Per noi partigiani e partigiane della Provincia di Cuneo il pomeriggio del 15 settembre 2012 rimarrà nel cuore come uno dei più belli ed emozionanti. |
Alle 14,30 dovevamo trovarci, noi partigiani combattenti, a San Giovanni, in via Roma a Cuneo, per ritirare diploma e medaglia che ci venivano assegnati dal Direttivo e dai giovani dell’Anpi in occasione del 150° dell’Unità d’Italia. Occasione per cui l’Anpi ha ricordato le partigiane e i partigiani combattenti per la libertà, riconoscendo loro l’impegno dato per i valori sanciti nella Costituzione nata dalla Resistenza.
Momenti felici il rivedere vecchi amici e conoscerne di nuovi. Erano le 15 e i posti a sedere erano tutti occupati. Vidi mia figlia Cinzia scattare foto e dietro di lei il mio caro nipote Andrea vicino a suo papà Giorgio. Vedendomi mi salutarono con la mano. Momenti di grande emozione, come quando prese la parola il Sindaco di Cuneo Federico Borgna. Le sue parole: “È un onore essere qui con voi, avete dato la vostra giovinezza, siete le nostre pagine della Costituzione”. Dopo di lui presero la parola i miei amici partigiani Attilio Martino, Presidente Anpi Provincia di Cuneo, e Isacco Levi, il quale raccontò che, essendo ebrei, i tredici componenti della sua famiglia furono portati in Germania, da dove non tornarono.
Ancora emozione quando il nostro presidente Alessandro Mandrile fece il mio nome, invitandomi a ritirare diploma e medaglia. Avrei preferito che al posto di Eugenio avesse detto “Gino”, perché Eugenio mi è poco familiare, ma è il nome che mi hanno dato i mie genitori per ricordare la dolcissima nonna paterna che appunto si chiamava Eugenia. Nei momenti ufficiali è così.
Andai da Cinzia, che mi disse: “mettiti con Giorgio e Andrea, che faccio una foto ricordo”. Si unì a noi e mi trovai in mezzo a sei braccia che mi strinsero forte forte. Le braccia più corte erano quelle che stringevano di più. Momentiti magici, nei quali voglio ringraziare anche i giovani iscritti all’Anpi, perché anche loro hanno preso la parola dando prova di conoscere molto bene i valori della Resistenza. Ancora grazie, ragazzi, perché sarete voi quando l’ultimo partigiano sarà chiamato per l’ultima missione a tenere il faro acceso che con la sua potente luce illumini il mondo e non guardi il colore della pelle, se è bianca, nera o gialla. Suo compito quello di portare una parola che non conosce confini: LIBERTÀ.
Una libertà che tutt’oggi corre il rischio di essere soffocata, senza che molti neanche se ne accorgano. Eccone la prova, avvallata, come la medaglia e il certificato che abbiamo ricevuto a Cuneo, sempre da un uomo con la stessa fascia verde bianca e rossa. Perché tricolore è la fascia del sindaco di Cuneo e tricolore è la fascia del sindaco di Affile, provincia di Roma.
Cosa voglio dire? Sebbene quel certificato e quella medaglia abbiano avuto per noi un grandissimo significato di cui siamo orgogliosi quella festa è stata offuscata da una notizia giunta più o meno nello stesso periodo. Eccoci: mentre i miei pensieri erano ancora presi da quel bellissimo pomeriggio, tramite telegiornale e stampa appresi una notizia che fu come un grosso macigno cadutomi in testa. La stessa sensazione che penso abbiano avuto tutti coloro che hanno avuto parenti torturati, uccisi, impiccati dai nazifascisti. Riporto testualmente da L’Unità del 12 agosto 2012, testo recuperato dalla rete internet: “Un sacrario per il fascista Graziani con soldi pubblici. Il raduno in piazza San Sebastiano prima, la conferenza di don Ennio Innocenti a seguire, e poi la deposizione di una corona di fiori presso la tomba, santa messa, intervento delle autorità, cena a buffet e, per finire, spettacolo musicale. E tra le danze – una volta saziati anima e corpo – ieri sera ad Affile (comune della provincia di Roma, 1700 abitanti a 600 metri sul livello del mare) si è chiusa l’inaugurazione, all’interno del parco Radimonte, del sacrario dedicato al fu Maresciallo d’Italia e viceré d’Etiopia, Rodolfo Graziani.…”.
Ma la cosa che mi ha fatto ancora più male è che, tramite televisione, ho visto una giornalista fare una domanda a giovani e meno giovani, donne e uomini: «Tu sai chi è stato Graziani?». E nessuno sapeva nemmeno chi era.
Forse dirò un’eresia, forse una bestemmia, ma penso che noi che crediamo nella giustizia dobbiamo ringraziare sindaco e giunta per averci dato la possibilità di parlare di quel mostro fascista. Ecco chi fu: Graziani nacque a Filetto, in provincia di Frosinone l’11 agosto 1882 e morì di morte naturale a Roma l’11 gennaio gennaio 1955. Fu per tutta la vita un militare. Si fece tutte le guerre. Nel 1911 a soli 29 anni fu mandato in Libia a mettere un po’ di ordine, partecipò alla prima guerra mondiale con il grado di capitano, finita la guerra nel 1921 tornò in Libia, dove in Cirenaica era presente un forte movimento che reclamava l’indipendenza. A guidarlo era il “Leone del deserto” Omar al Mukhtar, che fu catturato e fucilato. Quando Mussolini per volontà del re prese il potere, Graziani si mise subito al suo fianco, rendendosi complice di orrendi omicidi. A fine 1935 – quando Mussolini mandò i suoi soldati alla conquista dell’Abissinia (oggi Etiopia), il cui re e capo spirituale era il Negus – con il grado di generale fu proprio il Graziani che, scalzando il generale Badoglio, prese il comando, dando subito ordine ai suoi ufficiali di non fare prigionieri ma fucilarli subito, anche perché quelle persone, donne, uomini, bambini, erano considerati solo dei “selvaggi”. Graziani distrusse quasi completamente Addis Abeba, massacrò la comunità cristiana copta, vescovo compreso e compì molte altre nefandezze. Vorrei ricordare ancora un fatto, per far capire specialmente ai giovani a che punto arrivavano gli ufficiali di Graziani. A guerra finita negli archivi fascisti fu trovato un diario relativo al periodo della guerra in Abissinia, nel quale si leggeva: “Oggi mi sono divertito da matti. Ho preso sei selvaggi, da poco catturati, li ho fatti spogliare nudi, e con la mia pistola ho fatto il tiro a segno mirando i loro testicoli. Caduti a terra, agonizzanti, li ho finiti con un colpo alla nuca”. Questi erano i valorosi ufficiali (italiani) di Graziani.
Ma secondo il re e Mussolini ne valeva la pena, perché in questo mdo l’Italia avrebbe avuto il suo impero. Il piccolo re sarebbe diventato il grande imperatore. Si diceva che da buon piemontese abbia detto: “boja faus, l’è bel esser imperatur!”.
Il maggiore assassino, però, Graziani, lo abbiamo avuto in casa nostra anche dopo. Infatti all’8 settembre 1943, ancora prima che il Duce venisse liberato dai tedeschi, questi si mise a fianco del generale tedesco Albert Kesselring. Una volta liberato grazie all’intervento tedesco, Mussolini fondò la famigerata repubblica di Salò e a Graziani diede il grado di capo dell’esercito fascista. In quegli anni a fianco dei tedeschi si rese complice di orrende stragi.
Anche nella nostra Provincia di Cuneo un grande tributo fu dato, cominciando da Boves (e vicino a noi in valle Maira a San Damiano e a Cartignano). Cercherò per ragioni di spazio di essere breve. Ricordo che i sette fratelli Cervi furono fucilati dai fascisti colpevoli di aiutare partigiani ebrei e disertori, ma le stragi più feroci furono a Marzabotto e a Sant’Anna di Stazzema, ordinate dal generale tedesco Walter Beder. Là morirono oltre 2000 persone. Anziani, donne e centinaia di bambini.
Quando la guerra era perduta Graziani mollò il duce alla sua sorte. Fu catturato dagli Alleati nel quartier generale delle SS e nel 1948, dopo regolare processo, venne condannato a 19 anni di reclusione, ma grazie a condoni e amnistie 17 anni gli furono abbuonati. Scontata la misera pena non andò in pensione. Aderì al Movimento sociale (segretario un altro fascista, Giorgio Almirante, che fu anche segretario del giornale “Difesa della razza”) del quale divenne anche presidente onorario.
Dulcis in fundo il 26 maggio 2012 il comune di Affile (paese di 1600 abitanti a 80 km da Roma) ha dedicato a Graziani una piazza!
Penso che, essendo sindaco di Roma Alemanno, che proviene proprio da quel tipo di ambiente, se pur con tanta rabbia nel cuore, non dobbiamo stupirci.
A volte mi capita di parlare con i giovani di questi tristi fatti.
Devo ammettere con grande amarezza che tanti giovani mi rispondono: “Certo che quando avevate vent’anni eravate proprio cretini per morire per la patria. Che cos’è la patria?”. Certo che se penso come si trova l’Italia oggi, ottobre 2012, un po’ di ragione l’hanno anche loro…
Gino Guastavino