«Avevano niente e mi davano tutto». Il senso civico e la partecipazione nel primo dopoguerra |
I campanili della parrocchiale e quelli della Confraternita, la chiesa di Santa Brigida e quella dei Cappuccini. Più lontano nella valle, a ovest i monti Chersogno, Pelvo, Marchisa. Girando lo sguardo si riconoscono San Bernardo, Santa Maria, Montemale. Sono all’ultimo piano dell’alloggio di Elda Gottero, ormai un’istituzione per Dronero: insegnante prima alle elementari e poi di Lettere alle medie, sempre locali. Consigliere comunale di minoranza per 9 anni, poi 5 con il sindaco Donadio, con la delega alla Cultura. Fondatrice e colonna, nel 2001, dell’associazione Voci del Mondo, nata per favorire l’integrazione dei nuovi cittadini stranieri.
«Vero, ci sono un po’ di scalini, ma di qui si gode di un panorama eccezionale, dai monti della valle ai tetti del centro storico», ammette sorridente. «Sono proprio di Dronero, sono nata qui, in centro, nell’Osteria Oriente in via Roma, gestita dai miei genitori. Ho avuto e cerco di avere ancora adesso una vita sociale attiva. Come quasi tutti i miei coetanei, nati poco prima della guerra. Siamo stati e siamo ancora tutti impegnati».
Elementari e medie a Dronero, magistrali a Cuneo, in via Barbaroux. Vince il concorso da maestra ed entra in ruolo nell’anno 60/61. Inizia a insegnare a Montemale e poi in alta valle: a San Michele di Prazzo, a Marmora Superiore e a San Mauro di Busca per un anno, poi tre a Canosio. «Intanto studiavo. Mi sono laureata tardi e ho avuto il passaggio nelle medie nel 1969; nel 1996 sono andata in pensione», ricorda. «A Marmora Superiore non c’era niente, nemmeno la strada: solo un sentiero e nessun negozio. Mi portavo il cibo e rimanevo lassù tutta la settimana, fino al sabato, quando tornavo a casa, a Dronero. Allora il giovedì era vacanza. Tre ore di lezione al mattino, dalle 8,30 alle 11,30, e due al pomeriggio, dalle 14 alle 16. Iniziavo a comprendere i problemi di chi viveva in alta valle; era triste pensare a quelli che se ne andavano, in cerca di un lavoro con meno difficoltà, nelle fabbriche, alla Michelin. Ma li capivo».
La giovane maestrina partecipa alle veglie nelle stalle, fa lunghe passeggiate in montagna. «Era una vita difficile lassù: bastava un’annata andata male per rovinare una famiglia. Prima non mi rendevo conto dell’isolamento della gente del posto, della durezza della loro vita. Eppure, erano di una grande generosità e disponibilità: avevano niente e mi davano tutto, mi venivano incontro quando salivo e mi accompagnavano, spalando la neve d’inverno. Anche per me c’erano difficoltà alle quali non ero abituata. Nella stanzetta adiacente all’auletta dove facevo lezione niente servizi, una stufa a legna, niente acqua corrente: andavo a prenderla alla fontana nel centro della borgata. Quando adesso salgo a Marmora mi fa impressione pensare che stavo lì: isolata, con scarse possibilità di contatto. Solo qualche raro incontro con i miei colleghi di Ponte Marmora, Canosio e Preit».
Subito la maestrina dimostra carattere: la scuola di Marmora Superiore non era classificata come scuola di montagna. Quella vicina e più in basso, a Vernetti, lo era. Una differenza pesante in termine di punteggio per salire in classifica e ottenere il trasferimento. «Sono andata a protestare in Provveditorato. Per principio. L’anno dopo, 63/64, anche la “mia” scuola ottenne il riconoscimento di scuola di montagna».
Carattere che si era formato in famiglia, studiando molto, riconoscendo e apprezzando i sacrifici dei genitori. In contatto con tutti quelli che frequentavano l’Oriente. Persone di tutte le estrazioni sociali che, come i partigiani, dimostravano un grande senso civico: «Allora era normale sentirsi responsabili, partecipare dando ognuno il proprio contributo, come e quando si poteva. L’Oriente “da Praveia” era una famiglia allargata, un punto di incontro, senza dover chiedere permessi per ritrovarsi nelle sale. Anche quando era chiuso, aprivo la porta dal retro.
Nel 1969 era nato “Il Drago” (ora Dragone ndr). È stata una grande soddisfazione pur con tanti impegni, andati via via aumentando. Eravamo un bel gruppo motivato di collaboratori ed era piacevole e stimolante incontrarsi almeno una sera alla settimana per discutere e programmare. Il lavoro era tanto: registrare gli abbonamenti, trascrivere a macchina i testi per la tipografia, preparare i menabò per l’impaginazione, correggere le bozze, stampare e attaccare le etichette con gli indirizzi per la spedizione. Dopo 21 anni mi sono ritirata dal giornale». Non solo Il Drago era nato all’Oriente, ma anche altri gruppi, come il Circolo giovanile, l’Associazione dei pescatori, il Centro sociale d’incontro.
Nella media di Dronero la prof si trova subito bene: «Avevo un buon rapporto con i ragazzi e con le loro famiglie. Cercavo di conoscere i loro problemi, li capivo, anche se non potevo né risolverli, né modificare certe situazioni. La scuola allora era ancora apprezzata e gli insegnanti rispettati da tutti. Anche mia madre ci teneva molto, riconoscendo che era un mezzo per migliorare la propria condizione sociale», spiega Elda.
E ora? «Ci sono stati troppi cambiamenti, si sono modificati i rapporti con le famiglie. Sento che non sarei più adatta a questa scuola. La troppa burocrazia distoglie dal rapporto con i ragazzi». L’intervista è interrotta da tante telefonate alle quali Elda risponde subito. Sono volontari, allievi dell’associazione Voci del Mondo che si rivolgono per informazioni, coordinamenti, consigli. Una vita piena anche dopo gli anni nella scuola, con l’impegno per la rinascita della Biblioteca, la delega alla cultura, i tanti progetti attuati. Ma questa è un’altra storia. Per un’altra volta.
Daniela Bruno di Clarafond