Tecnogranda, parla Ferrario

Alessandro Ferrario TECNOGRANDA: PARLA FERRARIO
Le passività del bilancio 2011 sarebbero da attribuire ad un differente sistema di calcolo

Alessandro Mario Ferrario, classe 1965, arriva in Tecnogranda nel 2007, in un periodo di profonda crisi per l’azienda dronerese, dopo aver lavorato per numerose multinazionali tra le quali Heinken, Philip Morris e Barilla. Nel biennio 2008 – 2009 è stato direttore generale di Finpiemonte. Dall’1 settembre 2011 è direttore di Confartigianato Cuneo.
Negli anni il fatturato di Tecnogranda continua a crescere, fino al 2011, quando fa segnare un – 1.1325.000 euro (-40% rispetto all’anno precedente). Ferrario, amministratore delegato e direttore dell’azienda, lascia l’incarico, a scadenza del mandato, a metà 2011.
Dopo aver prestato la sua opera in importanti multinazionali, come approda a Tecnogranda?
Nel 2007 si discute se Tecnogranda deve proseguire come aveva fatto fino ad allora, chiudere o trovare una nuova strada. Se fosse stata chiusa il territorio avrebbe dovuto restituire una cifra tra i 5 e i 6 milioni di euro di fondi ottenuti per avviare la società perché non aveva esaurito il percorso minimo richiesto dalla Commissione europea in termini di operatività a partire dalla fondazione. Io vengo coinvolto dall’Unione industriale in un progetto di dare un futuro alla società specializzandola sul settore agroalimentare che rappresenta una ricchezza per il territorio. Si trattava di creare un’impresa di servizi tecnici e di accompagnamento. Mi sono messo a lavorare in termini di volontariato in un percorso voluto dagli azionisti. Si insedia un cda composto da imprenditori e tecnici per tener legata la società al territorio. I laboratori devono essere riconvertiti e si deve riconnettere Tecnogranda al territorio. Si raggiunge il punto di pareggio molto prima di quanto previsto. Negli anni si ottengono circa 30 milioni di euro a fondo perduto. Tecnogranda diventa il più grande polo tecnologico del Piemonte con 450 imprese associate.
In un articolo del 2008 pubblicato su un quotidiano nazionale parlò di un progetto commissionato da un’azienda israeliana per la gestione degli ortaggi. Come è andata a finire?
La cosa è continuata. Era un sistema di ottimizzazione dell’irrigazione con dei sensori in campo che permetteva con il 30% in meno di acqua di fare il 21% in più di produzione di verdure.
Nel bilancio di Tecnogranda del 2010 si parla di 120 progetti avviati. Nel 2011 si legge che i progetti attivi sono scesi a 12. Come mai?
Non mi risulta. Bisogna vedere quale fosse la partecipazione di Tecnogranda in tutti quei progetti.
Il 31 dicembre 2010 viene deliberato un aumento di capitale considerevole per alcuni progetti. Sono proseguiti?
Era necessario finanziare un’implementazione dei laboratori, quali, ad esempio, quelli del plasma e per eliminare le tossine. Si investe anche nella ricerca sulle energie rinnovabili perché, ad esempio, le serre fotovoltaiche avevano dei problemi. Quando si cresce c’è bisogno di finanziare nell’immediato il circolante perché i contributi per le ricerche arrivano dopo.
Il bilancio 2010 si chiude con un fatturato di 2.400.000 euro (+72% rispetto all’anno precedente). A fine 2011, si registra invece un passivo di 1.300.000 euro. Come spiega questa cosa?
Deriva da scelte di criteri contabili operati dalla nuova amministrazione. In primo luogo il patrimonio, poi la contabilizzazione dei progetti di ricerca pluriennali. Ma come è possibile che si produca questa negatività? Vengono cambiati i criteri contabili rimasti inalterati fin dall’inizio della storia di Tecnogranda. Erano stati sempre messi a patrimonio netto dei contributi percepiti negli anni 2002, 2003 e 2004. La cosa viene adesso spostata nei debiti del passivo. Questo contabilmente implica una perdita e una riduzione del patrimonio.
Questa cosa implica un perdita così alta?
Credo una buona parte.
Se è solo una questione contabile come spiega che il 13 settembre 2012 viene convocata un’assemblea con all’ordine del giorno la discussione dell’articolo 2446 del codice civile che riguarda il capitale societario ridotto ad 1/3?
Non viene raggiunta la soglia che obbliga ad una ricapitalizzazione. Gli amministratori lo fanno per informare i soci del futuro andamento di Tecnogranda. Viene detto che i soldi sono spostati e che non vengono più contabilizzati come prima, ma non è che non ci sono più. Poi, certo, la crisi inizia a farsi sentire, qualche cliente fallisce e c’è un discorso di revisione dei crediti.
Nonostante il dato negativo del bilancio, l’assemblea approva la destinazione di 60.000 euro a suo favore come “corresponsioni competenze ad obiettivi raggiunti” relativi al suo operato nel 2011…
Nel mio contratto, sin dall’inizio, c’è una fetta dei compensi legata al raggiungimento dei risultati. C’è un meccanismo di valutazione formalizzato che si avvale di un comitato retributivo. C’è un controllo interno che va a vedere l’operato e gli obiettivi sono posti ad inizio anno, controllati e consuntivati alla chiusura del bilancio. L’assemblea delibera su indicazione di questo comitato. Ci sono anni in cui non ho percepito questi soldi, perchè non era stato possibile raggiungere gli obiettivi.
Nel bilancio 2011 non sono più inseriti alcuni beni strumentali, per un totale di 280.000 euro presenti negli esercizi precedenti. Che fine hanno fatto?
Sono beni presso terzi. Acquistati da Tecnopgranda e poi portati in altre aziende. Sono inseriti nelle opportune voci. A livello contabile è stato fatto tutto nella massima trasparenza.
Nel 2011 inizia un suo interessamento per l’insediamento di un progetto imprenditoriale in Valle d’Aosta, nell’area della ex Tecdis di Chatillon, chiusa dal 2006. Quello non poteva essere un progetto targato Tecnogranda?
Veniamo presentati dalla Regione Piemonte alla Valle d’Aosta che vuole fare un parco tecnologico, per non dismettere quell’area e convertirla a magazzino. Si cerca di creare un polo che abbia caratteristiche integrate con gli incubatori di quel territorio che si occupi di centro servizi per l’innovazione ed incubatore d’imprese. Una cosa molto diversa da Tecnogranda che lavora su aziende già produttive. E poi c’è la differenza che là l’area è molto più grande. La situazione in Valle d’Aosta è ancora all’inizio. Se dovesse partire sarebbe buono se Tecnogranda vi rimanesse agganciata, mantenendo però la propria identità. Comunque, rimarrò fino allo studio di fattibilità, poi lascerò. La cosa aveva senso finche mi occupavo di Tecnoranda, perché avrebbero potuto esserci delle sinergie.
Il nuovo cda subentrato nel 2012 ha detto di aver dato mandato ad uno studio legale di verificare la possibilità di rivalersi economicamente sui precedenti amministratori. Ci sono novità?
Noi siamo a disposizione, come lo siamo sempre stati, a chiarire ogni cosa. Già dal 2008 avevamo messo a punto un organismo di vigilanza.
Che futuro vede per Tecnogranda?
Si deve proseguire sulla questione del polo d’innovazione. Quello che dovrebbe fare l’azienda è quello che è stato fatto nel 2007, usando Tecnogranda come strumento di sviluppo del territorio.

Luca Chiapale