La Democrazia dei Capi

Dmocrazia dei Capi Ce lo chiede l’Europa, lo impongono i mercati , quante volte abbiamo sentito queste parole dai Capi per giustificare scelte e decisioni impopolari, ma imposte da poteri esterni al contesto nazionale e a cui ci si deve per forza assoggettare, condizionamenti sempre più frequenti che indirizzano in modo etero diretto il processo decisionale e stanno man mano facendo evaporare il concetto di Sovranità Nazionale

L’Unione Europea è qualcosa di inedito sullo scenario internazionale, non è una organizzazione intergovernativa come le Nazioni Unite e non è una federazione di Stati come gli Stati Uniti d’America, per ora rimane un organismo “sui generis” a cui gli Stati membri delegano parti sempre più consistenti della propria Sovranità Nazionale.<br />
Per quanto riguarda la moneta o le politiche agricole e ambientali i suoi comportamenti sono quelli di una federazione, per gli affari interni si comporta come una confederazione, mentre per la politica estera si muove (..a fatica a dire il vero..) come una organizzazione internazionale.<br />
Per il concetto di Sovranità Nazionale, passatemi una lettura di tipo darwiniano, nel vecchio continente siamo di fronte ad un nuovo salto evolutivo di una soluzione organizzativa nata per mutazione genetica nel ‘600 da quello che per i Romani era il “summum imperium”.<br />
Se Illuminismo e industrializzazione ne hanno segnato i fondamentali, l’economia ha scandito il tempo del grande processo che ha portato agli attuali Stati-Nazione, avendo ben presente che tutti i grandi salti organizzativi sono figli di strappi dolorosi, rivoluzioni, guerre, grandi flussi migratori, crisi economiche internazionali. Tragedie insomma!<br />
La Sovranità Nazionale ora sta nuovamente mutando sulla spinta di nuove dinamiche conseguenti alla globalizzazione e speriamo che la politica questa volta sappia governarle in modo saggio.<br />
Fino ad ora si intendeva con essa la somma dei poteri che uno Stato indipendente esercitava in tutto il suo ambito territoriale, storicamente rinunciare ad essa in alcuni casi non è stato un problema, così è stato per gli Stati membri di uno Stato federale, per i cosiddetti “protettorati” e così via, ma in Europa è diverso, non dimentichiamo che l’Euro è nato prima di una unione politica vera e propria!<br />
Siamo di fronte a processi ancora informi conseguenti a fenomeni nuovi, ineludibili e indipendenti dalla volontà popolare, che continua a esprimersi eleggendo Parlamenti che si stanno svuotando di autorità, autorevolezza e potere, per questo affermo che siamo di fronte a una ridiscussione del concetto di democrazia che rimane legato a una situazione non più attuale.<br />
Ormai il mondo cammina su strade da altri e altrove per lo più tracciate, situazione resa in modo chiaro da Mario Monti il 24 novembre 2011 ” /> Piaccia o meno le cose stanno andando avanti così, ma se è comprensibile che siano sottoposti al controllo europeo i bilanci dei singoli Stati, come richiesto da alcuni, Germania in testa, qui nasce il problema.
Se si può accettare un sistema sovrannazionale che ci indirizzi, ma che ci renda più forti perché più numerosi e compatti, bisogna evitare la situazione in cui l’Europa unita sia diretta da una o alcune nazioni egemoni, mentre le altre ubbidiscono quando “l’Europa lo chiede”.
E questo non solo per la perdita di autonomia per gli Stati membri, ma perché chi prevale può avere la forte tentazione di gestire l’Europa a vantaggio proprio e scapito altrui, anche solo imponendo mentalità e abitudini che non sono a tutti connaturate. Un’ipotesi che somiglia tanto al contesto che si sta affermando e che va in qualche modo corretto.
Di fronte a queste mie convinzioni e vedendo, a dire il vero a volte subendo, una campagna elettorale che aveva l’obiettivo di conquistare seggi in un parlamento che governa su poche cose ormai, mi sono riletto le considerazioni di Gustave Le Bòn, per alcuni un cattivo maestro, che alla fine dell’ottocento scriveva che “..i capi non sono uomini di pensiero, ma d’azione…vengono reclutati soprattutto tra quelli nevrotici, esagitati, semi-alienati che vivono al limite della follia…”1.
Confesso che ultimamente mi è tornata una gran nostalgia della Prima Repubblica, ma a ben vedere anche lì la conquista del consenso aveva percorsi discutibili:“ ..il saper lusingare, cosa che appare vergognosa e deplorevole in altri momenti della vita, è invece necessaria durante una campagna elettorale. Del resto la lusinga …. è indispensabile ad un candidato il cui atteggiamento, il cui volto, il cui modo di esprimersi, devono di volta in volta mutare per adattarsi ai pensieri e ai desideri di chiunque egli incontri…”2.
Non siamo però al tempo della prima repubblica finita nel ’94, ma in un’altra, sono consigli che nel 64 A.C. Quinto Tullio Cicerone dava al fratello Marco che si candidava al consolato in una più antica “prima repubblica”.
Anche allora le regole per acquisire il consenso e formare le assemblee di governo non differivano molto da quelle attuali, rassicuranti in questo caso le parole del solito Gustave Le Bòn:
“Le decisioni di interesse generale prese da una assemblea di uomini illustri, ma di specializzazioni diverse, non sono molto migliori delle decisioni che potrebbero essere prese da una riunione di imbecilli”.
E’ in atto un cambiamenti epocale nell’impianto istituzionale, iniziamo pure con la rottamazione del vecchio, ma intendiamoci su cosa sia il vecchio da buttare.
Non è questione di carta d’identità, il vecchio per me sono metodi di gestione del potere arrogante, un approccio affaristico alla gestione del Bene Comune, l’incapacità progettuale, la presunzione, la superbia e l’arroganza, la difesa ad oltranza delle sedie occupate e uno sterile quanto inutile virtuosismo polemico .
Non è una questione generazionale, questi comportamenti attecchiscono benissimo anche in gioventù, l’imbecillità non ha età, è un dono innato.
Su questi argomenti mi confrontavo e scontravo già con amici nel ’68, lontana gioventù, quando si contestava l’autorità dei “vecchi”, mentre per me sarebbe stato meglio pensare e ridiscutere regole e comportamenti lasciando da parte dati anagrafici per privilegiare etica, idee e progetti.
Solo due anni dopo lo spirito del ’68 era finito e i rivoluzionari di allora sono ora dinosauri inamovibili piazzati in ogni angolo e contro cui si sta scatenando una nuova lotta generazionale, mentre io continuo a essere convinto che pensare un avvenire possibile non è questione legata all’età, non è questione generazionale, è questione di intelligenza, buona volontà, etica e impegno e due grandi vecchi ci stanno dando una lezione magistrale di saggezza, il nostro presidente Napolitano e Benedetto XVI .
Sui loro atti e comportamenti vale la pena riflettere.Mariano Allocco
Marzo 2013