Acceglio e la salvaguardia dei sentieri

maira Interessante promozione per la cura di un bene comune

All’escursionista attento non saranno passati inosservati i nuovi pannelli che il comune di Acceglio ha recentemente posizionato all’imbocco dei sentieri più frequentati della zona. Si tratta di un’iniziativa volta a sensibilizzare tutti coloro che amano frequentare la montagna e soprattutto lo vogliano fare con la consapevolezza che un piccolo contributo da parte di tutti può portare a grandi risultati.

Il concetto è semplice: dedica 10 minuti della tua gita per prenderti cura del sentiero che stai percorrendo. In che modo? Rimuovendo rami secchi o pietre smosse che potrebbero ostacolare il cammino, realizzando piccoli “ometti segnavia” tanto utili in caso di nebbia e anche segnalando all’ufficio comunale eventuali paline rotte, passerelle danneggiate…Insomma, tante semplici azioni necessarie se si vuole continuare a usufruire in tutta sicurezza di un bene comune.

Altra importante iniziativa riguarda la promozione della storica via attrezzata degli alpini al monte Oronaye (3.100 m slm), ufficialmente aperta al pubblico dopo i lavori di ripristino degli scorsi anni curati dai volontari del soccorso alpino, guide alpine e guardia di finanza. Anche qui 4 pannelli informativi collocati in punti strategici lungo il confine italo-francese, illustrano le difficoltà e le modalità di percorrenza della salita. D’obbligo l’utilizzo dell’attrezzatura tecnica: imbracatura, corde di sicurezza, moschettoni, dissipatori, scarponi e casco. Si tratta di un itinerario di arrampicata sportiva parzialmente attrezzato con appigli artificiali ed un cavo di sicurezza che facilitano la progressione, idoneo a persone esperte, ma possibile a tutti se accompagnati da una guida alpina.

Comune di Acceglio

Acceglio, 16 agosto 2012

Capelli belli, venite parone

Provenzale Da Elva al Friuli sulle orme di «pelassìers» e «cjavelârs»

La storia famosa dei raccoglitori e venditori di capelli di Elva mancava ancora di un tassello, le testimonianze di chi li “produceva”: e per conoscere questo aspetto poco noto il regista Fredo Valla si è recato insieme al collega triestino Nereo Zepier nei paesi d’origine dei capelli bellissimi che ornavano le nobili teste – pelate e non – dei ricchi di mezzo mondo. Lì ha raccolto in un documentario «Cjavelârs e_Pelassìers» le storie di quei tempi grami in cui la miseria costringeva i montanari di tutto l’arco alpino ad arrangiarsi e le donne, come spesso succede, davano una… mano non indifferente.

“Il racconto è condotto su due registri, prima quello dei raccoglitori poi quello dei venditori, o meglio le venditrici” dice Valla, premettendo che quando si parla di «cavié» si intende un termine non corretto in quanto piemontese, il «cavej»; in occitano il totalmente diverso «lou pel», in friulano il più simile «cjavel». In auge fino agli anni ’50, il «capellaio» partiva da Elva a Codròipo (Udine), paese un po’ più grande di Dronero, percorrendo quella che si può definire la via della seta umana, mesi di viaggio, qualche lettera a casa. Quasi tutti gli elvesi lavoravano il prezioso elemento esportandolo in tutto il mondo. “In Inghilterra i lord volevano i capelli bianchi. Il mercato era più facile in America, meno pretese, gli Americani sono fatti… con la piòt!” commenta un anziano pelassìer. I capelli umani, che non marciscono, venivano usati anche per le gomene delle navi, integrandoli con la canapa.
Quando arrivavano i piemontesi, per le vie di Codròipo era tutto un raccomandare alle ragazze di non mostrare i capelli. “In paese chiamavano le donne per la vendita: parone! Parone! Ma noi non capivamo il loro dialetto, e nemmeno si usa da noi chiamarci così, forse volevano farsi sentire meno estranei, poi però fra loro parlavano alla vostra maniera” dice una testimone ex venditrice. Vendevano i capelli per un pezzo di tela, di stoffe per vestiti in quella Carnia arida e povera. Con un chilo (ma quante teste per un chilo?) una famiglia stava benino per un po’. Tante piccole storie di chi vendeva, le ragazzine piangenti, la vergogna di mostrarsi col fazzoletto in testa. “Una donna veniva picchiata dal marito quando lui dubitava che avesse speso i suoi soldi, si è fatta rapare e poi gli ha detto, allora di chi sono questi soldi adesso?” E i soliti pettegolezzi. “Quando un bambino nasceva senza padre, si diceva fosse figlio del cjavelar…”
I quali poi, dopo i misfatti (anche quelli, forse) tornavano a Elva per la festa di s. Pancrazio col meraviglioso carico per la lavorazione. I capelli del nord – in particolare friulani ma anche val d’Aosta, appennino parmense – erano famosi per la loro bellezza, il colore chiaro, la finezza: molto più pregiati di quelli meridionali, più spessi e scuri; guardare certe foto d’epoca di fanciulle con chiome ondulate lunghe fino alle ginocchia, anni e anni di cura e crescita, poi sacrificate all’altare della vanità dei ricchi, stringe il cuore.
“Il film”, conclude Valla “è stato anche un esperimento perché è il primo film in lingua occitana e friulana, con sottotitoli in italiano. Siamo convinti di avere fatto un lavoro utile per la salvaguardia di lingue e tradizioni locali, ma anche per permettere alla gente di esprimersi non solo coi linguaggi del passato, ma anche usare i nuovi mezzi in modo fruibile”.

M. Teresa Emina F. Valla e N. Zepier
«Cjavelârs e_Pelassìers»
Ed. Chambra d’Oc, 2012

http://www.chambradoc.it
http://www.fredovalla.it

Le parole e i fatti

Provenzale UN RICORDO DI PIETRO PONZO

Sabato 11 agosto,la frazione Preit, nell’ambito dei festeggiamenti per S.Lorenzo, ha ricordato, nel ventennale della morte,Pietro Ponzo, autore dei volumi”Val Mairo la nosto” e “Val Mairo, viejo suhour”e collaboratore assiduo per circa vent’anni del periodico “Il Drago”.

L’Amministrazione Comunale di Canosio, in collaborazione con Coumboscuro Centre Prouvençal, con la sua famiglia e con il contributo della Fondazione CRT ha voluto che la memoria di Ponzo venisse conservata con la ristampa delle sue due opere principali, con l’intitolazione di una piazzetta nel centro della borgata e con una cerimonia in chiesa. Qui sono state proiettate in video testimonianze sulla sua vita e sono state presentate riflessioni sul significato e sul valore dei suoi scritti dal sindaco Roberto Colombero, da Sergio Arneodo e dalla sottoscritta.
Penso doveroso lasciare anche attraverso le pagine del “Dragone” (allora Il Drago) a cui lui era affezionato ed assiduo collaboratore,un suo ricordo.
Ebbi la fortuna di incontrare e di conoscere Pietro Ponzo nei primi anni 70.
Ero allora all’osteria Oriente, sede del Drago e ricordo che era venuto per consegnare un suo articolo, il primo di una lunga serie, intitolato “Le parole e i fatti”, pubblicato sul numero 11 del 1972.
Da allora, ogni volta che aveva uno scritto, lo vedevo arrivare, generalmente di lunedì, mentre andava al mercato , con la borsa da cui traeva dei fogli protocollo scritti con una grafia ordinata e precisa. Non solo li consegnava, ma amava commentarli, discutendo su qualche episodio o qualche notizia che gli aveva offerto lo spunto e la motivazione per scrivere.
Capii ben presto che il titolo del suo primo articolo era il filo che legava tutti i suoi racconti, le sue riflessioni, lo stesso suo stile di scrittore. Non usava mai parole vane, ma sempre le sue frasi riportavano concetti, fatti reali che esternava in un lungo e , a volte complesso, periodare.
Poco alla volta, da riservato, un po’ chiuso, timido forse, cominciò ad aprirsi, a raccontare ed era per me un piacere ascoltarlo. Era una miniera inesauribile di conoscenze.
Da lui ho imparato tanto sulla vita, le usanze,i personaggi, le fatiche degli abitanti della valle; ho potuto riflettere sul fenomeno imponente dell’emigrazione, prima stagionale e poi stanziale, soprattutto in Francia.
In ogni circostanza però, in ogni personaggio, Ponzo faceva emergere sì le difficoltà del vivere ma evidenziava anche la dignità, la serietà, l’onestà, lo spirito di collaborazione della nostra gente.
Amava sottolineare sempre l’importanza dell’istruzione, della scuola, della cultura, lui che, quasi autodidatta, aveva imparato ad apprezzare i libri dalle lezioni che la vita gli aveva impartito sia in Francia, sia a Preit, sia durante una lunga malattia, sia con le difficoltà pratiche del vivere quotidiano in montagna negli anni duri della guerra e del dopoguerra.
Non era però soltanto un rievocatore o un esaltatore dei valori del passato, ma era anche un attento ed acuto conoscitore dell’attualità ed aveva la grande dote di “indignarsi” di fronte a quelle che riteneva ingiustizie perpetrate soprattutto ai danni della gente di montagna. Si arrabbiava con i politici che non avevano fatto nulla per frenare lo spopolamento della montagna che, anzi, avevano favorito a vantaggio dei grandi complessi industriali della pianura.
Assistere al depauperamento, all’abbandono delle case e di intere borgate lo faceva veramente soffrire ma, con le sue parole, cercava di esortare alla speranza, ad un ritorno e ad una ripresa di vita “diversa” sui monti.
Pur conoscendo l’asprezza, la fatica del vivere in questi posti, pensando alle potenzialità della valle, aveva in mente una possibile valorizzazione di un turismo responsabile ed attento alle bellezze naturali ed artistiche del territorio.
Si augurava che il patrimonio di umanità lasciato dai nostri antenati,non andasse disperso ma restasse come un faro luminoso per indicare ai più giovani la via da seguire.
I suoi racconti sui personaggi tipici, sui mestieri di un tempo, sulle problematiche relative, in particolare, alla Valle Maira erano diventati una rubrica fissa intitolata “Paesi nostri” e vennero poi raccolti dopo la sua morte, nel libro “Gent de ma valado – una voce dalla valle” edito da Il Drago e da Coumboscuro Centre Prouvençal.
E’ stato bello e commovente vedere riunita , nella chiesetta del Preit, tanta gente per parlare di Pietro Ponzo a vent’anni dalla morte, per rendere onore e riconoscenza al contributo da lui lasciato perché i valori fondanti del vivere della gente “umile”delle nostre borgate disperse sui monti continuino ad essere elementi di speranza e di fiducia nel futuro pur nei difficili momenti che stiamo attraversando.

Elda Gottero

FotoSlow racconta…salendo al colle Maurin Valle Maira 1912-2012

Provenzale Omaggio a Luigi Massimo senior

Ancora un’esperienza da non perdere al Mulino della Riviera. Facile, nel macinare lento degli antichi ingranaggi lasciarsi andare a suggestioni d’altri tempi davanti al prezioso scorrere delle immagini in bianco e nero che documentano una gita di 100 anni fa al Colle Maurin.

L’alba limpida sorprende i quattro uomini in zona Chiappera: si sale a passi misurati respirando emozioni. Più su, si monta la grande tenda da campo, uguale a quella apparsa sui giornali proprio in questi giorni per raccontarci una passeggiata del re Vittorio Emanuele a Ceresole reale : a grandi spicchi bianchi, fermata a terra da picchetti metallici. I nostri amici si mettono in posa. Impareremo via via a conoscerli e riconoscerli: hanno due belle macchine fotografiche, una si può ammirare tra le mani dell’uomo che indossa un berretto alla Sherlock Holmes, l’altra non appare, sempre intenta com’è a immortalare i protagonisti dell’escursione, eleganti e compiti. Non è tempo di istantanee : se vuoi una fotografia nitida, devi star fermo in posa, finché la luce non abbia fatto il suo lavoro sulla lastra o sulla pellicola al collodio! Si va su con giacca a redingote e pantaloni alla zuava, stretti da ghette ; in testa un bel cappello a tesa larga e un berretto di lana per la giovane guida che li accompagna. Quando il sole picchia, sul nevaio, si sta in maniche di camicia e gilet procedendo legati in cordata; se fa freddo, provvidenziali tabarri li avvolgono. Molte fotografie fermano nel tempo le soste e i bivacchi: il grande cesto di vimini si apre attrezzatissimo e invitante, si mangia di gusto, c’è perfino il tempo per una breve lettura , una tirata di pipa, qualche schizzo sul taccuino da viaggio, un momento di contemplazione assorta delle care montagne. Gli incontri si fanno preziosi momenti di scambio tra due mondi lontani: un pastore avvolto nel lungo pastrano che lo rende simile, a prima vista, ad un curato; una famiglia che si lascia fotografare sulla soglia della baita, una giovane donna che si appoggia al muretto di pietre, con il grembiule a fiori sul vestito a quadretti, un po’ in soggezione davanti ai giovani che vogliono una sua fotografia. Immagino lo scambio di battute in occitano, visto che gli escursionisti tra cui riconosciamo, grazie al figlio, Luigi Massimo, erano originari delle nostre valli; avranno raccontato loro qualche novità , fatto qualche riflessione sul tempo, sulla vita giù in paese, sulle montagne, chiamandole per nome come gente di famiglia: lou Castel, lou Provencal, lou Ciarlaras, lou Chambeyron…E riconosciamo che sono loro, le montagne, i protagonisti veri di questo emozionante reportage: in una foto , davvero ricca di significato, vediamo i tre amici di spalle, fermi sul colle Maurin, a sinistra il gruppo della Torre Castello e della Provenzale: si percepisce nettamente l’emozione che pervade loro e l’amico che sta realizzando lo scatto; alziamo gli occhi insieme e desideriamo, come sicuramente hanno fatto loro in quella lontana primavera del 1912, catturare un po’ di quella bellezza e portarla via.

Nazarena Braidotti

10 domande alla Comunità Montana Valle Maira

maira Nel consiglio di Comunità Montana del 3 maggio un coro di voci contrarie aveva accolto la proposta del presidente Roberto Colombero, su suggerimento del consiglio di amministrazione della Maira spa, che la Comunità Montana rinunciasse al controllo della stessa.

Obiezioni vibranti contro la perdita della maggioranza pubblica di una risorsa della valle, accuse di poca trasparenza per l’acquisto della Coralba, addirittura l’annuncio di dimissioni di un consigliere. Risultato: aggiornamento della decisione ad un successivo consiglio fissato pochi giorni dopo.
Tre giorni dopo, nel nuovo consiglio, il film è un altro. Il giudizio dei consiglieri è completamente cambiato: due voti contrari, due astenuti, gli altri tutti favorevoli compreso il consigliere che minacciava dimissioni.
La Comunità Montana approva la decisione del consiglio della Maira di emettere 1.517 nuove azioni per €. 1.253.466,76 e di cedere 339 proprie azioni ad altri enti pubblici.
Il risultato dell’operazione si può cosi riassumere: la Comunità Montana scende al 33,5%, si identificano nel BIM Valle Grana e Maira, nella Fondazione Acceglio (non è un ente pubblico ed è da costituire), nella Comuni Riuniti, nel BIM della Valle Po i nuovi partners che dovrebbero acquisire il 16,50%.Il socio privato Hydrodata scende al 33,5% e l’altro privato (Intecno srl.) sale al 16,50%. Risultato la Comunità Montana perde il controllo e con i soci pubblici, se sottoscriveranno, potrà al massimo raggiungere il 50%, perdendo il ruolo di guida che avrebbe potuto esercitare.
Il Presidente Colombero, nella sua relazione, afferma che l’operazione “ è parte della strategia di consolidamento, ammodernamento e crescita della società, una revisione evolutiva del proprio assetto di compagine e “governance”, tesa a migliorare la capacità di agire negli interventi e insieme a contribuire a una maturazione del sistema di relazioni che la legano al territorio (ai territori) di riferimento e alle istituzioni ivi presenti”. Bella e impegnativa frase, ma che ci “azzecca” con la rinuncia al controllo della società che sfrutta le risorse idriche della valle ?
Con queste premesse mi è veramente incomprensibile il voto del consiglio di Comunità Montana. La firma di una serie di patti parasociali fra Hydrodata e Comunità Montana – che, a mio avviso, vincolano più la Comunità Montana che non Hydrodata e che comunque non coinvolgono l’altro socio privato – mi appaiono assolutamente poco convincenti per la rinuncia a questo diritto.
Per poter meglio capire mi piacerebbe avere una risposta a queste domande:
1. E’ stato detto che uno dei motivi del cambiamento era per un più facile accesso al finanziamento bancario. Che significato può mai avere una variazione della composizione pubblico/privata solo dell’uno per cento ?
2. Chi e con quale metodologia ha valutato il valore dell’attuale Maira spa in € 4 milioni?
3. La Maira spa possiede un impianto a Frere 2 che è costato 6 milioni di euro, il consiglio è stato informato che nel 2011 ha prodotto energia per €, 1.860.000, nello stesso anno ha dato un utile superiore ai 300.000 euro, sta costruendo una nuova centrale e le concessioni hanno una durata trentennale. La valutazione è congrua?
4. Quali sono i tempi di sottoscrizione dell’aumento di capitale e di passaggio delle quote?
5. Se parte delle quote “pubbliche” non viene sottoscritto cosa succede ?
6. Da quanti membri sarà composto il prossimo Consiglio di Amministrazione ? Lo statuto ne prevede tre o cinque. Con la nuova composizione degli azionisti nel caso di 3 membri verrebbero eletti due consiglieri dei privati e uno solo del pubblico.
7. Quali sono i motivi per cui Maira spa emette un prestito obbligazionario di €. 1.000.000 ?
8. Perché il Consiglio di Comunità Montana autorizza l’ente a sottoscrivere questo prestito obbligazionario “nel caso in cui la cessione di azioni abbia avuto esito positivo ed esclusivamente nei limiti di quanto incassato con quell’operazione, in modo da reinvestire nella società Maira spa la medesima somma” (punto nove della delibera votata). Cioè la Comunità Montana non sottoscrive l’aumento di capitale, perde la maggioranza ma si impegna a investire in obbligazioni della Maira spa fino a €. 1.000.000. Per mantenere la maggioranza bastavano €. 625.000. Qual è il senso di tutta questa operazione?
9. Perché non sono stati chiesti agli amministratori di Maira, presenti in consiglio, chiarimenti sulle operazioni Coralba e Campo Base che hanno drenato in due anni una cifra vicina a quella richiesta per l’aumento di capitale ?
10. Quali sono i motivi che hanno guidato i 3 consiglieri di Maira spa eletti in quota pubblica a proporre la rinuncia alla quota di maggioranza al proprio ente di riferimento ?/colgroup

Le montagne si parlano … convegno S.Damiano Macra

valle La tavola rotonda di giovedì 19 luglio “le montagne si parlano” (tutti gli interventi sono scaricabili da http://centrogiolittidronero.it/Le_montagne_si_parlano_video.html ) è una delle tappe di un percorso iniziato da Pradleves a maggio dell’anno scorso in un incontro organizzato dai sindaci dei comuni di Pradleves, Monterosso Grana, Castelmagno e Valgrana dove c’erano amministratori e gente del monte, ma anche Confindustria Piemonte, università, associazioni di categoria ed intellettuali..

In quella occasione è stato anche presentato dal prof. Andrea Dematteis del CERIGEFAS di Sampeyre il progetto pilota della Val Varaita, progetto innovativo, anzi rivoluzionario, esemplare per l’arco alpino.

Bei contributi in allora di Annibale Salsa e Werner Batzing, anche il mondo della cultura si sta mobilitando (gli atti sono a disposizione) e lì si era deciso di estendere alle altre regioni il dibattito sulla “questione montana”, innescando una bella reazione a catena che ha contagiato l’arco alpino.

Il 10 dicembre scorso al Pirellone di Milano il seminario “la montagna di fronte alla crisi” organizzato dai Quaderni Valtellinesi (Dario Benetti) e Ruralpini (Michele Corti) e preparato in un incontro precedente con Robi Ronza (giornalista e scrittore, direttore della rivista Confronti della Regione Lombardia), Giancarlo Maculotti (sindaco di Cerveno, Sondrio, presidente ass.ne Incontri TraMontani) e da me, in rappresentanza del Patto per le Alpi piemontesi.

Lì abbiamo deciso di far sentire la voce delle Alte Terre con l’obiettivo di vivere il monte e di contribuire a pensare un avvenire possibile parlandoci in modo trasversale alle Alte Terre tutte.

“Le montagne si parlano”, appunto!

Poi a Sondrio, dove c’erano stati altri incontri a livello locale, abbiamo preparato un primo “manifesto” (allegato 1 – http://www.valtellinanelfuturo.it/ ) sul quale ora lavoreremo.

Poi a Barcellonette l’incontro con allevatori e pastori dell’Ubaye organizzato dagli Indignes de L’Ubaye e Eleveurs e Montagne, anche loro presenti a San Damiano. Là si è parlato del lupo e del danno che è arrivato col lui e un allevatore ha giustamente detto che una cosa buona il lupo l’ha comunque fatta, facendoci unire le forze e le idee per continuare a vivere il monte senza guardare confini, parti e geografia.

Intanto in provincia di Cuneo le cose sono andate avanti, si è discusso di lupi, ma si è discusso anche delle difficoltà di vivere il monte e si è dato seguito a quanto affermato nel Patto delle Alpi che aveva creato una aggregazione interessante, trasversale alle parti e alla geografia ed è nata l’associazione Alte Terre, di cui allego la “carta degli intenti” (allegato 2).

Le montagne da un po’ di tempo si parlano, non è né semplice ne usuale che questo capiti, l’essere montanaro porta a un individualismo evidente, ma che da sempre si è accompagnato ad un approccio comunitario, indispensabile per vivere il monte, una approccio che ora dobbiamo riscoprire e mettere a denominatore comune del nostro agire.

Da Sondrio Enrico Dioli (già presidente della Provincia) ha illustrato il bellissimo documento che allego (allegato 3) e che da l’idea del taglio del “pensiero alpino” e sempre da Sondrio la simpatica poesia di Giancarlo Maculotti, sindaco di Cerveno (allegato 4) chiosa sul significato del “parlarsi”.

Noi montanari maggioranza non lo saremo mai, ma possiamo, questo sì, confrontarci sul piano delle idee, delle proposte, dell’esercizio intellettuale, tutte cose che seguono altre strade e non rispondono alle regole del maggioritario e su questo piano il confronto deve essere tra pari.

La crisi che stiamo vivendo non è una crisi contingente, non è come le due degli anni ’20 del secolo scorso, questa è la prima crisi strutturale della modernità, non sappiamo dove ci condurrà, ma dobbiamo essere coscienti che saranno messi in discussione dei fondamentali della attuale civiltà e qui le Alte Terre possono dare un loro contributo.

Quella di San Damiano è stata una riunione di lavoro, una occasione per conoscersi di persona, perché fortunatamente ora si lavora per vie telematiche, ma è indispensabile trovarsi di persona e guardarsi nella palla dell’occhio ogni tanto per capire se le lunghezze d’onda del pensiero collimano.

Le Alte Terre possono diventare un laboratorio di pensiero che può attingere a un passato che qualcosa ha insegnato sul fronte delle capacità organizzative e strumentali per gestire situazioni difficili.

E’ uno sforzo collettivo quello che va fatto, non possono farcela da soli né la politica, né l’accademia, ne le organizzazioni sindacali, qui nessuno si salva da solo e bisogna innescare dei cortocircuiti attraverso strati della società che devono imparare a confrontarsi e a collaborare.

Le AlteTerre ci stanno pensando, unendo le energie della montagna ricca, di quella povera e di quella poverissima e cercando una collaborazione nuova con la pianura.

Ha ragione la dott.ssa Anna Giorgi, della sezione di Edolo dell’università di Milano a dire nel suo intervento che:

“il futuro delle aree montane deve passare e può passare solo attraverso le teste e le mani di chi in montagna ci vive, che deve recuperare il senso del proprio ruolo fondamentale, abbandonando la logica assistenzialista a cui siamo stati assoggettati da politiche “urbano- centriche”, che peraltro, stanno mostrando fragilità impensabili anche solo una decina di anni fa. Il momento è propizio proprio per questo, dobbiamo cambiare e le fasi di cambiamento possono favorire le proposte alternative, a patto che siano ben pianificate, credibili, sostenibili e ben rappresentate. L’idea di organizzare una “forza” endogena alpina è strategica davvero, siamo in pochi in ogni singola valle, ma se uniamo tutte le valli siamo in tanti e, che piaccia o no, “occupiamo” un territorio ricco, luogo di confine, punto di passaggio, ricco di risorse, acqua, prodotti tradizionali, qualità della vita ecc., ricchezze che possono rendere se ben gestite, ma è necessario che la pianificazione sia “alpino-centrica”.

Anche le Regioni Autonome possono recitare una parte sostanziale e l’On.le Luciano Caveri, presente come Capo della Delegazione italiana al Comitato delle Regioni e di cui allego un contributo, nel suo intervento è stato chiaro al riguardo.

Ora parlarsi non basta più, qui occorre organizzarsi, ci stiamo pensando, le idee ci sono e lavoreremo a un passo organizzativo più strutturato per dare potenza alle nostre proposte, anche se questo non è semplice.

A San Damiano Macra si è deciso di continuare su questa strada e di organizzare in autunno un evento a livello di arco alpino tutto per presentare le proposte delle Alte Terre e se fino a San Damiano si poteva dire “le montagne si parlano”, ora invece “le montagne si parlano e si organizzano”!

Mariano Allocco

Acceglio ricorda Matteo Olivero

Maira-NoLimits Acceglio ricorderà Matteo Olivero, il “suo” pittore nei giorni di Ferragosto, su iniziativa della PROLOCO O’BACCO di Frere, con la collaborazione della Comunità Montana, del Comune di Acceglio e di Maira spa

In particolare, lunedì 13, con inizio alle ore 17, si terrà, nella Sala Polivalente in borgata Frere, una conferenza, a cura del critico d’arte e scrittore Roberto Baravalle,con proiezione di numerose immagini riguardanti la vita e le opere dell’artista.
Saranno anche presentate una serie di riproduzioni dei suoi lavori che saranno collocate, in futuro, in valle (S.Damiano Macra, ecc..) in modo da sottolineare il legame tra lui e l’alta Valle Maira.
La mattina dello stesso giorno verrà scoperta una targa ricordo a Pratorotondo.
Matteo Olivero (Acceglio 1879 – Saluzzo 1932) è, con ogni probabilità, l’artista moderno più importante che la Provincia di Cuneo annoveri. Sicuramente, il maggior pittore “di montagna”, di tutti i tempi, attivo nella Granda, e uno degli esponenti più importanti del Divisionismo italiano, la corrente pittorica alla quale fu sempre indissolubilmente legato.
Altro legame indissolubile fu quello con le montagne tra le quali era nato e alle quali ritornò con regolare frequenza per tutta la vita, tra un soggiorno a Torino e uno a Venezia, tra una mostra a Parigi o a Bruxelles, tra una Biennale e una Quadriennale, alternando Acceglio con le lunghe permanenze a Saluzzo e in Valle Varaita, raccogliendo successi e riconoscimenti e anche amarezze e delusioni.
Amarezze e problemi che si stemperavano però tra le vette e i pascoli dell’Alta Valle Maira, dove ritrovava, almeno transitoriamente, il proprio equilibrio e dove realizzò tanti capolavori, osservando il sole, la luce, la neve, estraendo dalla sua tavolozza i magici blu, i viola, i verdi. In grandi composizioni, preparate per le esposizioni importanti o in piccole tavolette, magistralmente e rapidamente dipinte.
“La maggior parte dei miei quadri di paesaggio li ho eseguiti nell’alta valle Macra; e direttamente dal vero; la natura solo mi è maestra” scriveva Olivero nel 1908, in una sua breve autobiografia.
“In Matteo Olivero l’amore per la montagna è un trasporto viscerale, s’identifica con il culto per le proprie radici” ha scritto nel 1994 Giuseppe Luigi Marini lo studioso che, assieme ad Angelo Dragone e a Miche Berra, è stato colui che più a fondo si è occupato dell’artista, contribuendo – tutti, se pure in modo diverso – alla promozione di Olivero da artista di grande successo “provinciale” alla dimensione nazionale.
Ebbe in vita amicizie importanti, appoggi e riconoscimenti, dai coniugi Galimberti al senatore Burgo, presso la cui casa amica compì il gesto estremo che doveva portarlo alla morte ma negli Anni Trenta, altri erano i gusti e le tendenze in Italia. Persona buona, “alla mano”, sempre disponibile, buon compagno, era però travagliato da ansie profonde. Il rapporto intensissimo con la madre, che tanto lo aveva sostenuto e aiutato, si interruppe alla morte di questa nel 1930 e Olivero si sentì solo. Nella montagna cercò ancora conforto ma il suo destino, evidentemente, lo chiamava. Dopo la sua morte, sul suo cavalletto, fu rinvenuto un quadro che ritraeva un paesaggio alpestre.
Acceglio vuole ricordare questo suo figlio, grande e sfortunato, cultore delle nostre montagne, osservatore, frequentatore della poesia che da esse traspare e che, ancora oggi, molti cercano e, se sanno mettersi nel giusto atteggiamento, trovano.

Ha collaborato all’allestimento della mostra e all’organizzazione della manifestazione: Dario Ghibaudo, estimatore della pittura dell’ 800 / 900.
La parte video-immagine della mostra è stata curata dallo studio San Firmino (Manta) di Ugo Giletta”.

Il libro fa il monaco, i (quasi) 60mila libri di padre Sergio

Maira-NoLimits “I libri sono il sale della vita” proclama parafrasando il famoso slogan del poeta Tonino Guerra, o come diceva don Rossa “attraverso le pagine conosco, imparo, cresco. Chi lavora con le mani, il cervello, il cuore è un artista”. Padre Sergio De Piccoli, ottantenne monaco benedettino di Pavia è uno dei personaggi più caratteristici e famosi della zona.

“I libri sono il sale della vita” proclama parafrasando il famoso slogan del poeta Tonino Guerra, o come diceva don Rossa “attraverso le pagine conosco, imparo, cresco. Chi lavora con le mani, il cervello, il cuore è un artista”. Padre Sergio De Piccoli, ottantenne monaco benedettino di Pavia è uno dei personaggi più caratteristici e famosi della zona. La sua vita è già stata fotografata, intervistata, ripresa quasi come quella di una bestia rara o non endemica, eppure lui non vede nulla di strano nella sua scelta di eremitaggio, non insolita centinaia di anni fa mentre oggi fa parlare. Più di tutto incuriosisce la sua sterminata biblioteca (la più grande privata italiana) anche per la sua posizione in alta montagna. La sua popolarità ha superato i confini locali tanto che un regista varesino, Maurizio Fantoni Minnella l’ha immortalata con «I libri salvati» film-documentario “sull’amicizia, in cui trovo la bellezza, la resistenza dei luoghi che quest’uomo ha stabilito”. Non è stato molto facile da montare per rendere quella che il regista chiama “la coerenza di una scelta iniziale senza pubblicizzarla, ma con ironia”.
Il film si apre – e si chiude – con una scena famosa dal film Fahrenheit 451 (tratto dal celebre romanzo del grande Ray Bradbury, appena scomparso) quella in cui vengono bruciati tutti i libri perché sovversivi a prescindere. Seguono riprese di Marmora in autunno. Silenzio. “Non ci sono musiche né altri rumori, per rendere il silenzio. La musica non ne avrebbe reso il senso, parlano di lui gli oggetti disposti” dice il regista. Un eremita infatti vive nel silenzio per professione, e in val Maira non è difficile… Angoli di case, una sigaretta che sbuffa, passi sul selciato, lo sfogliar di pagine, il bastardino Lupo, chiacchiere di amici, sguardi. “Il montanaro si lamenta sempre: tutti i contadini lo fanno, ma lui poi…” commenta bonariamente padre Sergio.
I libri. Non solo glieli regalano, “ne compro anche. Trentaquattro anni fa, quando sono salito, ne avevo duemila”. Ora sono 58mila, ma come li cataloga? “Guardo… l’estetica nella disposizione, e poi è difficile smembrare le collane. Le case editrici sono in ordine alfabetico ma se hanno più di 10 volumi hanno una collocazione provvisoria: sono i libri che definisco in inferno, purgatorio e paradiso”. Il sacro furore del collezionista. Per aiutarlo gli hanno regalato un computer che risale probabilmente alle guerre puniche.
Fissato lo era già da giovane, leggeva i classici con la sorella. Anche appassionato di silenzi: “sono rimasto a Roma diciassette anni, e lì c’è un raccoglimento… perché la gente ha paura del silenzio. Quanto alla natura gli anziani la amano… se rende!” La saggezza degli anni o dello stile di vita. Dopo il Concilio, il richiamo alla vita semplice, e l’arrivo a Saluzzo con due confratelli originari piemontesi. Subito si è affezionato a questi posti, a quella chiesa, antico tempio pagano, lontana e anche scomoda per i parrocchiani: “Mi è venuto il mal di Marmora!” In canonica non manca mai la moka per gli ospiti, molti anche in passato giovani con problemi o alla ricerca di se stessi. Poi per via di tutti quei libri, la propaganda, la tv, i giornali. Eppure non è molto conosciuto in fondovalle, come sempre si va a cercare altre prospettive lontano dal proprio naso.
Che fare di tutti questi libri una volta che il Nostro, speriamo il più tardi possibile vada a leggere in Paradiso? “Ho paura che si disperdano, allora li ho donati al comune perché costruisse un locale adatto, un capannone ancora in costruzione, non finisce mai, forse mancano i soldi: e i libri non me li ridanno”. La querelle continua, vedremo come finisce.

M.Teresa Emina

http://www.biblioteca-di-marmora.org
http://www.fantoniminnelladoc.org

Fondazione Allemandi, il futuro

Allemandi Pietro

Intervista Presidente Fondazione ALLEMANDI Sig. Pietro Rubino
Continuiamo la nostra inchiesta sulla Fondazione Allemandi lasciandoci dietro i tempi tragici e tormentati della sua nascita per arrivare ai giorni attuali. Lo statuto prevede che i Consiglieri siano un industriale, un artigiano, un contadino, l’Arciprete ed il Pretore. Oggi il Pretore non c’è più ed al suo posto troviamo il Giudice di Pace. A questi si aggiunge il Segretario, nominato dal Consiglio, carica per tanti anni occupata dal Geom. Giovanni Olivero, ormai scomparso, che vede oggi in carica il Geom. Mauro Arnaudo.

L’attuale Consiglio, nominato nel Settembre 2010 dall’allora Sindaco Dott. Piergiuseppe Reineri, diventa operativo nel Giugno 2011 dopo una sorta di limbo istituzionale di circa 10 mesi, periodo di tempo ragguardevole per un passaggio di poteri da un Consiglio ad un altro. A questa situazione inusuale dobbiamo anche aggiungere, per dovere di cronaca, le segnalazioni, pervenute anche al nostro giornale, in merito a disservizi nella erogazione delle borse di studio negli anni che vanno dal 2006 al 2010, cioè nel periodo antecedente l’attuale presidenza Rubino.

Per cercare di capire qualcosa di più di questa importante istituzione cittadina, patrimonio di tutti i Droneresi, proponiamo una intervista all’attuale Presidente, Pietro Rubino, che, insieme a Giovanni Bianco, Piermario Giorgis, Don Graziano Einaudi, Giovanni Floris, governa pro-tempore la Fondazione.

Io e Luigi incontriamo Il Sig. Rubino insieme al Segretario Geom. Arnaudo. Rimaniamo subito colpiti dalla pacatezza e dalla serenità della persona, sensazioni ampiamente confermate alla fine della piacevole conversazione da cui trae origine questo articolo.

A pochi mesi dal suo insediamento ci può dire come sta la Fondazione, vale al dire lo stato patrimoniale, lo stato degli immobili di proprietà.
L’attuale Consiglio viene nominato dal Sindaco Piergiuseppe Reineri nel Settembre 2010 in sostituzione del precedente : Presidente Enrico Conte, Consiglieri Annalisa Simondi,Sergio Rebuffo, Einaudi Don Graziano, Floris Giovanni, Segretario Geom. Roberto Aimar.
Lo Fondazione ha una consistenza patrimoniale di circa 2.500.000 euro, 2.000.000 in immobili e 500.000 in liquidità, dotazione più che sufficiente per adempiere ai suoi fini statutari : erogare borse di studio per sostenere negli studi tecnici i giovani di Dronero e Valle Maira.
Negli anni sono stati venduti un terreno boschivo in loc. Ricogno, un terreno in Loc. Rella, suddiviso poi in 3 lotti fabbricabili, e un importante alloggio di quasi 200 mq. , in centro di Torino, dove Allemandi aveva il proprio studio.
L’attuale patrimonio immobiliare consiste in un fabbricato agricolo con annesse 5 giornate piemontesi di terreno, in loc. Rella, e un palazzo di 12 alloggi e 2 locali commerciali in Torino, Corso S.Maurizio, zona centrale. Del fabbricato agricolo parlerò dopo, in merito al palazzo di Torino posso affermare che oggi è finalmente in buone condizioni dopo una serie di lavori, di non grande entità, ma urgenti, che abbiamo realizzato in questo primo anno di mandato per un importo complessivo di spesa di circa 20.000 euro, così come abbiamo provveduto a regolarizzare la riscossione degli affitti.

Lei è stato nominato dalla precedente amministrazione, quali i rapporti con la nuova
La Fondazione ha la sua autonomia, ma è anche una emanazione della storia della città di Dronero che ne è proprietaria, per questo motivo il rapporto con l’amministrazione in carica non può che essere cordiale e costruttivo.

In passato il nostro giornale ha raccolto lettere di protesta relative a mancate erogazioni delle Borse di studio. Cosa ci può dire a proposito
Io non c’ero e quindi non posso giudicare, ma dagli atti, mi risulta, che questi ritardi ci sono stati.
Tra i primi atti del Consiglio che presiedo, insediato nel Giugno 2011, ci fu la liquidazione di quanto dovuto relativamente agli anni 2009/2010 e 2010/2011.

Il tema della trasparenza è argomento su cui il nostro giornale è particolarmente impegnato. La Fondazione in questi anni è rimasta un po’ nell’ombra. Come intende muoversi in futuro per renderla più trasparente e più conosciuta.
Tutti gli atti della Fondazione sono pubblicati sul sito del Comune di Dronero, dove rimangono visibili per soli 15 giorni.
Quest’anno abbiamo intenzione di render pubblica la cerimonia della consegna delle Borse di Studio, primo perchè ci piace l’idea di poter vedere in prima persona i giovani cui consegniamo gli assegni e poi perchè in questo modo diamo visibilità alla Fondazione e alle sue finalità.
Approfitto di questo spazio per ricordare che il bando per le borse di studio 2011/2012 è in corso di pubblicazione e le domande dovranno essere presentate entro il 31 Agosto 2012.

Quali i vostri progetti
Per prima cosa abbiamo intenzione di aumentare il budget annuale delle borse portandolo da 8.000 a 10.000 euro. In serbo però abbiamo un progetto più ambizioso, acquistare a Torino un alloggio di grandi dimensioni da adattare a residenza multipla, cioè 5-6 stanze autonome da uno-due letti, da destinare a residenza per studenti universitari di Dronero e Valle Maira. Questi studenti pagherebbero un affitto decisamente inferiore ai valori di mercato, soldi che ci permetterebbero di coprire le spese di manutenzione, e avrebbero così un servizio importante a costi molto contenuti.
Per finanziare questa iniziativa abbiamo deciso di mettere in vendita il fabbricato agricolo con le relative 5 giornate di terreno. Necessitava di un radicale intervento di manutenzione che ci sarebbe costato parecchio, con la prospettiva di poter ricavare un affitto mensile che abbiamo stimato poco remunerativo rispetto al capitale investito. Abbiamo ritenuto più conveniente utilizzare la cifra della vendita per portare avanti il progetto Residenza Universitaria, anche se la vendita non è vincolante per l’avvio del progetto stesso. Cercheremo insomma di vendere al meglio, ma non a tutti i costi, lo stato patrimoniale della fondazione ci consente di avviare il progetto anche con i mezzi finanziari attualmente disponibili e attendere per la vendita tempi migliori.

La chiaccherata è finita , ringraziamo per la disponibilità e lo spirito collaborativo dimostrato e salutiamo il Sig. Rubino augurandogli un sincero … buon lavoro.

Luigi Abello – Massimo Monetti

Fondazione Allemandi, un bene importante della Città

Allemandi Pietro

La Fondazione Allemandi è un bene importante della nostra città, esiste da più di 50 anni, ma è rimasta per tutto questo tempo un po’ nascosta, ha esercitato i suoi fini statutari, spesso nell’indifferenza, e con quel garbato pudore, così profondamente radicato nel nostro modo di essere, che spesso rischia di lasciar inaridire iniziative importanti

La Fondazione prende il nome dall’Avv. Pietro Allemandi, ultimo Sindaco di Dronero eletto, nel 1926, prima del Ventennio e poi Commissario Prefettizio dal 1^ Settembre 1943. In quegli anni sostiene ed appoggia le formazioni partigiane della Valle Maira. Viene arrestato dai Tedeschi e deportato nel Gennaio del 1944, insieme a Lugliengo,Lantermino,Marchiò,Coalova, a Gusen St.Gheorghes (Mathausen-Austria) e qui muore il 28 Aprile 1944.

Conscio della precarietà della sua situazione trasmise oralmente ad alcuni prigionieri italiani di sua conoscenza le sue ultime volontà testamentarie, uno di questi era l’Avv.Bonelli di Saluzzo che sopravvisse e trasmise alla famiglia di Allemandi le ultime volontà di Pietro.

Nel bel libro di Calandri-Cordero “Dronero 1900-1945” viene riportata la lettera che l’avv.Bonelli inviò al Sindaco di Dronero al suo ritorno (19-9-1945), lettera in cui descrive minuziosamente i fatti.

Riprendo e riassumo alcuni passaggi. Allemandi era molto preoccupato perchè unico tra i Droneresi doveva essere sottoposto ad un interrogatorio, l’interrogatorio poi si limita alla richiesta delle generalità con l’aggiunta, però, della richiesta di indicare le persone in Italia cui comunicare il suo eventuale decesso. Questo lo convinse sempre di più che era sul punto di venire ucciso. Confidò all’amico Bonelli di essere preoccupato perchè temeva che la sua eredità non venisse raccolta da chi era designato nel testamento e lo mise al corrente di tutto ciò al fine potesse, in caso di sopravvivenza, dare tutte le indicazioni per ritrovare il testamento(ove possibile) e di mettere gli erewdi nella condizione di conoscere la sua volontà e far valere(ove giuridicamente possibile) la sua volontà stessa. A parte l’usufrutto al fratello Ing. Carlo e qualche piccolo altro legato lasciò come erede universale il Comune di Dronero allo scopo che il suo patrimonio contribuisse all’erezione di una Scuola Professionale Comunale.

Colpisce,nella lettera, l’affermazione del Bonelli circa l’impossibilità che i prigionieri avevano di un semplice pezzo di carta e di una matita per poter scrivere quanto erano costretti ad affidare alla memoria.

Così come Allemandi temeva, il suo testamento venne bruciato, insieme ad altri documenti, dai tedeschi durante una perquisizione, il fratello Ing. Carlo diede seguito alle volontà del fratello e dispose un lascito di Lire 40.753.300 a favore della nascente Fondazione “Allemandi Pietro”.

Con delibera del 22 Ottobre 1956 il Consiglio Comunale di Dronero approva lo statuto che definisce lo scopo della Fondazione “Erogare ogni anno più borse di studio a favore di giovani studenti nati e residenti nel Comune di Dronero ed in quello di S.Damiano Macra, appartenenti a famiglie disagiate ed avviati con profitto agli studi in una scuola professionale (industriale o agricola).”

Ad oggi il patrimonio immobiliare è costituito da un intero fabbricato, composto da 12 alloggi e 2 locali commerciali, sito in Torino Corso San Maurizio 34 e una cascina in Loc.Rella – Dronero con 5 giornate piemontesi.

Ci sembrava giusto riaccendere i riflettori su un Dronerese importante,generoso e lungimirante ed in particolare sulla Fondazione da lui pensata in un momento tanto tragico della sua vita. Nel prossimo numero parleremo della Fondazione nei giorni nostri e dei suoi progetti per il futuro.

Massimo Monetti

Allemandi Pietro

Casa Corso San Maurizio,34 (a destra l’Università)