Santi,santini,santoun

BIM Ben prima che Babbo Natale, dio pagano degli ultimi secoli, irrompesse sulla scena del mondo opulento respingendo con perdite Gesù Bambino e i suoi straccioni, la vera festività era una certa… Natività. La stessa veniva come risaputo rappresentata fin dal lontano 1223 col presepe di s. Francesco. La funzione del presepe era di istruzione religiosa per popolazioni quasi del tutto analfabete e presentava visivamente – come anche nel caso delle vite dei santi – la grande vicenda a chi non aveva gli strumenti culturali per affrontarla secondo le Sacre Scritture. Da allora nelle case il presepe è come l’abete, un “arredo” indispensabile che “fa festa”.

Questa tradizione ha avuto diverse varianti a seconda dei luoghi, soprattutto per quanto riguarda i personaggi che circondano la Sacra Famiglia: in particolare nelle nostre montagne sia sul versante francese – la Provenza ha dei veri artisti nella costruzione del presepe – che italiano. Questi personaggi rappresentano persone di ogni estrazione sociale e sono legati non solo al periodo originale della Nascita alle tradizioni locali. Quindi accanto ai tradizionali Magi (i Rei) appare l’Oste che ha rifiutato ospitalità, il Matto del paese, donne e bambini (fremo e pichot). Numerosi i pastori (pastre), fra cui il famoso Gelindo, quello che vuole sempre andare a portare i regali ma poi trova tutte le scuse per tornare indietro, da qui il detto “Gelindo ritorna”; seguono gli altri mestieranti, immancabili i suonatori di fisa, ghironda e semitòun. Per non dilungarsi, basta leggerne le gesta sull’interessante libro di Guido Moro, “Presepe piemontese”.
In val Maira i presepi più antichi risalgono all’800, e non tutti potevano permetterseli; comunque la rievocazione della nascita di Gesù doveva essere di monito perenne, non circoscritto ad un periodo dell’anno. Quindi i pittori rappresentavano nelle chiese e cappelle la Storia Sacra guidando l’attenzione a simboli particolari, riconducibili anche alla più colta teologia. Alcuni esempi: talora Gesù appare in una grotta buia che si illumina, perché secondo tradizione nelle grotte nascevano le divinità pagane. Nell’affresco di San Peyre un s. Giuseppe (giustamente) dubbioso si appoggia alla mano, mentre a Elva guarda fuori da una finestra reggendo un piatto: certamente lo alleverà come un figlio, ma tanto soddisfatto non sembra… A s. Sebastiano di Marmora invece porta il paiolo, simbolo della vita familiare. Anche il colore degli abiti ha un significato preciso: rosso per la passione, azzurro per il cielo, tre stelle sul vestito di Maria (molte di più a Celle) per la verginità perfetta, prima durante e dopo il parto.
Gli animali, assenti nei vangeli canonici (come ha ricordato il papa attirandosi i mugugni dei tradizionalisti che subito hanno citato il presepe francescano) hanno una funzione: il bue è la mansuetudine ma anche vittima sacrificale nei riti pagani mentre l’asino, simbolo spesso negativo a volte indica anche la conoscenza. La mangiatoia è tipicamente provenzale e Gesù è talora fasciatissimo (Macra, San Peyre), talora nudo come a Elva e adagiato su spighe (Eucarestia), visione questa nord-europea a cui si rifaceva Clemer. Solo a s. Sebastiano di Marmora Maria è assistita da una levatrice, coi pastori sullo sfondo stupiti dell’evento o semplicemente addormentati, come coloro che accoglieranno o meno la Novella. Lo zampognaro Medoro (San Peyre, san Pietro di Macra) è tra i primi. A Elva durante la circoncisione Maria appare dopo quaranta giorni purificata dal parto, mente i Magi rappresentano i tre continenti conosciuti, su tre cavalli simbolici delle fasi del giorno. Elva è uno scrigno di rappresentazioni apocrife e non, come la strage degli innocenti e il miracolo del grano e della palma: il grano che ricresce subito dopo la fuga in Egitto per coprirne il passaggio, e la palma che rifocilla la Famiglia.
Questo e molto altro si può osservare con più attenzione durante il periodo natalizio, fatto non solo di doni e auguri ma anche occasione spirituale per i credenti e itinerario di scoperta culturale per tutti.

M. Teresa Emina