Cefalonia

cefalonia L’istituto Storico della Resistenza commemora i 70 anni dall’eccidio di Cefalonia
Tra i 4 mila fucilati anche alpini provenienti delle caserme di Dronero

La presentazione di un originale video che si prefiggeva di ricostruire la tragica storia dell’ “eccidio” di Cefalonia predisposto da allievi ed insegnanti di alcune classi dell’ITIS di Fossano è stata l’occasione che l’Istituto Storico della Resistenza di Cuneo ha colto al volo per ricordare i 70 anni di uno degli episodi più drammatici e tragici accaduti ai soldati italiani durante il 2° Conflitto mondiale.
Per l’occasione era stato invitato Giorgio Rochat, uno degli storici più documentati sulle vicende che travolsero il corpo di spedizione militare italiano in Grecia, che proprio nel settembre ’43 con l’annuncio della firma dell’ armistizio con gli Anglo-americani si trovò lontano dall’Italia ed in pratica in balia dell’Esercito tedesco.
Diversamente da quanto accadde ai nostri soldati della Quarta Armata, che occupavano il sud della Francia da dove chi in treno, chi a piedi o altri mezzi di fortuna nei giorni successivi all’8 settembre poterono raggiungere i vicini confini italiani, dalla Grecia era impossibile tornare a casa e quindi i più vennero fatti prigionieri degli ex alleati tedeschi e spediti in prigionia in Germania.
Ma quello che successe a Cefalonia fu assai diverso da quanto avvenne ai soldati italiani di stanza in Grecia sulla terraferma; anche sull’isola dello Ionio arrivò l’ordine del Comando Supremo di quell’Armata che avrebbe dovuto “spezzare le reni alla Gracia” come aveva detto Mussolini nel momento iniziale dell’invasione.
L’ordine era perentorio: consegnare le armi ai tedeschi e di lasciarsi prendere prigionieri; cosa che appunto avvenne in quasi tutta la penisola greca.
A Cefalonia, che dista un paio di chilometri dalla costa greca, c’erano i soldati italiani della “Divisione Acqui”, comandata dal generale Gandin; al quale quell’ordine non piacque affatto, ma non piacque neanche ai suoi ufficiali ed alla maggior parte della truppa.
Qui vale pena di ricordare, come ha detto Rochat, che aggregati ai soldati della Divisione Acqui” c’erano anche un centinaio di alpini con i loro muli, provenienti per la maggior parte dalle caserme di Dronero e Saluzzo: Cefalonia è infatti un’isola piuttosto montuosa e aspra, anche se ovviamente il clima non è certo quello alpino.
Insomma in un paio di giorni l’ordine di consegnarsi in mano ai tedeschi fece il giro di tutti i reparti e successe che ufficiali e soldati furono compatti nel respingere quell’ordine.
Infatti quando, in maniera piuttosto insolita in un esercito, il generale Gandin chiese ai soldati schierati in adunata che chi non voleva consegnarsi ai tedeschi facesse un passo avanti; la quasi totalità della truppa fece questo passo: di fatto l’intero corpo di spedizione rifiutò la resa
Successe a Cefalonia quanto Duccio Galimberti ed altri antifascisti negli stessi giorni cercava di realizzare a Cuneo: tentando di convincere gli alti ufficiali cuneesi a schierarsi con i loro soldati contro i fascisti e l’armata tedesca che stava scendendo dal Brennero per occupare militarmente l’Italia
Sull’isola di Cefalonia invece fu un moto spontaneo quello di prepararsi a resistere.
I tedeschi dalla terra ferma non tardarono ad invadere l’isola: tra il 21 ed il 22 settembre fecero terra bruciata: si calcola che furono circa 4 mila i soldati italiani uccisi; e tra i primi ad essere passato per le armi fu proprio il generale Gandin .
Per anni, ha spiegato molto bene Rochat, da parte degli Alti Comandi si cercò di ignorare e poi anche di infangare quell’eroico e tragico ”pronunciamento”.
Ma a ben vedere, ha anche affermato Rochat, nelle prime bande partigiane qui del cuneese i militari, graduati e non, erano almeno all’inizio in gran numero: da Ignazio Vian a Nuto Revelli, a Giorgio Bocca, solo per citarne alcuni tra i più noti.
Invece per i soldati di Cefalonia il riconoscimento del loro eroismo fu a lungo contrastato e parecchio controverso!