Addio a Padre Sergio De Piccoli

padre-sergio In centinaia all’addio a padre Sergio De Piccoli

In centinaia all’addio a padre Sergio De Piccoli
Messa officiata anche dal vescovo di Saluzzo. I giovani “salvati” dal monaco benedettino hanno portato la bara
«Forte, determinato, ha dimostrato fermezza nelle posizioni e responsabilità delle scelte. Natura, solitudine, silenzio, preghiera, semplicità e umiltà hanno accompagnato la sua vita, fino al giorno in cui è tornato al Padre. E ci ha lasciato un messaggio importante: è possibile vivere anche con l’essenziale, non di cose superflue».
L’abate di Pontida, don Giordano Rota, ha ricordato così la figura di padre Sergio De Piccoli, monaco benedettino di Marmora, morto sabato di tumore all’ospedale di Cuneo. Aveva 83 anni. Centinaia di persone gli hanno reso omaggio, stamane (lunedì 8 settembre), ai funerali celebrati nella parrocchiale di San Massimo in borgata Chiesa di Marmora, dove padre Sergio arrivò nel 1978, per applicare la regola dell’ora et labora (prega e lavora). Trasformò il luogo di culto nel monastero benedettino più alto d’Europa (1.548 metri) e nella canonica, realizzò una straordinaria biblioteca che negli anni è arrivata a ospitare 62.000 libri, tutti catalogati e perfettamente sistemati, messi a disposizione del Comune.
La messa è stata officiata dal vescovo di Saluzzo, monsignor Giuseppe Guerrini, da altri monaci benedettini e dai sacerdoti della Valle Maira tra cui don Beppe Dalmasso, parroco di San Damiano, che ha letto uno scritto di padre Sergio pubblicato sul bollettino parrocchiale per la Pasqua del 1986. In quelle righe, il monaco rifletteva sulla propria scelta, ricordando le difficoltà incontrate soprattutto nel dare ospitalità a giovani sbandati, drogati, alcolizzati e ribelli.
«Mi hanno tradito, ingannato, derubato, insultato, colpito, sfruttato, tribolato in ogni modo – scriveva -, eppure non sono capace di chiudere loro la porta, quando arrivano o quando tornano. Continuo ad accoglierli col sorriso sulle labbra». E aggiungeva. «Ma se sbaglio, Signore, la colpa è tua e del tuo Vangelo. Sei stato tu ad insegnarmi che del medico hanno bisogno i malati e non i sani. Hai fatto anche di peggio: mi hai dato il cattivo esempio, perchè anche tu ti mettevi a tavola con i peccatori e hai perdonato chi ti inchiodava sulla croce. Se seguirti e imitarti è una colpa, ebbene allora sono pienamente colpevole».
E concludeva così: «Inizio a sentirmi vecchio e stanco. Si avvicina il giorno della mia morte, Signore, e vorrei farti questa preghiera: fa’ che a portare la mia bara siano quattro di questi giovani che ho aiutato ad uscire dalla notte del vizio e della disperazione. Sarà per me segno di salvezza, se in tutta la mia esistenza sarò riuscito a portarne quattro fino alla risurrezione».
Quei giovani oggi c’erano a portare la bara dalla chiesa al cimitero di San Massimo. E non erano quattro, ma molti di più.