Dialogo fra un nostalgico e un palazzinaro

artesio IL NOSTALGICO: La terra è piena di angoli in cui qualcuno ha lasciato l’anima, e a volte perfino il corpo.
E’ successo anche a me. Io mi ricordo la vecchia cascina: è là che ho baciato Giovanna per la prima volta. Di sicuro se lo ricorda ancora anche lei. Era stata una cosa goffa e veloce, perché suo padre ci stava cercando, anzi, ci stava trovando, e avevamo dovuto nasconderci in fretta nella legnaia. E poi comunque la fuga non era bastata, perché i gatti avevano iniziato a miagolare così tanto che d’improvviso non eravamo più un segreto per nessuno. Ma me li ricordo ancora, i due occhi di lei, mentre suo padre si avvicinava con quello sguardo furioso. Sembravano due scoiattoli spaventati eppure ubriachi di coraggio. Sembravano due bambini che si fossero cacciati davvero nei guai, ma che avrebbero dato tutto per fare di nuovo ogni cosa, subito, dall’inizio.

Il nostro passato, i ragazzi che fummo dormono in quella vecchia casa, in quei prati. Luoghi poetici in cui qualche volta è accaduto qualcosa di divino, qualche volta qualcosa di crudele, o qualcosa magari di piccolo, di segreto, e per questo ancor più prezioso.
Ce ne sono tanti di luoghi così: per questo la terra vale molto.

IL PALAZZINARO: Non esistono luoghi poetici. Esistono soltanto luoghi edificabili e luoghi senza valore. I tuoi prati e la tua cascina li abbiamo resi edificabili. Ricapitolando: la terra ci è costata X Euro al metro quadro. Poi, la demolizione della cascina ci costerà Y Euro. Oneri vari e tasse, un altro po’ di soldi. Quanti soldi che diamo ai comuni… e la gente ancora ci critica. Siamo noi che teniamo in piedi i bilanci di quei loro enti locali, dei loro asili e dei loro pulmini, dovrebbero ringraziarci. Il nostro cemento è latte e miele, per loro. Non se ne rendono conto. Senza contare quanto lavoro diamo in giro… e loro sempre a crocefiggerci sui licenziamenti, sulla sicurezza sul lavoro, su quel tipo di appalto o quell’altro, facendoci il pelo e il contropelo sul verde che diventa edificabile o sugli spazi per i servizi che diventano alloggi. Se fosse per loro, si fermerebbe tutto, sono il popolo dei no. Invece che criticare tanto la moderna edilizia, io vi dico: fateci l’occhio. A Milano nessuno li critica, i palazzoni. Non hanno neppure tempo di contestarci, perché a Milano lavorano, loro sì che lavorano. Ecco, lo dico soprattutto a quelli del popolo dei no: andate a lavorare, tanto per fare qualcosa di diverso dal solito, tanto per costruire qualcosa anche voi e farvi passare un po’ di idee strane. Questo è il mondo moderno; se preferite la preistoria, sono fatti vostri, siete voi a essere fuori posto.

IL NOSTALGICO: Quanto era dolce la nostra preistoria. Qui ho baciato Giovanna per la prima volta. Suo padre arrivava da questa direzione, quando ce ne siamo accorti ormai avevamo le spalle al muro. La legnaia era qui – piena di gatti, come dicevo prima. Le cascine dei gatti, le chiamavano proprio così.

IL PALAZZINARO: I permessi sono a posto, la licenza edilizia, il piano regolatore, le altre scartoffie: tutto in ordine. Noi demoliamo domani: se vuole può fare delle foto prima.

IL NOSTALGICO: Abbiamo già altri mostri architettonici qui intorno. Alcuni vuoti, altri quasi. Vuol dire che non servivano, potevamo risparmiarceli. La città è piena di alloggi vuoti, eppure continuate a costruirne ancora. E’ come se in casa nostra continuassimo ad aggiungere armadi senza avere materia per riempirli, fino a consumare tutto lo spazio per vivere.

IL PALAZZINARO: E’ il progresso.

IL NOSTALGICO: Smettetela di misurare il progresso con il numero degli armadi. Consumate sempre più territorio, aggiungete sempre più cubature. Quando finirà?
Tutto questo mi ricorda la storia dell’isola di Pasqua: gli abitanti tagliarono fino all’ultimo albero della loro terra, inseguendo la follia di costruire e trasportare idoli sempre più grandi. E tutto finì con l’isola devastata, senza più un filo d’erba e le statue degli idoli mezze distrutte da un popolo in preda alla fame. Tanto tempo fa, con Giovanna parlavamo sempre della storia dell’isola di Pasqua, perché ci spaventava e insieme ci affascinava constatare quanto gli uomini potessero essere ciechi. Ed è proprio la legge dell’isola di Pasqua che distrugge ora la nostra cascina.

IL PALAZZINARO: Mai sentita questa legge. Delle leggi si occupano i miei avvocati. E ora comunque non ho tempo per lei. Lei non ha idea di cosa significhi fare il mio lavoro. Altro che pensare al passato. Io la mia giovinezza l’ho dimenticata completamente.

IL NOSTALGICO: Diceva Pascal: “Il cuore ha ragioni che la ragione non conosce”. Poi ci sono le ragioni del cemento, che sono lontane sia dalle ragioni del cuore che da quelle dell’intelletto. Eppure sono proprio le ragioni del cemento, a prevalere. Qualcuno dice che sia il treno del progresso. A me piacerebbe tanto poter scendere.

Mairaviglie

Chi va la mulino s’infarina

artesio “Chi va al mulino si infarina”, ben lo sapevano un tempo tutti coloro che avevano occasione di recarvisi per far macinare qualcosa. Ed erano ben contenti d’uscire di là incipriati, ma con un bel sacco di farina ancora tiepido. Intanto, aspettando che la grossa macina facesse il suo lavoro, si discorreva del più e del meno con il mugnaio o con qualcun altro, anche lui in paziente attesa.

Scene perse nel limbo dei ricordi ormai di pochi. Oggi qualcuno, con dolente sarcasmo, ripete che molti non sanno più neanche riconoscere l’erba che da il pane.
Sarà per ciò che piccole sparute realtà come il Mulino della Riviera di Dronero acquistano agli occhi di coloro che sono più propensi alla nostalgia, un valore simbolico, quasi affettivo.
Da questi vecchi mulini recuperati a nuova vita difficilmente oggi si esce infarinati, mentre invece il mugnaio che sia disposto a chiacchierare un po’, questo lo si trova ancora, soprattutto se lo farete parlare del suo lavoro.
E capita di incontrarvi e legare con altri avventori, affascinati anche loro dalle vecchie tecnologie sentite ben più a misura d’uomo di quelle attuali.
Succede anche, proprio in quel di Dronero, che alcune signore, prive di interesse, credo, per gli arcani meccanismi d’un vecchio mulino, ma invece molto attente alle peculiari qualità dei diversi cereali che vi si lavorano, tra una chiacchiera e l’altra – parecchie, mi sa, visto che alle donne piace ciacolare – decidano di impegnarsi a dar vita ad un ricettario che esalti le specificità di quelle farine e dei semi da cui derivano.
Di ricettari è pieno il mondo. E’ vero,dovremmo essere ormai tutti cuochi provetti; però in questo caso il loro intento non è quello di insegnare a cucinare, bensì rendere omaggio ed esaltare qualcosa che il passato ci lascia di qualitativamente valido e che sarebbe un delitto non tramandare alle future generazioni.
Più che come aridi elenchi di ingredienti, le ricette di Alda, Claudia, Franca, Yolanda, Mara, Osvalda, Silvia, Simona, andranno lette come poesie spontanee, come brani d’un diario intimo che ognuna di loro vorrà rivelarci. Se poi serviranno anche come stimolo per organizzare allegre tavolate in piacevole compagnia, cosa chiedere di più?

Trekking Anelli Cuneesi

abbonamenti2014 Trekking: nuova guida
I GRANDI ANELLI DELLE ALPI CUNEESI

Dopo il confortante successo ottenuto nel 2011, con la guida dei sentieri dal Colle di Tenda al Colle di Nava, è uscito per la piccola e dinamica casa editrice dronerese “I libri della bussola” il nuovo lavoro dei geografi tedeschi Werner Batzing (64 anni, professore all’università di Norimberga) e Michael Kleider (43 anni, tesi di laurea sulla nostra Valle e casa a Roccabruna dove passa buona parte dell’anno), autori di molte guide di successo in lingua tedesca sulle nostre montagne, che questa volta hanno concentrato la loro attenzione sui grandi anelli delle Alpi Cuneesi.
Come spiegano gli stessi autori nella prefazione alla nuova guida, i percorsi a tappe che vanno a comporre i grandi anelli in alta montagna sono assai apprezzati dai turisti stranieri, principalmente austriaci o tedeschi, che spesso arrivano nelle nostre vallate apposta per camminare per una o due settimane senza praticamente scendere a valle, approfittando dei numerosi rifugi o posti tappa sparsi sul territorio, e riducendo in tal modo al minimo indispensabile l’utilizzo di automobili o mezzi di trasporto pubblici. Agli amanti della montagna italiani, i due autori suggeriscono di provare la bellezza di questo tipo di approccio alla montagna, sottolineando che sarà comunque possibile sfruttare la guida con gite giornaliere.

Dopo queste premesse, la nuova guida (113 pagine in un comodo formato tascabile) abbraccia tre vallate: la Valle Stura con l’anello “Lou Viage” e i suoi 19 percorsi, la Valle Grana con l’anello de “La Curnis” (Auta e Bassa) con i suoi 4 percorsi, e la Valle Maira con l’anello dei “Percorsi Occitani” e i suoi 13 percorsi. Per ogni tappa la guida offre all’escursionista tutte le informazioni necessarie per affrontare le camminate in sicurezza: punti di partenza e di arrivo, segnali da seguire, dislivello e tempo di percorrenza. Una cartina di inquadramento e alcune immagini illustrano i singoli tratti, e non mancano qua e là raccomandazioni e informazioni anche curiose per meglio assaporare le gita in montagna.
La guida, che potrà essere acquistata in tutte le edicole e le librerie della zona al prezzo di 15 Euro, si chiude con un capitolo dedicato agli approfondimenti su natura, architettura, antichi mestieri, gastronomia e sulla cultura occitana delle tre vallate.

Un coraggio peggiore della viltà

abbonamenti2014 Cronache dall’età dell’innocenza

C’è chi dice che Roma sia una grande città, o addirittura una metropoli. Non è vero. La metropoli è roma, con la “r” minuscola, quella delle infinite borgate, dei santi e diabolici quartieracci dove si perpetua una storia inafferrabile di miserie, illusioni, lampi di generosità, fortune effimere che subito precipitano di nuovo nell’ordinario. E si ricomincia daccapo, da secoli, sotto l’impero e la repubblica, sotto il papa e il re, sotto la principesca volgarità di celebrità costruite apposta per gettare alla gente qualche briciola scintillante, così che non il popolo non pensi a quanto grande potrebbe essere, se solo si stufasse di vivere in ginocchio.
Invece la Roma con la “R” maiuscola non è una metropoli, è un paese. Poche strade che uniscono il Quirinale e palazzo Chigi, palazzo Madama e Montecitorio, con uno sguardo a qualche luogo di potere più occulto, dove siedono certi burattinai che non hanno il vezzo di apparire.
La mattina è fresca, il caffè è buono, le scale di marmo sono foderate di un tappeto rosso papale che mette allegria. I deputati attraversano i corridoi della Camera senza fretta; qualcuno è seguito da un collaboratore, altri da lobbysti che perorano le cause di grandi industrie, giornali, fondi d’investimento, agenzie di servizi. Per fortuna, almeno la gente normale se ne sta fuori. Al massimo manifesta in piazza, ma basta chiudere le tendine e le finestre coi doppi vetri e non si vede né si sente nulla. Le elezioni sono lontane, il popolo strepitante può attendere: è il tempo della “responsabilità”, ossia dell’unione fra forze che si pretendevano alternative, e delle “scelte impopolari”, ossia del tradimento delle promesse elettorali e dello smantellamento di quel che resta dello stato sociale, della scuola e della ricerca in nome di un presunto “bene dell’Italia” che è poi il bene dei padroni dell’Italia.
Il giovane deputato si siede al suo posto in commissione. Affissi alle pareti ci sono i ritratti dei padri della patria e altri dipinti che ritraggono le meraviglie archeologiche del paese, ritratte nel loro immortale splendore, mentre nel mondo reale là fuori stanno andando a pezzi. Il presidente entra, la riunione ha inizio. Un deputato che gli siede accanto, e che è già alla quinta legislatura, si diverte a fare previsioni sull’esito del voto per ciascun emendamento. Un parlamentare è al soldo di quella multinazionale, dunque voterà così; un altro è un signorsì di partito, quindi sicuramente voterà così; un altro ancora deve restituire un favore, per cui voterà così.
Il giovane deputato si sente a disagio. Non è esattamente la compagnia di lavoro che sceglierebbe, se potesse decidere liberamente, ma bisogna rispettare tutti, perché sono tutti stati eletti. In realtà sono stati nominati (in barba al popolo) in base a una legge che bisognerà cambiare (e che infatti nessuno cambierà), ma la politica è anche l’arte del non sottilizzare troppo. E poi il presidente di commissione sta facendo un bell’intervento, posato, responsabile, molto ben studiato.
Ed ecco che, sotto i suoi occhi, si compie il miracolo: nelle parole del presidente tutto sembra diventare ragionevole, c’è una spiegazione coerente per tutto: per le pretese delle lobby, per i ricatti della finanza, per gli scambi sottobanco fra politici, per i piccoli favori, per i grandi regali alle banche. E anche per la manomissione della Costituzione, tanto i ritratti dei padri della patria appesi alle pareti mica possono replicare. Nel ragionamento del presidente, esiste un bene supremo del paese che impone di evitare attriti e guai peggiori: il fallimento economico dell’Italia, che è più importante del fallimento economico degli italiani; la sfiducia dei mercati, che è più rilevante della sfiducia del popolo sovrano; il commissariamento da parte dell’Europa (ma non siamo anche noi europei a pari titolo degli altri?).
In nome di questo supremo bene, bisogna fare delle scelte coraggiose. In realtà non ci vuole molto coraggio a tagliare i diritti degli altri, a sabotare l’istruzione degli altri, a far chiudere le imprese degli altri; ma certo questo appello del presidente ha molta presa sui deputati, che si sentono pieni di voglia di lottare, ossia di approvare quel provvedimento schiacciando con prode eroismo un tasto, o sollevando con temerarietà un braccio.
Il giovane deputato per un po’ annuisce, di fronte a quel discorso ad effetto e ai sorrisi di consenso dei deputati che intanto già maneggiano i propri cellulari. Poi, tutto d’un tratto, gli si apre nella mente qualcosa che appartiene a un passato che gli sembra remotissimo eppure risale a pochi mesi fa: la vista della sua valle, delle persone che l’hanno sostenuto e che quasi portandolo sulle spalle gli hanno dato la forza necessaria ad arrivare fin lì. Gente semplice, sincera, che non si fa gabbare: gente che forse si arrabbierebbe sentendo le parole eleganti e ciniche che il presidente ha appena pronunciato. In montagna si guarda sempre con diffidenza a quel genere di persone brave a parlare che ti intrattengono e intanto magari ti sfilano il portafoglio. Fra i suoi sostenitori, su in valle, non ci sono lobbysti, politicanti, finanzieri e industrialoni: quale bene potrebbe arrivare loro da quella legge? Mancano solo pochi secondi al voto, e il giovane deputato non ha ancora deciso.
Caro ragazzo, vota con il coraggio vero, quello della verità, non con quello del cinismo a cui ti invitano certi tuoi colleghi. E la prossima volta prendi anche la parola e difendi la tua gente.
L’età dell’innocenza finisce in un attimo. E nessun presidente potrà mai restituirtela.

Acculturiamoci a Dronero

abbonamenti2014 Presentato martedì 8 ottobre, presso la Sala Ex Tripoli di Dronero il programma dell’iniziativa “Acculturiamoci” che prevede ben 38 proposte di corsi e argomenti. Visto il successo dell’ edizione 2012/2013 che ha raggiunto ben 140 tesseramenti, il Comune di Dronero ha riproposto a tutta la cittadinanza il nuovo programma “Acculturiamoci”.

Il ricco calendario di corsi, conferenze e appuntamenti curato dalla Commissione Cultura comunale comprende ben 38 proposte riguardanti una gran varietà di argomenti. Cultura, arte, musica, psicologia, tecnica, agricoltura, natura, cucina e tanto altro ancora sono i temi trattati nel programma che l’Amministrazione di Dronero, grazie al sostegno della BCC- Banca di Caraglio e alla collaborazione di numerosi soggetti, fra i quali il Comitato Locale della Croce Rossa, l’Istituto Statale Alberghiero “G.Donadio” e l’Azienda di Formazione Professionale di Dronero avvierà a partire da fine ottobre 2013 fino a inizio giugno 2014.
In elenco: Un percorso per mamme in attesa: 12 incontri con Marta Murino; Approccio al computer: 8 incontri con Claudio Salerno; Corso di inglese per principianti: 15 incontri con Valentina Scigliano; Principi di agricoltura biodinamica e oleodinamica: 7 incontri con Mauro Taricco; Laboratorio espressività teatrale: 10 incontri con Marta Murino; Corso elementare di scacchi: 8 incontri con Antonio Ciaramella; Svezzamento naturale del bambino: 3 incontri con Federica Ferrero; Corso di giardinaggio: 3 incontri con Luca Ferrione; Matite, colori e pennelli: 16 incontri con Laila Cavallo; Dire, fare, ascoltare… ascolto ed empatia: 3 incontri con Sonia Chiardola; Mitologia celeste: viaggio alla scoperta del cielo: 4 incontri con Enrico Collo; Conoscere e prendersi cura del proprio perineo: 6 incontri con Federica Ferrero; Corso di apicoltura teorico/pratico: 14 incontri con Mauro Taricco; Computer: un nuovo amico in casa: 8 incontri con Claudio Salerno; Corso di disegno figurativo – il ritratto e la sua evoluzione nei secoli: 8 incontri con Arlette Pasero; Dalle pitture rupestri alla pubblicazione di un libro: 5 incontri con Andrea Tedone; Il cervello non va in pensione: 8 incontri con Michela Arnaudo; La struttura amministrativa del Comune, compiti e funzioni: 4 incontri con la Dott.ssa Rancurello e i funzionari del Comune di Dronero; La nostra casa: l’impianto elettrico, idraulico e di riscaldamento: 2 incontri con Piero Marino, Elio Chiocchia e Walter Orbello; Corso di potatura: 3 incontri con Luca Ferrione; Menopausa felice: 6 incontri con Federica Ferrero, Marta Murino, Cinzia Cesano; I pomodori del mio orto: 3 incontri con Paolo Viale; Modellato di base: 8 incontri con Emanuele Greco; Sogni d’oro: 2 incontri con Sonia Chiardola; Ceramica primitiva: 8 incontri con Emanuele Greco; Geologia della provincia di Cuneo: 3 incontri con Enrico Collo; Dal sorriso di Mozart alla malinconia di Chopin, un percorso dal classicismo viennese al romanticismo: 4 incontri con Andrea Bissi; Camminiamo: 5 incontri con Sonia Chiardola e Michela Arnaudo; I miti dell’origine nella Bibbia: 3 incontri con Angelo Fracchia; Il legno e le mani: 1 incontro con Andrea Tedone e Stefania Larovere: In collaborazione con la Croce Rossa Italiana: Corso di primo soccorso: 8 incontri con Monitori ed Istruttori di Croce Rossa. In collaborazione con l’Istituto Statale Alberghiero “G.Donadio” di Dronero: Il pesce in tavola: 4 incontri con i docenti dell’Istituto; L’ “HappyHour” (l’ora felice): 4 incontri con i docenti dell’Istituto; A tavola di salute: 4 incontri con i docenti dell’Istituto. In collaborazione con l’Azienda di Formazione Professionale di Dronero: Aggiornamento informatico – elaborazione testi e foglio elettronico livello base: 40 ore con i docenti dell’Azienda di Formazione; Tecniche di costruzione di macchine utensili: 40 ore con i docenti dell’Azienda di Formazione; Aggiornamento informatico – sistema operativo e internet livello utente: 32 ore con i docenti dell’Azienda di Formazione; Lingua inglese – livello elementare: 60 ore con i docenti dell’Azienda di Formazione.

Per i dettagli su date di svolgimento, costi, modalità e termini di iscrizione, gli interessati possono rivolgersi alla Segreteria del Comune di Dronero (Sig.ra Rita Crollari), tel. 0171 908703,
e-mail: segreteria.crollari@comune.dronero.cn.it.

Cefalonia

cefalonia L’istituto Storico della Resistenza commemora i 70 anni dall’eccidio di Cefalonia
Tra i 4 mila fucilati anche alpini provenienti delle caserme di Dronero

La presentazione di un originale video che si prefiggeva di ricostruire la tragica storia dell’ “eccidio” di Cefalonia predisposto da allievi ed insegnanti di alcune classi dell’ITIS di Fossano è stata l’occasione che l’Istituto Storico della Resistenza di Cuneo ha colto al volo per ricordare i 70 anni di uno degli episodi più drammatici e tragici accaduti ai soldati italiani durante il 2° Conflitto mondiale.
Per l’occasione era stato invitato Giorgio Rochat, uno degli storici più documentati sulle vicende che travolsero il corpo di spedizione militare italiano in Grecia, che proprio nel settembre ’43 con l’annuncio della firma dell’ armistizio con gli Anglo-americani si trovò lontano dall’Italia ed in pratica in balia dell’Esercito tedesco.
Diversamente da quanto accadde ai nostri soldati della Quarta Armata, che occupavano il sud della Francia da dove chi in treno, chi a piedi o altri mezzi di fortuna nei giorni successivi all’8 settembre poterono raggiungere i vicini confini italiani, dalla Grecia era impossibile tornare a casa e quindi i più vennero fatti prigionieri degli ex alleati tedeschi e spediti in prigionia in Germania.
Ma quello che successe a Cefalonia fu assai diverso da quanto avvenne ai soldati italiani di stanza in Grecia sulla terraferma; anche sull’isola dello Ionio arrivò l’ordine del Comando Supremo di quell’Armata che avrebbe dovuto “spezzare le reni alla Gracia” come aveva detto Mussolini nel momento iniziale dell’invasione.
L’ordine era perentorio: consegnare le armi ai tedeschi e di lasciarsi prendere prigionieri; cosa che appunto avvenne in quasi tutta la penisola greca.
A Cefalonia, che dista un paio di chilometri dalla costa greca, c’erano i soldati italiani della “Divisione Acqui”, comandata dal generale Gandin; al quale quell’ordine non piacque affatto, ma non piacque neanche ai suoi ufficiali ed alla maggior parte della truppa.
Qui vale pena di ricordare, come ha detto Rochat, che aggregati ai soldati della Divisione Acqui” c’erano anche un centinaio di alpini con i loro muli, provenienti per la maggior parte dalle caserme di Dronero e Saluzzo: Cefalonia è infatti un’isola piuttosto montuosa e aspra, anche se ovviamente il clima non è certo quello alpino.
Insomma in un paio di giorni l’ordine di consegnarsi in mano ai tedeschi fece il giro di tutti i reparti e successe che ufficiali e soldati furono compatti nel respingere quell’ordine.
Infatti quando, in maniera piuttosto insolita in un esercito, il generale Gandin chiese ai soldati schierati in adunata che chi non voleva consegnarsi ai tedeschi facesse un passo avanti; la quasi totalità della truppa fece questo passo: di fatto l’intero corpo di spedizione rifiutò la resa
Successe a Cefalonia quanto Duccio Galimberti ed altri antifascisti negli stessi giorni cercava di realizzare a Cuneo: tentando di convincere gli alti ufficiali cuneesi a schierarsi con i loro soldati contro i fascisti e l’armata tedesca che stava scendendo dal Brennero per occupare militarmente l’Italia
Sull’isola di Cefalonia invece fu un moto spontaneo quello di prepararsi a resistere.
I tedeschi dalla terra ferma non tardarono ad invadere l’isola: tra il 21 ed il 22 settembre fecero terra bruciata: si calcola che furono circa 4 mila i soldati italiani uccisi; e tra i primi ad essere passato per le armi fu proprio il generale Gandin .
Per anni, ha spiegato molto bene Rochat, da parte degli Alti Comandi si cercò di ignorare e poi anche di infangare quell’eroico e tragico ”pronunciamento”.
Ma a ben vedere, ha anche affermato Rochat, nelle prime bande partigiane qui del cuneese i militari, graduati e non, erano almeno all’inizio in gran numero: da Ignazio Vian a Nuto Revelli, a Giorgio Bocca, solo per citarne alcuni tra i più noti.
Invece per i soldati di Cefalonia il riconoscimento del loro eroismo fu a lungo contrastato e parecchio controverso!

Io rimango – Ich bleibe

ich bleibe Sfoglio con voluttà le pagine del nuovo volume « Rimango in Valle Maira/ Ich bleibe im Valle Maira » di Jorg Waste e Giorgio Alifredi.
Nel titolo viene anticipata una promessa. Restare.

Io non sono valmairese, se non d’ adozione, ma provengo dalle langhe, altra zona di violenta e desolante emigrazione seguita da una altrettanto forte determinazione al ritorno, per cui penso di poter comprendere comunque a fondo l’ intenzione di Jorg Waste e di Giorgio Alifredi di dare visibilità a questa promessa. Si tratta di una promessa che immagino ogni personaggio ritratto in queste belle pagine deve rinnovare a sè stesso ogni mattina per trovare la giusta motivazione ad una esistenza che non consente tanti voli pindarici nell’ empireo dell’ effimero, ma che necessita di un forte attaccamento al territorio, al proprio lavoro e soprattutto ai propri valori.
Alle prime pagine una stretta coglie il cuore. Sono immagini di abbandono e desolazione, una finestra rotta , una sedia silenziosa nel vuoto di una stanza, un berretto da «pastre» rosicchiato dai topi, una bella coppia sorride dal passato ad un presente derubato anche dei ricordi. Chi saranno stati, come saranno state le loro vite? Sono domande che cadono nel vuoto… per sempre.. Ricordano gli scatti storici di denuncia di Michele Pellegrino .
Il peso che attanaglia lo spirito si scioglie quando si prosegue nella visione e nella lettura del libro. Appaiono nuove vite, reali, animate dalla determinazione di esistere ora, oggi , adesso in Valle Maira. Sergio , l’ artista, sorride sereno sostenendo la pertica di maggiociondolo da cui ricaverà l’ arco con cui scoccare le intuizioni nate dal silenzio che, mentre per molti di noi sarebbe solo noia , per lui diventa preziosa meditazione . Mi domando , di fronte al volto fiero di Sergio… quale sia la mia consapevolezza dell’ esistenza.
Giors dal Puy… governa le sue capre camminando veloce sui pendi che profumano di fieno e di timo.
Conoscendolo immagino con quanto umanesimo realista affronti i problemi pratici che complicano la gestione di un’ azienda agricola in alta montagna, ma lui è una roccia. Sereno come una roccia . Quando ascolto la parabola della casa costruita sulla roccia…. mi affiora alla coscienza l’immagine della sua casa al Podio. E Lara? Anche lei si è fatta scegliere dalla Valle Maira.
Mario … tiene i piedi ben piantati in terra mentre guardandoti negli occhi ti invita a entrare nel suo mondo fatto di regole semplici e difficilmente mutabili.
Così il libro procede raccontando le storie personali di Nino la guida , di Monica e Camilla che coltivano i loro sogni , di Davide che lavora la pietra , di Sissi che alleva i suoi bimbi nel vallone, di Davide che cucina tra le nuvole , di Ivana e Fabrizio che con i figli Teresa e Nicola, concreti danno spazio al proprio desiderio di bellezza e di armonia. Chiude la rassegna umana Viviana , la coltivatrice di piantine di genepì che dice di essere venuta in valle per ritrovare se stessa. Ha ritrovato se stessa insieme a una intera comunità e tanta bellezza.
Sono storie reali, concrete tangibili di vita vera. Non c’è esercizio compiaciuto di immaginazione. Queste vite sono ancor più reali e vere delle immagini di abbandono e desolazione delle prime pagine.
Incoraggia sfogliare questo libro di Waste e Alifredi e constatare quanto distante sia il sentimento di puro e disperato abbandono che stillava da «Il profondo Nord» e «Gente di Provincia» due pietre miliari della fotografia impegnata di Michele Pellegrino.

ich bleibe

Agli inizi degli anni ’70 Pellegrino divenne il testimone disincantato, a tratti persino rabbioso della tragedia dell’ esodo. Fu l’ illustratore eccezionale di una civiltà , di una cultura che perdeva vita per diventare tema di denuncia sociale nei testi di Fenoglio… Nuto Revelli …Ignazio Silone solo per citarne alcuni.
Ora nuova vita nel frattempo ha germogliato tra i sassi e il merito di Jorg Waste è proprio quello di aver illuminato nei suoi scatti non quello che fu, ma quello che è ora e che potrà diventare.
Senza retorica, senza pietismi, senza miti, lontano anni luce dalle falsità della politica e dal vuoto delle istituzioni che qui non possono più contare sull’ ignoranza e sull’ ingenuità della gente.

«Rimango» … una promessa che diventa una speranza.
Valle Maira…. un motivo per andarsene….cento per restare .

giò manera

Istituto Storico della Resistenza rievoca l’eccidio di Aigues Mortes

aigues_mortes Nel suo cammino di rievocazioni e puntualizzazioni di avvenimenti storici che in qualche modo hanno coinvolto la terra cuneese ed i suoi abitanti non poteva essere più puntuale ed anche attualissimo l’incontro che l’Istituto Storico della Resistenza e della Società contemporanea di Cuneo ha tenuto venerdì 8 novembre sull’eccidio di Aigues Mortes in Camargue, avvenuto nel 1893, 120 anni fa, in cui vennero uccisi un numero imprecisato di lavoratori italiani (10, 15 o più?) di cui 3 o forse 4 erano cuneesi, emigrati in Francia

Uccisi non dalla polizia, ma in una rivolta della popolazione locale contro gli emigrati italiani che “soffiavano” il lavoro ai francesi.
Una tragica guerra fra poveri, colorata dei segni più truci della xenofobia.
Una rievocazione puntuale di fatti accaduti da più di un secolo, che però sono attualissimi, nelle nostre contrade: ricordiamo ancora tutti quella notte intera di caccia al nero a Rosarno in Calabria tre anni fa, tra i raccoglitori di arance; ma anche qui da noi, basti pensare alle tensioni che ogni autunno crescono nell’area saluzzese per la raccolta della frutta.
Per tornare ai fatti di Aigues Mortes e chiarire la presenza di Cuneesi tra i morti ed i feriti di quel tragico evento il presidente dell’Istituto Storico, Livio Berardo, ha voluto dare alcune cifre intorno all’emigrazione dalla sola nostra provincia: tra gli anni ’90 -’93 ‘ dell’800 emigrarono in Francia 17.354 cuneesi, di cui 11.900 erano stagionali.
Non stupisce quindi che tra i morti di Aigues Mortes ci siano di certo Merlo Giuseppe di Centallo e Domenico Bonetto di Frassino in quanto risulta che le famiglie molto tempo dopo abbiano ricevuto dalla Francia il risarcimento di 1.000 lira a titolo di carità; così come tra i feriti gravi figurino Filippo Castagno di Gambasca, Stefano Miretti di Sanfront, Cappello di Tenda (allora era ancora Italiana), un certo Marino di Vinadio, Bartolomeo Vaccino di Beinatte, Cravero di Vernante, Mainero Chiaffredo di Moretta e anche un certo Marino di Dronero.
Tra i condannati al processo che ne seguì figura anche un certo Giovanni Giordano di Vernante, a cui vennero comminati ben 15 anni di carcere.
Alla rievocazione ha partecipato lo storico francese Gerard Noiriel, autore di un’ approfondita storia dei fatti, che per la verità non è piaciuta per niente ai Francesi, tradotto poi anche in italiano, dal titolo, “Il massacro degli Italiani”, la cui importanza storica è essenziale per capire cosa sia veramente avvenuto a Aigues Mortes in quell’agosto di 120 anni fa.
Egli ha chiarito come lavorare nelle saline fosse terribilmente duro, quindi abbastanza poco allettante per i Francesi; a spaccarsi la schiena per 12-13 ore al giorno sotto il sole a picco erano soprattutto gli immigrati italiani, in gran parte Piemontesi e Liguri.
Senonché l’ultimo decennio dell’800 coincise anche in Francia con una fase economica assai critica e gli Italiani immigrati, soprattutto stagionali, erano in qualche modo più disponibili a lavori duri anche con paghe basse.
Di qui si era creata una sorta di preferenza per gli Italiani, più disponibili e di bocca buona; a contrastare questa tendenza era stata addirittura varata dal Governo francese una legge che tendeva a favorire i lavoratori nazionali, piuttosto che gli stranieri.
Da una probabile rissa in una salina lontana dal centro abitato, scoppiata perché Francesi non riuscivano a tenere il passo al ritmo degli Italiani (nelle saline si lavorava a cottimo) ne nacque un durissimo scontro tra Italiani e Francesi, essa poi si riaccese alla sera nella cittadina di Aigues e continuò il giorno dopo, coinvolgendo gran parte della popolazione locale con una caccia spietata agli Italiani in paese e anche nei dintorni
Il fatto che non si sappia con precisione il numero dei morti è dovuto appunto al fatto che gli scontri avvennero in luoghi e tempi diversi e gli Italiani, che ebbero la peggio non erano certo registrati all’anagrafe francese.
Sul numero dei morti e dei feriti le autorità francesi, sia allora e sia anche dopo, hanno sempre preferito “glissare”, mettendo in atto un tentativo di rimozione collettiva su quel tragico episodio
Ad approfondire questo non indifferente aspetto assai preciso è stato Enzo Barnabà, uno storico che è stato anche addetto culturale presso il consolato italiano in Francia.
Secondo la ricostruzione che egli ha cercato di fare furono di certo 10 gli Italiani morti, cosìcome furono alcune decine i feriti, anche gravi;
Inoltre dalle sue ricerche risultano che ben di 17 persone si sono perse le tracce e di cui i parenti in Italia non seppero più nulla.
Anche perché pure nell’Italia di Francesco Crispi si preferì sorvolare: erano quelli gli anni del grande esodo migratorio: verso le Americhe e appunto in Francia, ed in Begio al Nord.

Dronero Incontri, un primo bilancio

abbonamenti2014 A nome dell’Associazione Dronero Incontri o.n.l.u.s. e dei suoi componenti, intendiamo ringraziare tutti i partecipanti ed i sostenitori della rassegna culturale appena conclusa, svoltasi nei giorni 27 e 28 settembre 2013, Io non ho paura: uomini e donne contro le mafie..

La due giorni sul tema della criminalità organizzata è stato un viaggio nella storia recente dell’Italia che ha portato chi vi ha assistito a ragionare ed approfondire argomenti non certo semplici, ma di grande importanza per chi cercasse ancora di coltivare una memoria di ciò che siamo, in funzione di un’esistenza non regalabile in toto alla misera condizione di consumatore e non di cittadino consapevole ed attento sul mondo che lo circonda.
Introdotta dal saluto di Gianpaolo Rovera, vicesindaco di Dronero ( che assieme all’Assessore Agnese è stato l’unico amministratore di Dronero avvistato in 48 ore di eventi), la serata di venerdì 27 settembre ha visto alternarsi sul palco del cinema teatro Iris gli interventi di ospiti di livello assoluto sull’argomento della criminalità organizzata in Italia, dal maxiprocesso del 1986 alla trattativa Stato/ mafia. Hanno, infatti, portato il loro contributo Leonardo Guarnotta, Presidente del tribunale di Palermo, nonché ex collega di Falcone e Borsellino; i giornalisti e scrittori Giovanni Fasanella ed Enrico Deaglio, da molti lustri autori di articoli, libri e saggi sul fenomeno criminale.
La giornata di sabato 28 settembre ha ospitato un altro momento molto importante nello svolgimento ideale di questo viaggio: l’incontro con i ragazzi delle scuole. Accompagnati da dirigenti e professori attenti e sensibili alla tematica, gli alunni di alcune classi dell’Afp e delle Scuole medie di Dronero si sono confrontati con magistrati ,scrittori, testimoni di fatti di mafia e con i loro coetanei che, mossi da encomiabile passione civica, la sera avrebbero inscenato lo spettacolo “Maffia”.
Un evento a “porte chiuse” ma significativo, perché è dalle scuole e dai giovani che deve venire alto e forte l’ammonimento a scegliere comunque e sempre la legalità, anche a costo di sacrifici.Il pomeriggio, nella sala dell’ex Tripoli, è andato in scena il racconto delle mafie al nord: il dialogo ha visto protagonisti Valentina Sandroni (Avvocato di parte civile per Libera, di cui è coordinatrice provinciale, nel processo Minotauro alle ‘ndrine in Piemonte), il professore emerito dell’università di Torino e Roma, Nicola Tranfaglia e Dario Vassallo, scrittore e fratello di Angelo Vassallo, sindaco assassinato perché si oppose al malaffare criminale di Camorra.
In serata, alle 21, un cinema teatro Iris pieno in ogni ordine di posto, ha potuto assistere alo spettacolo “Maffia”: il regista Giuseppe Porcu ed i ragazzi del Liceo Arimondi di Savigliano hanno regalato novanta minuti di emozioni intense, profonde, in alcuni casi toccanti.
La rappresentazione delle vite di vittime di Mafia, del capitano dei Carabinieri Emanuele Basile al sacerdote don Pino Puglisi ( da poco proclamato Beato), da Rita Atria a Pio Latorre ha fatto conoscere anche a Dronero quanto i ragazzi possano intendere l’arte della recitazione non solo come mezzo di espressione della propria personalità ma anche e soprattutto come mezzo di denuncia e strumento per crescere come veri cittadini.
Fuori dalla cronaca ancora un grazie sentito a chi ciha aiutato. Vogliamo innanzitutto menzionare gli enti pubblici e prvati che ci hanno sostenuto, come il Consiglio Regionale del Piemonte, il Comune di Dronero, l’ente Fondazione Cassa di Risparmio di torino, la banca Cassa di Risparmio di Savigliano. Un sentito grazie va ad Amedeo Cilenti, responsabile organizzativo del teatro iris, ai ragazzi e alle ragazze che volontariamente hanno prestato
Il proprio lavoro, al mensile il Maira, all’associazione A.I.F.O.( amici di Raul Follerau), al suo referente di zona, Danilo Vallauri, ed al presidio Libera ( Associazioni, nomi e numeri contro le mafie) nelle persone della referente provinciale Valentina Sandroni e di tutto il presidio cuneeese per il sostegno morale e materiale. Insieme a loro ringraziamo gli istituti scolastici che hanno aderito al nostro invito: l’Istituto comprensivo “ G. Giolitti” di Dronero, e l’Azienda di Formazione Professionale ( AFP) nelle persone dei rispettivi dirigenti.
Un sentito ringraziamento va ovviamente- per la loro disponibilità e preparazione- a tutti gli ospiti intervenuti nel corso dei due giorni d’incontri, a Leonardo Guarnotta, a Francesca Bommarito e Giuseppe Porcu, agli uomini delle Forze dell’Ordine, che, con discrezione, hanno vigilato.
Un grazie infine ai rappresentanti delle Istituzioni che abbiamo visto ( Giampaolo Rovera, Alessandro Agnese, Giampiero Belliardo, Alberto Tenan, Marco Arneodo, Sergio Poetto, Claudia Bergia, ed Elio Rostagno) ed anche a quelli che non abbiamo visto tanta “società civile” e pochissima rappresentanza politica, per noi, resta un fatto preoccupante, non tanto perché bramassimo la presenza di uno stuolo di autorità ad applaudire in prima fila, ma perché quando si parla di criminalità organizzata e lo si fa seriamente,la presenze contano e le assenze qualificano.
Dronero Incontri ha inaugurato, con questo evento, il suo primo anno di attività nella veste ufficiale di associazione culturale senza scopo di lucro per fini di utilità sociale (onlus).
Ora, per continuare a guardare avanti, più che ad un vero e proprio reclutamento di soci, pensiamo ad una “caccia alle idee” che parta da due concetti fondamantali: artecipazione e comunità. Ci rivolgiamo a tutti i droneresi, giovani e adulti, che abbiano voglia di “fare” e di confrontarsi-ognuno con i propri mezzi e con il proprio punto di vista- sul destino di una comunità, vale a dire sulla “politica” intesa in senso più ampio come “cura della vita pubblica”, e su ciò che questa può offrire: cultura, arte, spettacolo, attualità, amministrazione pubblica, diritti,…
Insomma, siamo ancora convinti che ci sia chi, come noi, non si accontenta di subire passivamente ciò che ci accade intorno, ma pensa di potersi mettere in gioco per discuterne-innanzitutto-, per parlare dei temi che più gli stanno a cuore e da questi trarre una proposta, un’idea, un sogno da realizzare. Non c’è tema, un fatto o un’opinione che non possa essere approfondito e dibattuto. Quello che vogliamo fare è mettere in circolo le idee, confrontarci alla pari, in modo libero e senza vincoli, con i mezzi, i tempi e gli spazi che decideremo insieme. La nostra non è una scusa come tante altre per “occupare” una parte del proprio tempo, che non si saprebbe come spendere, ma un invito ad investire il proprio tempo e a farlo per ciò in cui si crede.
Dronero incontri è una scatola aperta da riempire con le idee di che non si accontenta di “abitare” in una città, ma vuole tornare a viverci, ad essere parte di una comunità e riprendere in mano il proprio futuro. Questo è quello che faremo, con chi ci sarà.

PIERLUIGI BALBI
MATTEO FERRIONE

DRONERO INCONTRI O.N.L.U.S.

Via Visaisa 25, 12025 Dronero (CN) c.f. 96089200049. p.iva 0350778041 Cell. 3476820375
Mail: dronero.incontri@gmail.com

Il Paradiso è un cavallo bianco

abbonamenti2014 Me lo ricordo come fosse ora, il giorno in cui nonno decise di morire. Non è che avesse particolari ragioni per passare all’altro mondo, ma non aveva più vita sufficiente a rimanere in questo.
«Alla mia età, per andarsene non serve fare gesti eclatanti», mi disse. «Basta abbandonarsi al destino: io ho ormai esaurito i miei giorni, non ho più nulla da fare; anche la legnaia è piena e tutte le cose che vi lascio sono vostre ormai da moltissimo tempo». Detto questo, si mise a letto e non si alzò più. Sul comodino teneva la Bibbia e la Divina Commedia, più, forse per controbilanciare, una raccolta di testi di Angelo Brofferio, il grande anticlericale e compare donnaiolo dell’antica Sua Maestà Vittorio Emanuele II.

Il giorno in cui si sentì pronto a morire, si fece trasportare con tutto il letto vicino alla chiesa che da San Martino di Stroppo si affaccia sull’abisso. Quando arrivai lo trovai già là, con i capelli e le coperte scompigliate da un vento che risuonava di un suono cupo, echeggiando fra gli alberi e le pareti rocciose.
«Lo senti?», mi chiese. «Mi chiama il destino. Devo andare dall’altra parte». Gli lessi negli occhi una follia che avrei voluto possedere io. Ripensai a quanti matti avevo avuto in famiglia: tutti, in fondo, felici di esserlo. Del resto il mondo è stato disonorato dai presunti sani di mente, non certo dai pazzi sigillati in manicomio: quelli pagano soltanto il caro prezzo dell’essere una minoranza.
Mi promise che, se avesse potuto, sarebbe tornato ogni tanto per uno di quei giri notturni che spesso avevamo fatto. Le chiamavamo “passeggiate a cavallo”, ma in realtà erano soltanto itinerari a piedi, in compagnia dell’asina Magali che, da quando era andata giù per un dirupo, soffriva d’insonnia ma in compenso aveva assunto un portamento davvero regale.
Mi chiese di cantargli Mè ritorn, una canzone di Brofferio che parlava di prigionia. Lo guardai con occhio interrogativo, e lui mi rispose con tono ironico: «La dedico a voi che restate dietro queste sbarre». Io cantai quelle parole che, nonostante tutto, avevano un che di allegro; e quando finii lo guardai sorridendo, ristorato nell’umore. Ma lui, approfittando della mia distrazione, aveva già provveduto a morire.
Il funerale fu molto strano, perché, mentre il prete pregava, gli amici di mio nonno facevano ben poca attenzione: parlavano fra loro e parlavano alla bara, non solo come se il defunto, da dentro, potesse sentire, ma come se potesse anche rispondere, e come se anzi stesse rispondendo davvero. Quando lo misero sotto terra, tutti lo salutarono come si saluta qualcuno che si rivedrà l’indomani. Senza solennità, piuttosto con naturalezza. Tornai a casa con animo inaspettatamente leggero, senza malinconie.
La sera, quando ormai il sole se n’era andato da molto, sentii il solito bussare alla porta. Quando uscii fuori, vidi davanti a me mio nonno in persona. «Questa volta la passeggiata a cavallo la facciamo davvero», disse, e subito vidi che teneva per le briglie un bel cavallo, bianco come la neve, che buttava fuori dalle narici degli spessi sbuffi di vapore.
Ci salimmo sopra e quello fu il più straordinario viaggio a cavallo che io avessi mai fatto. Galoppammo verso Caudano, in linea retta, con gli zoccoli della bestia sovrannaturale che attraversavano il cielo come se fosse la migliore delle strade. Chiesi a mio nonno come fosse il mondo dopo la morte. Mi rispose che non era proprio come l’avevano descritto i preti, ma che comunque un cavallo l’aveva rimediato, e tanto bastava. Il suo tono era tutt’altro che insoddisfatto.
Chiacchierammo moltissimo, di tante cose diverse. Lui non era affatto cambiato, e la cosa mi commuoveva. Avevo paura di stare sognando o di stare impazzendo, ma non era così: era tutto perfettamente vero. Quando ci lasciammo, a due passi da casa, mi prese però una grande tristezza. Come avrei potuto raccontarlo a qualcuno? Nessuno mi avrebbe creduto e forse mi avrebbero anzi rinchiuso in qualche gabbia, come avevano fatto coi miei antenati.
Passando davanti all’osteria, vidi che c’era ancora la luce accesa ed entrai. I suoi amici erano tutti lì; io non resistei e raccontai della notte passata con mio nonno. Dopo un attimo di silenzio, uno di loro mi rispose: «Non è possibile: lui ha giocato tutta la notte a carte con noi». Ancora un istante di silenzio e poi, tutti insieme, scoppiammo a ridere. Ecco come stava sfruttando i suoi poteri di uomo passato a miglior vita: stava facendo, tutte contemporaneamente, le cose che più amava fare. Qualcuno pensò che d’ora in poi sarebbe stato meglio chiudere la casa a chiave, che quello poteva portarti in osteria e, nello stesso tempo, andare a svuotarti la cantina.

In ogni caso, mio nonno non se ne andò mai, perché, da bravo anticlericale, pensava che la «miglior vita» fosse dopotutto quella che aveva sempre fatto.
Ancora adesso è affezionato a questi posti, benché ormai spopolati; d’inverno lo puoi vedere, come una divinità dei boschi, mentre con passo leggero attraversa i crinali innevati. E poi, non appena torno in paese e dal mio comignolo si alza il fumo della stufa, lo sento arrivare a gran velocità in groppa al suo cavallo.
Eccolo, sta proprio venendo ora. E si commuoverebbe perfino il prete, a sentirlo cantare Brofferio, mentre ancora una volta si avvicina alla mia porta:

Bondì, care muraje
teile d’aragn, bondì,
vedd-ve ch’i son tornàje?
Guardéme torna sì…