La Maestra Lucia Abello, racconta

Una valle nei ricordi della maestra Lucia Abello. Una vita con i bambini, in classe e fuori. Scuola, teatro, gite, giornalini, laboratori, musei…

Una vita dedicata alla scuola, si sarebbe detto una volta della straordinaria carriera scolastica della maestra Lucia Abello. Straordinaria, ma anche comune a tanti altri insegnanti delle nostre valli: all’inizio sedi disagiate, lontane, isolate d’inverno e carenza di materiali didattici, con le pluriclassi. Sull’altro piatto della bilancia l’affetto e la gratitudine di allievi e genitori, con tante iniziative extrascolastiche portate avanti tutti insieme. E la consapevolezza di aver vissuto in una società rimasta solo più nei ricordi.
Nasce in borgata Cucchiales, Lucia (come la chiameremo nel nostro articolo, con affetto e rispetto), sopra Stroppo, in un anno difficile, nel primo dopoguerra, pochi mesi dopo la promulgazione della Costituzione italiana. Frequenta le elementari a Morinesio, distante un chilometro da casa, con la maestra Adriana Bertogliatti. Non c’è la classe quinta: non è stata istituita, i bambini sono troppo pochi. Così, ripete la quarta. Frequenta l’avviamento commerciale, allora la conclusione degli studi, nel convitto di Demonte. Senza la media non si poteva continuare. Da qui la decisione di trasferirsi con la sorella gemella Marilena a Saluzzo, in casa della maestra Bertogliatti, non più a Morinesio, che le prepara privatamente per la terza media. Molto severa, rigida: le ragazze si impegnano ad aiutare in casa in cambio di vitto e alloggio. Superato l’esame di terza media, frequenta i quattro anni delle magistrali, poi un anno per prepararsi al concorso magistrale e insieme, l’impegno del doposcuola alla Dante Alighieri, allora alla Castiglia, nella parte alta della città del marchesato. Vince il concorso e passa in ruolo. Prima sede la Borgata Raina di Prazzo, oltre San Michele: così Lucia può abitare a Cucchiales. Bellissimo, ricorda ancora.
Dura poco: sono gli anni dell’abbandono della montagna e della discesa a valle, verso le fabbriche, verso una vita meno faticosa e isolata. Le famiglie lasciano per prime le borgate impervie, così chiudono le scuole, una dopo l’altra. Nel 1969 quella di Borgata Raina. Lucia va a Ussolo, chiusa nel 1971. Poi a San Michele di Prazzo, chiusa nel 1977: «Il primo anno avevo una collega di Cartignano, poi 4 anni con mia sorella Adriana. Saremo poi insieme anche in altre scuole, per molti anni».

Sono anni con tragici eventi familiari: «Purtroppo nel 1974 mio padre, che faceva il muratore, cadde da un’impalcatura. Morì dopo sette mesi alle Molinette, aveva 65 anni. Lui era del 1912 e si era sposato nel 1947. Mentre lui aveva già 35 anni, la mia mamma, classe 1926, non ne aveva ancora 21. Così sua madre, mia nonna, era andata in municipio a firmare l’autorizzazione perché potesse sposarsi. Mia madre non è andata lontano dopo il matrimonio: è scesa solo di una ventina di metri. Anche mia nonna: lei era salita però, a Caudano. Forse il nome vuol dire posto caldo, infatti è ben esposto al sole, come Cucchiales, che è tutto su una cresta. Allora le case erano costruite in posti scelti bene, lontano dai canaloni che scaricavano valanghe di neve, come quella del Monte Nebin. Ma erano posti chiusi, ci si conosceva tutti, per sposarsi non si andava lontano. Non c’erano strade: quella di Elva è stata costruita solo nel 1960», spiega Lucia. Ricorda quei tempi, senza abbellimenti, senza rimpianti pur riconoscendo che l’infanzia era stata povera ma molto felice: «Perché c’era affetto, tanto affetto, soprattutto da parte delle mie nonne. Vedove troppo presto tutte e due. La mia nonna materna è rimasta vedova a 32 anni con tre bambini. Il marito era morto cadendo da un albero. Molti allora l’aiutavano, tagliando il fieno per l’inverno. La sorella, sposata a un francese le aveva dato una mano. Ricordo la prima pensione ai coltivatori diretti, nel 1955. La pigliava la mia nonna paterna, Maria Maddalena Abello in Abello, vedova da tanto tempo anche lei. Quando la ritirava, circa cinque mila lire, regalava ai tre nipoti il Proton, uno sciroppo ricostituente , e poi, sempre con la pensione, il primo orologino», continua.

Il dispiacere più grande era la mancanza di libri: le biblioteche ambulanti non arrivavano lassù, si fermavano a Bassura, 5 chilometri duri da superare, soprattutto d’inverno. Tanto che il più bel regalo di Natale era quello della maestra Bertogliatti: un libro per ogni bambino, attaccato all’albero. L’economia era povera, fondata anche sul baratto: chi poteva aveva delle mucche, un po’ di patate, grano e poi farina da scambiare con il panettiere in cambio di pane. Il padre di Lucia aveva fatto un mutuo per poter aggiustare un locale e aprire un’osteria, l’Osteria delle Alpi: dava solo vino, niente di fresco, non c’era ancora la possibilità di conservare i cibi. Aveva fatto tutto lui. E aveva continuato aggiustando le case di chi, dalla pianura, Saluzzo, Chieri, Torino, veniva a passare le vacanze in montagna. Aveva imparato il mestiere a Parigi, con suo padre che là era morto e là era stato seppellito. La madre, rimasta vedova, aveva voluto tornare al paese. «La mamma non era mai uscita da Cucchiales, era conservatrice, non osava tanto fare cose nuove», spiega Lucia. «Invece papà era moderno, di ampie vedute, aveva imparato in Francia».
Ma anche a San Michele ci sono sempre meno bambini e Lucia, nel 1977, va a insegnare per sei anni a Busca capoluogo, poi a Dronero. Fino alla pensione, nel 2005. Che differenza con i suoi alunni di montagna! A Busca le classi sono numerose, quattro prime di 23 alunni. Due soli alunni aveva trovato in classe il 1° ottobre (allora primo giorno di scuola) del 1970 nella sua classe a Ussolo: Paolo e la piccola Giovanna. Gli altri tre erano ancora al pascolo alle Grange con i genitori. Lucia il giorno dopo, 2 ottobre, prende Paolo e sale a trovare gli altri alunni, Luciano, Valter e Livio. «La mamma di Livio e Valter ci fece la polenta e facemmo una grande festa. Poi il 3, tutti a scuola, per poi far subito festa il 4, anniversario della fine della Grande Guerra. Quell’inverno i ragazzi mi insegnarono a sciare su una bella discesa che partiva da Ussolo. Persi anche l’orologio nella neve. Lo ritrovai nel prato a primavera».

«Mi sono sempre trovata bene con i colleghi, con i bambini e con le famiglie che mi hanno sempre molto aiutato conentusiasmo e tanta collaborazione. Nel pomeriggio facevamo il teatro, nei festivi organizzavamo le gite, pagate con i proventi delle recite. Come a Montecarlo, nel giorno del Gran Premio. In 500, la mia. E con un’auto grande di Giovanni, il padrone del ristorante Ponte di Ussolo. A carnevale, portavo i bambini mascherati fino ad Acceglio Villaro. Là chiedevano in regalo uova, dolci, soldini e poi andavamo al ristorante di Ussolo». Momenti importanti passati insieme: la Festa degli alberi, il giornalino di Valle: «“Un po’ di noi”: tutto scritto da loro (i bambini di Acceglio Villaro, Prazzo, S. Michele, Canosio), noi maestre lo stampavamo con il ciclostile. Negli anni ‘73/’75», spiega Lucia. Proprio la Festa degli alberi rappresentava un momento solenne ed era molto attesa dai bambini. «Si percorreva a piedi parecchia strada per trovare un luogo adatto al rimboschimento. Si mettevano a dimora le piantine benedette dal parroco. Alla presenza delle autorità i bambini recitavano e cantavano. Al termine, un momento conviviale concludeva la festa», ricorda Lucia.
I ricordi si intrecciano, sempre più numerosi, talvolta curiosi, come quello dei cognomi: «Abello è degli Stroppesi. Aimar di Celle, Einaudi di Garino e Macra; Raina di Elva; Colombero di Marmora: questo rinfocolava i campanilismi», sorride divertita Lucia.

C’erano differenze tra i bambini delle borgate di montagna e quelli di Dronero? Lucia non ha dubbi. Negli ultimi anni gli scolari non sapevano come comportarsi e mancavano di rispetto verso gli anziani e verso l’autorità: senza autocontrollo, non disponibili a imparare, con problemi di integrazione. Forse questa constatazione influisce negativamente: «Ricordo con piacere i miei anni di scuola, soprattutto la maestra Luisita Rovera di San Damiano che mi ha ispirato a diventare maestra anch’io. Se scegliessi adesso forse cambierei. Perché la comunicazione verbale è stata soppiantata da quella virtuale. I giochi e le amicizie di una volta non ci sono più. I miei ragazzi di Ussolo giocavano “a tuc”, a prendersi e a toccare il posto dove contavano e gridavano “liberi tutti”». Un altro mondo.
I ricordi scolastici continuano a ritornare ben vivi e attuali nella mente di Lucia. Soprattutto il passaggio alle scuole di Dronero che comportò un cambiamento per affrontare una realtà più affollata e diversificata. Nel 1988 sperimentò, nelle elementari di Dronero OltreMaira, i nuovi moduli educativi con tre insegnanti su due classi, insieme alla sorella Adriana e a Nino Andreis. «Apprezzai subito questa distribuzione del lavoro, perché,se ci si accostava con spirito collaborativo, gli altri due insegnanti davano sicurezza, aiuto e una visione più aperta e risolutiva dei problemi. Dopo qualche anno i moduli furono adottati in tutte le elementari».
Molte e diverse le nuove attività che coinvolgevano attivamente i bambini: «Bellezze locali: dopo la visita alla Chiesa dei Cappuccini, accompagnati da Don Rossa, preparammo una guida e, per un mattino, gli alunni furono i ciceroni per i visitatori. La direttrice didattica: Donatella Acconci, mi incaricò di coordinare la Commissione “Scrittura creativa” da cui nacquero i burattini, creati nei sotterranei della scuola e pitturati. Un genitore, falegname, il signor Valerio, costruì il teatrino. Storie, scritti, poesie furono poi raccolte in un libro. Mi commosse profondamente la poesia scritta e letta nella ricorrenza del 25 aprile del 2000 da Damir, ragazzino bosniaco fuggito dalla guerra con la famiglia». E poi ancora l’allestimento di una mostra che raccolse le ricerche su proverbi, giochi di un tempo, l’emigrazione, i lavori minorili. E la ricerca su “La scuola al tempo del fascismo”. Tutti lavori che contribuirono a dar vita al “Museo de l’Escolo”. E ancora “Calca il palco”, bambini attori per una mattina al teatro Iris, gremito. Un fiume di ricordi e di esperienze, fino al volontariato dopo la pensione nell’associazione Raffaela Rinaudo, una vita “ricca” nella quale i “talenti” non sono stati nascosti nella buca della parabola del Vangelo, ma sono stati ben usati.

«Lo so che sono stata lunga nel raccontare, ma tu lavora di forbici», è la raccomandazione finale.

Daniela Bruno di Clarafond

Ricordiamo la raccolta di poesie in patois (con traduzione) di Lucia Abello, De Pours e de Bufes (Polvere e rèfoli), presentazioni di Giuseppe Durbano e Ferdinanda Susa, Edizioni “Ël Pèilo”, Amici di Piazza, Mondovì. Dolce rimpianto per un tempo e un’infanzia ormai lontani.