Pietre d’inciampo – Stolpersteine

La cronaca della giornata

L’illusione di un ritorno a casa

Il racconto della posa delle Pietre d’Inciampo – 13 Gennaio 2020   

La cronaca della giornata
Al centro, in prima fila, Gunter Demnig

Di fronte a casa Lugliengo, sotto gli alberi di Viale Stazione, ci sono tutti: le autorità, le associazioni, A.N.E.D e A.N.P.I, con le loro bandiere e i loro colori, la stampa locale, la polizia e i tecnici comunali.

Ma sopratutto ci sono loro, i parenti: nipoti e pronipoti dei cinque deportati. Si avvicinano al luogo d’incontro a piccoli gruppi, iniziano a salutarsi, ad abbracciarsi. Nei loro sguardi cogli la commozione e l’orgoglio per i propri cari morti con onore. È un riunione di famiglia.

Alcuni tra i tanti presenti si rivedono, si incontrano nuovamente, dopo anni, dopo essersi persi di vista. Tutti si stringono la mano e sorridono, perché in fondo è un giorno di festa, per la nostra comunità, per Dronero, e per loro, Giuseppe, Magno, Pietro, Cristoforo e Giovanni, portati via tragicamente un freddo giorno di gennaio, pronti a tornare a casa grazie al ricordo.

Di fronte a casa Lugliengo ci sono tutti, in attesa. Aspettano lui, Gunter Demnig, l’artista tedesco, l’ideatore delle Pietre d’Inciampo. Quando arriva, con una macchina bianca, e timidamente si avvicina alla folla, i presenti desiderano salutarlo e ringraziarlo. Sembra il protagonista di un film di Wim Wenders, con un particolare cappello da texano sul capo, un anomalo cowboy di Berlino, la barba bianca, e martello e cazzuola in una “fondina” di stoffa.

Non manca più nulla, si può procedere con la posa delle “Stolpersteine”.

Mentre Demnig lavora il cemento, fissa al suolo un nome, una storia, un ricordo, le persone intorno a lui, disposte in cerchio ascoltano silenziosamente: “ha il magazzino del monopolio di Dronero e ha fornito ai ribelli tabacchi e sale, ha cooperato per la raccolta dei fondi e dei generi vari da inviare ai ribelli, manteneva contatti con un dirigente dell’organizzazione ribelle di Cuneo”. Sono i capi d’accusa di Giuseppe Lugliengo, la causa della sua deportazione. Vengono letti ad alta voce e, dopo un momento di raccoglimento, nasce un applauso, pare un respiro profondo.

“Qui abitava Giuseppe Lugliengo”, vi è scritto sulla placca di ottone, lucente.

Deposta la prima pietra, spontaneamente nasce un corteo diretto verso casa Marchiò. La gente chiacchiera mentre cammina, si scambia ricordi, sentimenti.

Di fronte al vecchio tappetificio il gruppo di partecipanti è aumentato. Alcuni droneresi si sono avvicinati e fermati, per non dimenticare.

Magno Marchiò, fu Giacomo, “si è adoperato senza alcuna ricompensa, nemmeno per le spese del carburante, mettendo a disposizione il camion per il trasporto del grano dai silos e successivamente consegnarlo ai ribelli, portava tale grano nel suo locale (segheria) da dove i ribelli lo andavano a prelevare”. Queste le parole, l’accusa, pronunziata per distruggere un esistenza, letta nuovamente ad alta voce, per comprendere ancor meglio i tristi tempi che furono. Segue il silenzio e l’applauso.

E il corteo riprende il suo cammino, diretti in piazza Santa Brigida, a casa Allemandi: è stato l’ultimo sindaco di Dronero eletto democraticamente, poi venne la dittatura, e la democrazia per molti anni scivolò nel nero baratro delle cose dimenticate.

I giornalisti intervistano alcuni presenti, chiedono dichiarazioni alle autorità e scattano numerose foto, per il loro giornale, quello del giorno dopo, e indirettamente per il futuro.

Pietro Allemandi, “commissario prefettizio del Governo Badoglio, ha concesso ai ribelli viveri per diversi quintali, cappotti, coperte da casermaggio, una moto Gilera, un furgoncino ed altre cose”. Accusato di questi reati salì un treno per non tornare mai più. Segue il silenzio e l’applauso.

Il corteo è diretto verso casa Coalova, dove verranno deposte le ultime due Pietre d’Inciampo. È una giornata dal freddo pungente, ma un sole caldo, alto e imponente, scalda per quel che può. Dronero, osservata dal suo ponte storico, è incantevole, una cartolina suggestiva.

Gunter cammina tra la folla. Chi sa quanti luoghi ha già visitato in questi anni? E a quante persone ha restituito un passato? Lui rimarrà alla storia per averla affrontata, con un’idea, con un gesto, con la propria arte.

Giovanni Lantermino e Cristoforo Coalova hanno condiviso una casa e una vita. Hanno creduto in un progetto editoriale, “Il Progresso della Valle Maira”, il primo giornale di Dronero, l’uno da giornalista, l’altro da editore. Fino alla fine sono stati insieme, e insieme sono state posate le loro Pietre d’Inciampo.

Al fondo dei portici, di fronte alla tipografia Coalova, si sono riuniti tutti per l’ultimo commovente momento della mattina.

Si ricorda il Progresso, quella voce libera, indipendente, scomoda per alcuni, perchè non schierata.

I nipoti e pronipoti di Cristoforo Coalova hanno con sé un vecchio numero di quel giornale, datato 1926. Lo mostrano a Gunter e al pubblico, sembra una bandiera, rappresenta la libertà d’opinione.

Si ricorda, ancora, il terribile incendio appiccato dai nazisti che distrusse la tipografia. Quel giorno un denso fumo nero si innalzava tra i tetti di Dronero.

Lantermino morì perché “vice commissario prefettizio di Dronero, conosciuto per le sue idee antifasciste, ha appoggiato con ogni mezzo il movimento ribelle, fornendo agli stessi generi alimentari, effetti da casermaggio, mezzi di locomozione, nonché fondi”.

Coalova, invece, venne deportato e tristemente perì perchè “è stato l’anticipatore dei fondi per il prelevamento del grano dai silos per consegnarlo ai ribelli, ha raccolto fondi per la banda ribelle del capitano Carbone”.

La storia è immutabile, pronta, ogni qualvolta lo desideriamo, a darci sagge lezioni.

Prima del congedo, degli ultimi saluti, viene letta ad alta voce una preghiera, la preghiera del deportato tornato a casa. Amen.

di Dronero eletto democraticamente, poi venne la dittatura, e la democrazia per molti anni scivolò nel nero baratro delle cose dimenticate.

I giornalisti intervistano alcuni presenti, chiedono dichiarazioni alle autorità e scattano numerose foto, per il loro giornale, quello del giorno dopo, e indirettamente per il futuro.

Pietro Allemandi, “commissario prefettizio del Governo Badoglio, ha concesso ai ribelli viveri per diversi quintali, cappotti, coperte da casermaggio, una moto Gilera, un furgoncino ed altre cose”. Accusato di questi reati salì un treno per non tornare mai più. Segue il silenzio e l’applauso.

Il corteo è diretto verso casa Coalova, dove verranno deposte le ultime due Pietre d’Inciampo. È una giornata dal freddo pungente, ma un sole caldo, alto e imponente, scalda per quel che può. Dronero, osservata dal suo ponte storico, è incantevole, una cartolina suggestiva.

Gunter cammina tra la folla. Chi sa quanti luoghi ha già visitato in questi anni? E a quante persone ha restituito un passato? Lui rimarrà alla storia per averla affrontata, con un’idea, con un gesto, con la propria arte.

Giovanni Lantermino e Cristoforo Coalova hanno condiviso una casa e una vita. Hanno creduto in un progetto editoriale, “Il Progresso della Valle Maira”, il primo giornale di Dronero, l’uno da giornalista, l’altro da editore. Fino alla fine sono stati insieme, e insieme sono state posate le loro Pietre d’Inciampo.

Al fondo dei portici, di fronte alla tipografia Coalova, si sono riuniti tutti per l’ultimo commovente momento della mattina.

Si ricorda il Progresso, quella voce libera, indipendente, scomoda per alcuni, perchè non schierata.

I nipoti e pronipoti di Cristoforo Coalova hanno con sé un vecchio numero di quel giornale, datato 1926. Lo mostrano a Gunter e al pubblico, sembra una bandiera, rappresenta la libertà d’opinione.

Si ricorda, ancora, il terribile incendio appiccato dai nazisti che distrusse la tipografia. Quel giorno un denso fumo nero si innalzava tra i tetti di Dronero.

Lantermino morì perché “vice commissario prefettizio di Dronero, conosciuto per le sue idee antifasciste, ha appoggiato con ogni mezzo il movimento ribelle, fornendo agli stessi generi alimentari, effetti da casermaggio, mezzi di locomozione, nonché fondi”.

Coalova, invece, venne deportato e tristemente perì perchè “è stato l’anticipatore dei fondi per il prelevamento del grano dai silos per consegnarlo ai ribelli, ha raccolto fondi per la banda ribelle del capitano Carbone”.

La storia è immutabile, pronta, ogni qualvolta lo desideriamo, a darci sagge lezioni.

Prima del congedo, degli ultimi saluti, viene letta ad alta voce una preghiera, la preghiera del deportato tornato a casa. Amen.

Ora le piastre d’ottone sono lì, di fronte alle loro abitazioni. Mentre passeggiamo interrompono i nostri pensieri e ci ricordano, contro il naturale divenire del tempo, di non dimenticare. Ci ricordano chi furono, Giuseppe, Magno, Pietro, Cristoforo e Giovanni, quando nacquero e quando morirono. Ci ricordano i valori per i quali sacrificarono una vita, l’amore per il loro Paese e per Dronero, come volevano che fosse veramente, e non come alcuni provarono a cambiare, a sconvolgere.

È solo un illusione, causata dal loro ricordo che rivive in tutti noi, ma pare veramente che siano tornati a casa.

La mappa delle pietre d’inciampo in Italia

https://www.repubblica.it/cronaca/2023/01/27/news/pietre_inciampo_italia_mappa_giornata_della_memoria-385218666/?ref=RHLF-BG-I385243118-P5-S2-T1#map