secondo le parole dell’autrice che riceve il premio accompagnata dall’applauso dei numerosi presenti. Ancora il tempo per ricordare che dopo i primi ed importanti restauri di alcuni decenni fa, la chiesa di San Salvatore presto riceverà ulteriori interventi grazie ad un primo bando già finanziato dalla Fondazione CRT e partecipazione a bandi ancora in corso di selezione (S.Paolo e CRC).

Dopo i saluti da parte della Sindaca di Caramagna Maria Coppola, interviene il Presidente dell’Unione Montana dott. Roberto Colombero che sottolinea l’importanza dei prossimi anni di avvicinamento al 2028, di quanto questa iniziativa rappresenti un’occasione di rilancio non solo storico culturale e turistico, ma di tutti gli altri settori economici e produttivi, precisando anche che l’utilizzo del logo sarà soggetto a regolamento in fase di approvazione a tutela del progetto. Nel contempo Colombero pone anche questioni su cui riflettere: “la val Maira nel 2028 come vorrà essere? … continueremo ad essere ancora tutti i 13 Comuni che costituiscono oggi l’Unione Montana di valle?, … i Comuni sono in una fase tra le più deboli della loro storia, … Amministratori ed abitanti siamo ad un bivio ”.

Argomenti che richiedono scelte determinanti e poiché si è stati e si è testimoni della storia di un territorio, la valle ha vissuto insieme la propria identità, allora il percorso fino al 2028 va fatto insieme. Per Colombero la comunità ed il suo avvenire come entità unitaria sono gli obiettivi da difendere, “l’importante è che ci sia la Val Maira col suo senso di comunità”. L’appello alla coesione e a dare un contributo a questo percorso è esplicitamente rivolto a tutti gli abitanti vecchi, nuovi e futuri della valle, a chi vorrà creare comunità, relazioni, senso di appartenenza. Al termine dell’incontro, all’esterno sul sagrato, tanti volti noti e meno noti di persone che hanno a cuore proprio questo domani.

Mario Piasco