Lockdown un anno dopo

covid19 È passato ormai un anno da quando, il 21 febbraio 2020, sono comparse le prime zone rosse Covid in Italia e l’intero Paese ha dovuto familiarizzare, suo malgrado, pochi giorni più tardi, con la parola “lockdown”.


Un periodo tremendo, oltre 45 giorni di blocco pressoché totale che hanno messo in crisi molte delle certezze acquisite, mostrando i punti deboli del Paese, soprattutto sul fronte sanitario, mandando in crisi, in particolare, il modello “sanità” della Regione Lombardia, considerato esempio di efficienza. Ora, a distanza di un anno – con 111 milioni di contagi e circa 2,5 milioni di decessi nel mondo e oltre 2,8 milioni di contagi e più di 95mila morti in Italia – se qualcosa questo triste periodo ci ha insegnato è che la Salute non deve essere intesa solo come un capitolo di spesa da ridurre, ma semmai un investimento da potenziare.

Oltre ai comportamenti virtuosi cui siamo chiamati ad attenerci sotto il profilo della prevenzione del contagio, molte sono le aspettative per i vaccini, prodotti in tempi insolitamente rapidi con un coinvolgimento a livello mondiale, che dovrebbero riportarci ad una situazione più normale nel medio periodo. Quello che si chiede, in particolare al nuovo Governo, è dunque un piano vaccinale serio e le prime risposte – con l’accantonamento delle accoglienti ma costose “Primule” (400mila euro cadauna) a favore di strutture già esistenti ed utilizzabili su tutto il territorio nazionale – sembrano andare in questa direzione. Purtroppo gli inevitabili rallentamenti dovuti ai recenti (e forse anche un po’ ambigui) tagli sulle forniture da parte delle case farmaceutiche rischiano di pregiudicare in parte il lavoro organizzativo sin qui realizzato che già ha consentito di trovare sedi idonee e personale dedicato.

Ciò nondimeno, se si riuscirà a raggiungere la cosiddetta “Immunità di gregge” in tempi ragionevoli, sarà comunque necessario investire risorse consistenti nel potenziamento della Sanità, soprattutto sul territorio, costituendo quei presidi che permetteranno, anche in futuro, di alleggerire il più possibile la pressione sugli ospedali. Un piano impegnativo, certo, ma indispensabile alla luce di ciò che successo in questo anno di emergenza.

Un piano che possa consentire di superare anche il conflitto che, innegabilmente, si è venuto a creare tra l’economia da un lato e la tutela della salute dall’altro, gettando le basi per poter salvaguardare, in futuro, l’una e l’altra. Volgendo lo sguardo alla Valle Maira è forte la preoccupazione sul fronte del turismo, il settore probabilmente che ha subito più danni, come segnalano operatori ed amministratori.

Sergio Tolosano