Note a proposito delle “terre infette d’heresia” nel Marchesato di Saluzzo di Gianpaolo Giordana |
Fra le pagine di storia dronerese forse meno note o dimenticate, a dispetto del-la notevole diffusione della monumentale opera del barone Giuseppe Manuel di San Giovanni (1), poi ristampata meritoriamente dal periodico“Il Drago”, dovrebbero avere un posto di particolare importanza quelle riguardanti la consistente presenza riformata a partire dalla seconda metà del ‘500.
Benché fosse stata posta bene in luce e, direttamente o indirettamente, anche ben documentata da numerosi studiosi dei secoli passati, sia storici di parte protestante che missionari cappuccini, essa venne poi come rimossa, nemmen troppo inspiegabilmente dimenticata ed infine destinata all’oblio, relegata fra la polvere ed il sommario ordine (durato per troppi decenni) degli archivi civici e parrocchiali.
Buon per noi che altri studiosi, dal valdese Arturo Pascal (2) al frate cappuccino Mariano Biamonte (3), abbiano non solo iniziato a soffiare sulla polvere cominciando a restituirci frammenti importanti e tutt’altro che disonorevoli della nostra storia, ma abbiano altresì contribuito a darci di quei lontani eventi una visione organicamente inserita nel contesto europeo ed italiano del tempo, bellicoso e violento, carico di rancorose rivalse e segnato da reciproche e insanabili intolleranze tra i contendenti, papato e sovrani cattolici da un lato, nuove chiese riformate, principi e sovrani protestanti dall’altro.
È proprio in quel contesto non privo di toni da crociata, spesso sinistramente segnato e illuminato dalle torture e dai roghi della “santa Inquisizione”(4), che si snodano le vicende tribolate della comunità riformata di Dronero. Per meglio inquadrarle e per cercare divalutare –quasi intuire– la vita, i pensieri ed il coraggio di quei nostri lontani concittadini, poche pagine valgono meglio e sono più efficaci di quella sinteticamente riassunta di seguito, tratta (come i documenti pubblicati in appendice) dalla Tesi di Laurea del già citato Mariano Biamonte (5):
“Nel periodo della riforma protestante e della controriforma e restaurazione cattolica, l’intolleranza appariva una cosa ovvia; … si era creata una mentalità collettiva che considerava logica ogni azione contro il nemico della propria religione. Per quanto riguarda la Chiesa Cattolica tale atteggiamento nasceva dalla convinzione di possedere la verità assolutae immutabile …
La riforma della Chiesa dovette attuarsi in una atmosfera di lotte spesso tragiche … la Chiesa postridentina è una chiesa di battaglia … quindi sarebbe antistorico immaginare che i Cappucini sorti proprio nell’ambiente intransigente della Restaurazione Cattolica, avvicinassero gli eretici con mentalità aperta … l’eretico che se ne era allontanato (dalla chiesa romana) e persisteva nei suoi errori, era un traditore, un dannato, un qualcosa di ripugnante da evitare e perseguire senza posa … Non esisteva libertà religiosa; il singolo non poteva scegliere. Quindi, per l’eretico restava solo un’alternativa: o ritrattava i suoi errori, ovvero veniva scomunicato e perseguitato dall’autorità civile con la confisca dei beni, l’esilio, la privazione della libertà e non raramente della vita stessa.
Tutti i mezzi, anche la morte, erano considerati “buoni” per riuscire a strappare una ritrattazione”.
Fu in questo clima, dunque, di rigida intolleranza da ambo le parti ma in cui una delle due –la cattolica– godeva nell’Italia e nel Piemonte del tempo di posizioni immensamente più vantaggiose (derivanti dal totale appoggio del potere sia civile che religioso) che ebbe inizio e che poté svilupparsi lungo un arco di molti anni la Riconquista cattolica delle Valli eretiche del Piemonte, in particolar modo delle cosiddette “valli valdesi” (Val Pellice, Val di Pragelato e Val Germanasca o di San Martino), della Castellata (l’alta Val Varaita) e di parti spesso importanti delle Valli Stura, Grana, Maira, Po e Dora Riparia (l’alta valle di Susa), tutte di lingua e cultura occitana.
I primi passi dell’azione dei missionari cappuccini datano a partire dal 1595, ma si dovrà attendere spesso la fine del 1600 ed oltre perché la presenza della “peste heretica”, e con lei la presenza organizzata del movimento riformato nella valli cuneesi abbia fine (com’è ampiamente noto, invece, nelle valli torinesi del Pellice, del Chisone e della Germanasca tale presenza perdura tuttora, mentre nell’Alta Valle di Susa (o della Dora Riparia), dopo periodi di rigogliosa presenza, le ultime presenze riformate scomparvero soltanto intorno al 1730 (6).
Tuttavia, in modo appartato e discreto ma talvolta rigidamente clandestino, esse continuarono a manifestarsi, con modalità diverse e forse prive di collegamenti visibili, in forme più o meno consapevoli ma talora non trascurabili di presenze ed in comportamenti (7) “protestanti” che si protrassero bel oltre, ancora nel 1800 inoltrato e dopo (8)
Tanto più significativa appare allora alla fine del ‘500, quando più appariva poderosa ed attrezzata la macchina da guerra della Controriforma, la presenza riformata in Valle Maira, massime a Dronero (cui si riferisce la trascrizione dei documenti sotto pubblicati) e ad Acceglio, benché sia lecito supporre che soltanto poche comunità valligiane fossero state risparmiate dalla “peste heretica”.
La “piccola Ginevra” (come venne definita la città di Dronero, altrimenti detta dalla parte avversa “l’antico dragone del male”) giunse a contare oltre tremila riformati (8), all’incirca la metà, forse più, della sua popolazione. Una cifra assai elevata, comprendente cittadini di ambo i sessi e di ogni censo, originari del posto o di origine forestiera, (9) e che, forse percentualmente inferiore a quella di altre località del Marchesato e della stessa Valle Maira (ad esempio Acceglio, dove negli stessi anni pare rimanesse non più di una manciata di famiglie papiste) ma superiore per densità a quella di tutti i maggiori e più popolosi centri marchionali.
Dagli elenchi appresso pubblicati, appendici ad una lettera al romano pontefice (10) scritta dal missionario cappuccino p. Valeriano Berna da Pinerolo (11)-(12), si può approssimare una valutazione attendibile dell’ampiezza e della capillarità di diffusione delle idee riformate nella nostra cittadina.
Vi troveremo molti nomi di famiglia: di forestieri, quasi tutti, presumibilmente, di origini valligiane (13) e non solo nel senso della Maira, di droneresi e di valmairesi; nomi di famiglia estinti ed altri ancora in qualche modo esistenti: nomi sicuramente rarefatti a partire dagli anni successivi, quelli delle coercizioni e dei soprusi, delle violenze papiste e dell’esilio; nomi indicanti vuoi il mestiere del capofamiglia (Armorero, Pichaper, Mercante,), vuoi il villaggio di origine (Verneto, Ussoglio, Tollosano, Tenda); nomi, infine, tuttora presenti e che nella maggioranza dei casi marcano una evidente origine valligiana (Abello, Bruna, Bernardi, Colombero, Finello, Fresia, Gauterio, Giolitti, Marino, Resplendino, Rosana, …).
Proprio grazie ad alcuni di questi ultimi nomi potrebbero aprirsi altre pagine di storia locale, se solo si trovasse qualcuno disposto a scavare nei registri dello stato civile ed in quelli parrocchiali per decifrare certi movimenti di popolazione in qualche modo rapportabili ale vicende politico-religiose del tempo ed ai flussi e riflussi della “riconquista cattolica”. C’è da augurarselo per il futuro, a partire dalle vicende della emigrazione seicentesca (se si preferisce dell’ esilio o della cacciata) di buona parte della comunità di Acceglio che, pochi anni dopo i correligionari droneresi, ebbe a vivere esperienze ancor più dure, tragiche e definitive (14).