Umanisti o tecnologi?

Ha suscitato polemiche l’affermazione – pochi giorni fa, in una trasmissione Rai – del Ministro della transizione ecologica, Roberto Cingolani: “inutile studiare quattro volte le guerre puniche, serve cultura tecnica”.


In realtà, le guerre puniche si studiano tre volte, ma non è questo il punto. Migliorare la cultura tecnica, come suggerisce il ministro, è indubbiamente una necessità sempre più attuale, ma non può e soprattutto non deve escludere la formazione classica e storica. L’indagine del Consorzio interuniversitario Alma Laurea, considerando tutti gli atenei italiani, indica un tasso di disoccupazione al 29%, ad un anno dalla laurea, per coloro che hanno una formazione umanistico-letteraria. Per i laureati in materie del gruppo scientifico il tasso di disoccupazione è il 20,3%. I due dati non differiscono poi tanto l’uno dall’altro; è significativo inoltre il fatto che tra i primi il 48,1% ritengono quel tipo di laurea efficace per il proprio lavoro, mentre nel secondo gruppo l’efficacia percepita è più bassa, pari al 47,1%. È noto anche che numerose aziende assumono laureati in filosofia come responsabili delle Risorse umane e molti di loro partecipano all’elaborazione di algoritmi nel settore informatico. E stiamo parlando del livello più alto di specializzazione, umanistica o scientifica, quello della laurea. Nel corso della formazione dei futuri cittadini, ovvero tutto il ciclo dell’obbligo scolastico e fino al diploma di maturità – dove peraltro le riforme si susseguono ad ogni cambio di ministro – non possono mancare la storia e la lingua italiana, accompagnate da un giusto mix di conoscenze scientifiche e tecnologiche e di lingue straniere. Ecco che qui si innesta la seconda polemica di questi giorni. Non deve sparire la prova di italiano dall’esame di maturità. Questo il senso dei numerosi appelli al ministro dell’Istruzione, Bianchi, che chiedono un ritorno alla normalità dopo due anni di esami covid-compromessi.

D’altra parte proprio in questo periodo l’Inghilterra introduce lo studio del Latino in 40 scuole secondarie statali con un investimento di 4 milioni di sterline. L’Inghilterra, paese di lingua e cultura anglosassone, fautrice dell’uscita dall’Unione europea dell’intera Gran Bratagna, attua questa decisione e il ministro dell’Istruzione Williamson afferma che il latino “può portare così tanti benefici ai giovani, ma non deve essere una materia elitaria, riservata solo a pochi privilegiati”. E tornando al ministro Cingolani, fu proprio durante la seconda guerra punica che Siracusa resistette a lungo all’assedio di Roma grazie soprattutto al genio di Archimede, grande matematico e inventore dell’antichità, insomma un padre della tecnologia. Come al solito il Paese tende a schierarsi sui due fronti, ma il tema non deve essere divisivo e deve portare ad una giusta sintesi, di certo al passo con i tempi ma che non dimentica le proprie radici.

Sergio Tolosano