L’escolo de mountanho

nizza A Stroppo il piccolo museo de “L’escolo de mountanho”. Cartelle di legno, piedi sempre bagnati negli zoccoli

L’aula era piccola, piccola anche la stufa accesa con i pezzi di legno portati da ogni bambino. Per andare da casa a scuola s’andava sulla slitta, se c’era; altrimenti a piedi.
«Per sapere dove andare bisogna conoscere da dove arriviamo», sostiene Roberta Bottero, la volontaria che ci fa visitare “L’escolo de mountanho” nel municipio di Stroppo, in Borgata Paschero, alta Valle Maira, 1000 m s.l.m.
«L’idea di raccogliere il materiale per allestire questo piccolo museo era venuta nel 1991 ai ragazzi del convitto di Stroppo, continuata poi dalle maestre Lucia e Adriana Abello con i ragazzi delle elementari di Dronero nel 1994/95», spiega Roberta.

Il museo è in due piccole stanze: la prima raccoglie materiale scolastico dalla fine dell’Ottocento agli anni Settanta. Fa eccezione il quaderno di latino di Andrea Einaudi, studente nel collegio di Saluzzo nell’anno 1839/40: un cognome famoso, come quello del primo presidente della Repubblica italiana, nato a Carrù nel 1874, ma figlio di Lorenzo, nato proprio a San Damiano Macra.
Tra il materiale d’epoca, salvato dall’erosione del tempo, ci sono pagelle, quaderni neri con filo rosso, carta assorbente, registri, documenti di insegnanti, fotografie di classi con i bambini che fermi accanto alla maestra fissano l’obiettivo.

Sono esposti i lavori di ricerca degli scolari degli anni Duemila che hanno ricostruito la vita dei loro nonni, e dei nonni dei nonni, quando la valle era molto abitata, tanti i ragazzini che andavano a scuola con maglioni e calze di lana, immaginiamo filata dalle madri che allevavano le pecore sambucane. Ai piedi “costantemente bagnati”, scrivono, gli zoccoli.
Venivano a scuola dalle undici borgate di Stroppo, case arrampicate sul versante soleggiato della valle, quello settentrionale come San Martino, l’ultima borgata prima del vallone di Elva.
Non c’era televisione, non si leggevano giornali. Per imparare a conoscere e ad evitare i pericoli c’erano, appesi nelle aule, i manifesti dell’Inail, testimoni di un mondo scomparso. Grandi, con figure colorate di bambini e ragazzi in situazioni della vita di ogni giorno ma potenzialmente pericolose. Un grande sole e l’avvertimento di evitare un’insolazione; coprire gli occhi per non essere accecati dai chicchi di grano durante la mietitura; fare attenzione ai calci delle bestie; non toccare le bombe nei campi; non legare al polso la corda che tiene un animale; non cadere dagli alberi… E anche i primi consigli su come affrontare l’incontro tra pedoni e auto.
Colpisce la grafia accurata frutto di lunghi e faticosi esercizi forse indispensabili in un tempo senza computer e stampanti.

In una vetrinetta il volume dell’atlante geografico “muto” del 1913, senza nessuna indicazione per allenare gli allievi a riconoscere e indicare paesi, montagne, città.
Nella seconda stanza è ricostruita un’aula con i banchi di legno a due posti con sedile reclinabile, il foro per il calamaio in ceramica, il gancio per la cartella a lato. Sopra libri, pennini, e incredibili cartelle… di legno; dietro la cattedra appesi i grembiulini neri con il grande fiocco blu. Pendono dai muri, accanto alle carte geografiche, le foto del re Vittorio Emanuale III e del generale Armando Diaz.
Daniela Bruno di Clarafond

L’escolo de mountanho, Borgata Paschero, 12, Stroppo. Visite scuole su prenotazione, Municipio di Stroppo, tel. e fax 0171 999112.

Genepì

nizza Di fiore in fiore Genepì, la più piccola delle Artemisie per un grande liquore.

È una pianticella di Artemisia, della famiglia delle Composite, che cresce spontanea ad alte quote in montagna e si sviluppa nei pascoli sassosi tappezzando con ciuffi argentei gli impervi dirupi alpini fino ai 3000 metri delle nostre Alpi Marittime e Cozie. Difficile raccoglierla per l’irraggiungibilità dei siti e, giustamente protetta da normativa, vien utilizzata da abili montanari che ne tagliano le sommità fiorite, riunite in forma di spiga color giallo, con un coltellino a roncola che non ne danneggi il minuscolo apparato radicale così da evitare l’estinzione di questa preziosa specie. Ritualità questa che rimanda ad altre storie – come la raccolta del vischio col falcetto d’oro da parte dei Druidi – a connotare un autentico rispetto verso la natura che si esprime nella sacralità del gesto di chi ad essa si accosta per farla propria.

In Piemonte e in Val d’Aosta, per tradizione, è la base dell’omonimo liquore: il Genepì, amaro-tonico dal sapore particolare di fresca e intensa gradevolezza, ottima bevanda alcolica come aperitivo e vermouth, sia per stimolare l’appetito sia come digestivo. Un tempo, preziosamente serbato in tutte le case per la stagione invernale, era ritenuto indispensabile per combattere il freddo ed evitare il congelamento. Dato l’uso familiare, le ricette tramandate per la preparazione del Genepì variano una dall’altra per tempi, dosaggi e impieghi della pianta, pur rimanendo costanti i principali componenti del liquore: fiori e foglie, freschi o seccati, alcol a 95°, acqua e zucchero. Dalla narrazione degli anziani il Genepì era poi ritenuto un eccellente rimedio per il cosiddetto ‘mal di montagna’, che, negli individui sensibili alle altitudini più elevate, si manifestava con sintomi di vario tipo quali nausea, vertigini e giramenti di testa. Le varietà lessicali più usuali da noi sono ‘genepin’, a Limone ‘èrba argenta’ e a Entracque ‘argentina’.

Il Genepì è la più piccola delle Artemisie, nella botanica popolare distinte anche in ‘mascle e fumela’ cioè maschio e femmina, di cui si contano numerose varietà pregiate per tisaneria e liquoristica, tra cui le ‘pontica’, ‘glacialis’ e ‘absinthium’.
Quest’ultimo, comunemente nota come Assenzio, fin dall’antichità, per le sue apprezzate proprietà terapeutiche, veniva offerto in premio ai vincitori delle gare fra le quadrighe in Campidoglio (Plinio). Anche detto ‘Erba Santa’ in quanto dispensatore di salute e virilità nonché dell’incorruttibilità materiale e spirituale, ancor oggi ci accompagna nei nostri brindisi con l’ormai millenaria esclamazione: ‘Alla salute!’ o ‘A la santé!’. D’altro verso, come emblema di amarezza esistenziale espressa nel metaforico“amaro come l’assenzio”, ha dato il proprio nome ad una bevanda ritenuta intossicante di cui fecero uso celebri letterati e artisti nel primo Novecento per alterare il proprio stato di coscienza a stimolo della creatività. Celebre il quadro di Degas che ritrae individui sotto l’effetto di quella che vien pure menzionata come Erba dell’oblio viste le gravi conseguenze neurologiche originate dal suo uso protratto.

L’Artemisia ‘ vulgaris’ è, tra tutte, la più comune e diffusa, dai monti al mare nei terreni poveri e incolti, lungo i margini di strade o nelle vicinanze di ruderi dove cresce spontanea e vivace, senza nulla chiedere, superando anche il metro in altezza. Molto ramificata, facilmente distinguibile dall’assenzio, già nel suo nome – dall’aggettivo greco ‘artemés’ – sano/integro-, e da ‘artemia’ che significa ‘buona salute’- si connota come pianta medicinale. E, proprio in virtù delle sue riconosciute doti digestive, toniche, regolatrici del sistema nervoso e soprattutto del flusso mestruale, si è guadagnata a buon diritto il titolo di rimedio principe dei disturbi femminili. Erba delle donne e pianta lunare dedicata ad Artemide detta anche Selene o Diana, casta dea della Luna e delle foreste, che per prima l’avrebbe scoperta – secondo la teoria delle segnature- è adatta a risolvere problemi di salute connessi ai liquidi corporei (sangue e linfa). Ma è anche tra le principali erbe di San Giovanni, chiamata anche ‘Corona di San Giovanni’ bruciata scaramanticamente nei falò ‘scacciadiavoli’ durante i riti del solstizio. Presso gli antichi greci veniva utilizzata per curare l’epilessia, detta ‘mal della luna’ forse per la ciclicità sintomatica di questa malattia.
Simbolo augurale di buon viaggio, veniva dipinta sulla portiera delle carrozze come simbolo apotropaico per scongiurare gli incidenti stradali, uso passato poi alle automobili fino al 1930 (Cattabiani). Come ci riferisce l’ Herbarium Apulei del 1481, fin dall’antichità si consigliava ai viandanti di portarne con sé un ramo per non sentire la fatica ed essere protetti durante il cammino, sia in senso fisico che spirituale.

Gloria Tarditi

I meli in fiore, spettacolo da non perdere

fuso La fioritura dei meli, è uno degli eventi naturali che ci sorprendono felicemente ogni anno, tra aprile e maggio a seconda dei luoghi e delle temperature, offrendo agli occhi e al cuore un delicato trionfo di colori e profumi. Meriterebbe davvero di essere considerato un appuntamento da fissare in calendario e da vivere insieme all’aperto nelle nostre meravigliose valli alpine, terre di antiche specie autoctone, così come avviene per esempio in Alto Adige dove, ogni primavera, si fa festa per diversi giorni di seguito.

Lo scenario si apre quando appaiono i primi profumati boccioli per attrarre le api nel loro importantissimo compito d’impollinazione, poi si avvera la magia dello schiudersi de ‘l fiur pumé, il più bello tra tutti i fiori da frutto, con i suoi cinque tondeggianti petali biancorosati lievemente odorosi che svelano, nella loro grazia, l’ imparentamento con le Rosacee. E’ il fiore ‘perfetto’ perché ermafrodita, stami e pistilli nello stesso grembo da cui prende origine il frutto più popolare e amato al mondo: la mela. Per noi ‘puma’ o ‘ pum’, ma anche màira, maj o mèj, e in queste ultime assonanze occitane il riferimento al Maira e alla sua valle diventa un inno al sincretismo arcaico dei tre elementi primordiali: terra acqua e aria.

Ed è proprio lei, la Mela, delizioso frutto mitico di una pomacea comune ma assai remota che, dal paradiso terrestre fino all’icastico logo della Apple, detiene, attraverso i secoli tra storia e leggenda, il primato di frutto paradisiaco. Sessualità e amore, istinto e intelligenza, trasgressione e conoscenza, ambivalente nella duplice accezione di veleno (Adamo ed Eva, la mela di Biancaneve …) e di cura. “Una mela al giorno toglie il medico di torno”, un detto assai diffuso, vanta le virtù benefiche che si possono trarre dall’uso quotidiano di questo frutto, semplice e economico a salvaguardia della salute, per garantirci l’eterna giovinezza.

E non è certo un sacrificio cibarsene spesso, un vero passe-partout nel dolce e nel salato! A tavola non si consuma soltanto fresca ma anche in abbinamento con insalate, formaggi e carni di maiale, grattugiata o saltata, in salsa o frullata. E’ indubbio che la sua fragranza, unita alla consistenza più o meno pastosa, trova la massima espressione nel dolce dove, anche semplicemente cotta al forno, in pastella per frittelle e crêpes, o nell’apoteosi delle golose ricette di torte e marmellate, si sposa a meraviglia con i profumati sapori di cannella, uva passa, scorza di limone e vaniglia.

Delle sue qualità sono più che mai convinti i cultori di questo frutto che, oltralpe, han dato vita ad associazioni come quella dei ‘croqueurs des pommes’ ovvero degli ‘sgranocchiatori di mele’. Loro scopo è far conoscere, anche attraverso degustazioni che mettono in risalto le particolarità e i diversi sapori di antiche varietà del territorio, per preservarle nei ‘frutteti di conservazione’ catalogandole come era già tradizione, fin da fine Ottocento, della Società pomologica di Francia.

Gloria Tarditi

La storia della famiglia Savio

iris La recente inaugurazione della nuova sede del Civico Istituto Musicale nella bella cornice di Casa Savio ci ha stuzzicato la curiosità, abbiamo così rintracciato una discendente della famiglia che ci ha permesso di ricostruire, per sommi capi, la storia della famiglia.

La famiglia Savio è originaria di Cuneo, le prime notizie disponibili riferiscono che l’abitazione era in quella che oggi è via Roma, civico 21, davanti alla chiesa di sant’Ambrogio, nell’ultimo tratto di portici. Siamo a metà Settecento, in Francia regnava Luigi XVI e la Rivoluzione era alle porte, i due capostipite erano tal Bartolomeo Savio (1732-1819) e Teresa Chianale, dalla loro unione nascono sette figli.
Il terzogenito Pietro (1752-1850), conseguita l’abilitazione all’esercizio della professione di “speziale” presso l’Università di Torino, si stabilisce a Dronero in Via Maestra, attuale Via Giolitti, nella casa dove ora è ospitata una parafarmacia, davanti al Municipio.

Pietro Savio sposa Marianna Piassolo (morta nel 1845), figlia del notaio Alessandro Piassolo, Segratario della Città di Dronero. Dei quattro figli di Pietro e Marianna, il terzogenito Carlo (1813-1880) esercita come il padre, la professione di farmacista. E’ finito il sogno napoleonico e siamo in pieno Risorgimento, Carlo Savio sposa Caterina Denina (1818-1909) dalla quale ha sei figli.
Il secondogenito di Carlo e Caterina, Pietro(1840-1913), divenuto poi prefetto del Regno a La Spezia, Genova, Ascoli Piceno e Padova, sposa Teresa Praille (1850-1934) dalla quale ha cinque figli (due femmine e tre maschi), di questi abbiamo recuperato una bella foto scattata nel cortile di casaSavio, in alto, da sinistra a destra, i figli Anna, Carlo, Mario, Giuseppina ed Alessandro, seduti Pietro e la moglie Teresa
Pietro e Teresa abitano la casa accanto alla Confraternita, forse avuta in eredità dal padre e dalle sorelle Piassolo, cioè dalla famiglia materna di Pietro.
I figli maschi non proseguono la discendenza e la famiglia si estingue. Il figlio Mario Savio (1880-1971) ingegnere, residente a Genova, erede di casa Savio, nel 1958 fa donazione della stessa alle Opere Pie Gattinara Roascio.

La casa viene venduta dalle Opere Pie al Comune di Dronero che utilizza il fabbricato delle carrozze come sede del Centro Giolitti, mentre il corpo della casa diventa sede del Centro Sociale, a piano terreno, e ufficio del Giudice di Pace, negli altri due piani.
Quando l’ufficio del Giudice di Pace si trasferisce a Cuneo arriva il Civico Istituto Musicale ed arriviamo così ai giorni nostri.

MM

L’Istituto musicale a Palazzo Savio

musica Il Civico Istituto Musicale di Dronero a Palazzo Savio

Si trasferirà nella sede che ospitava il Giudice di Pace
De Andrè scriveva in una sua canzone:“Pensavo è bello che dove finiscono le mie dita debba in qualche modo incominciare una chitarra”. Con queste parole, meglio di chiunque altro, De Andrè raccontava il legame profondo che vi è tra l’uomo e lo strumento musicale: attraverso i tasti di un pianoforte o le corde di un violino l’uomo riesce a esprimere sentimenti nascosti, nati solamente con l’aiuto della musica.
Ogni cosa ha le sue regole anche una forma artistica. Sono proprio quelle regole , come la corretta posizione delle mani sullo strumento o la giusta lettura del linguaggio musicale, che permettono ad ognuno di noi di diventare piccoli artisti.
L’apprendimento di quelle regole è lo scopo delle scuole di musica come l’Istituto Civico Musicale di Dronero, che oramai da quasi trent’anni accompagna chiunque desideri nel fantastico mondo della musica.
In occasione del futuro spostamento in via XXV Aprile 14, noto Palazzo Savio, abbiamo incontrato il Vice Sindaco e Assessore alla Cultura Giampaolo Rovera e la direttrice dell’Istituto Rosmarie Braendle.

Intervista a GianpaoloRovera, Vicesindaco di Dronero


Come è nata l’idea di trasferire l’Istituto Civico Musicale ?
Tutto è iniziato due anni fa quando la signora Goletti ci contattò per comunicarci l’intenzione di donare gli strumenti del marito, il signor Giovanni Battista Goletti, al Comune. La signora Goletti aveva piacere che il luogo scelto per l’esposizione fosse adatto a far nascere diverse iniziative intorno alla donazione.
Inizialmente le avevamo prospettato la sala “Conciliatura” oppure la sala polivalente del Teatro. Poi venuti a conoscenza del trasferimento dell’ufficio del Giudice di Pace a Cuneo e,quasi contemporaneamente,decisa la convergenza della Direzione Didattica nell’Istituto Comprensivo, operazione che avrebbe privato l’Istituto Musicale dei locali che normalmente utilizzava, abbiamo proposto alla signora Goletti la sede di Palazzo Savio, come luogo dove poter esporre gli strumenti.
Accettata la proposta e concluso l’atto di donazione abbiamo potuto coronare il sogno di dare una sede definitiva all’Istituto Musicale e ad intitolarlo al suo fondatore ed ex Sindaco di Dronero “Gianfranco Donadio”.Nuovo sarà anche il logo che lo rappresenterà come, nuovo, sarà il logo del Centro Sociale d’Incontro.

Quando prevede l’inaugurazione?
Il palazzo è stato ristrutturato 30 anni fa. ma i lavori non sono mai stati terminati. Alcuni locali hanno bisogno di essere tinteggiati e in particolare l’androne delle scale. Dato che il palazzo è seguito da una sovrintendenza, per la tinteggiatura abbiamo richiesto un preventivo da una ditta accreditata dalla stessa. Questo ha ritardato molto l’inizio dei lavori al quale si aggiungerà un periodo per allestire la mostra.
Speravamo nell’inaugurazione con l’inizio delle lezioni dell’Istituto ad ottobre. I locali però per quella data non saranno ancora pronti quindi, a malincuore, abbiamo scelto di posticipare l’inaugurazione nel periodo di Natale, con un saggio musicale, dando l’occasione ai cittadini di poter vedere il palazzo in tutta la sua bellezza.

Il circolo sociale incontri ( A.C.L.I ) avrà ancora la stessa sede?
Si, il Circolo Sociale d’Incontro avrà la stessa sede, anzi spero che con la vicinanza dell’Istituto Musicale possano aumentare i fruitori di questo centro. A partire da quest’anno oltre al corso di scacchi inizierà , sempre in quei locali, un corso di dama.
L’unione tra l’istituto civico musicale e il centro sociale d’incontri potrebbe permettere in futuro di realizzare dei laboratori di musica per anziani.
Per far nascere nuove iniziative stiamo partecipando a diversi bandi della Regione e anche delle Fondazioni Bancarie, e con lo spostamento di alcuni mobili da casa Mallè a Palazzo Savio, si è voluto evidenziare in particolare nei bandi il collegamento tra questi due edifici storici.
Infine il Marcovaldo ci ha prestato delle teche e delle bacheche espositive che utilizzeremo per la Collezione Goletti .

Pensate di valorizzare questo importante investimento culturale con eventi musicali o culturali in genere?
Sicuramente. In particolare cercheremo di valorizzare al meglio il cortile, attualmente utilizzato dall’A.C.L.I., abbellendolo con fiori e siepi. Questo cortile interno è circondato dalle mura delle case, e quindi nel totale silenzio sarà un luogo perfetto per i concerti. Alcuni di questi, stiamo pensando con la direttrice dell’Istituto di realizzarli anche sull’antica balconata delle vecchie mura della città.
All’interno di casa Savio sono presenti diversi salotti. Anche questi verranno utilizzati per eventi musicali, magari nel pomeriggio, accompagnati da una buona tazza di thè.

 

Intervista a Rosmarie Braendle, Direttrice Istituto Civico Musicale di Dronero


Dalla Svizzera all’Italia, per l’amore della musica si è trasferita nel nostro paese, le andrebbe di parlarcene?
Sono venuta in Italia nel lontano 1979. L’anno precedente mi ero diplomata in pianoforte al Conservatorio di Winterthur, ma la passione per la musica ed il desiderio di migliorare la preparazione pianistica mi spinsero a continuare gli studi. Ero l’ultima diplomanda della mia professoressa e dovevo cercarmi un nuovo insegnante. Ho avuto la fortuna di incontrare la prof.ssa Arcuri e dopo un anno di viaggi tra Svizzera e Italia mi sono iscritta al Conservatorio “Niccolò Paganini” di Genova. Proprio qualche settimana fa abbiamo avuto l’onore di avere questa grande insegnante come ospite dell’Isola dei Libri a Dronero.

Quando è iniziata la sua avventura all’Istituto Civico Musicale di Dronero?
Nell’anno di apertura, ovvero nel 1987, chiamata dal professor Bissi, cofondatore e allora direttore dell’Istituto. Ero felicissima perché è stato il mio primo lavoro in Italia. Posso dire che ho visto nascere questa scuola e ho insegnato pianoforte per tutti questi anni.
Nel 2011 sono stata incaricata anche della direzione dell’Istituto.

A partire dall’anno in cui è diventata direttrice, è cambiato qualcosa ?
Abbiamo ampliato l’offerta dei corsi inserendo strumenti come la chitarra e il basso elettrico, canto moderno, contrabbasso e tecnica vocale. Inoltre abbiamo cercato una formula meno costosa per i corsi strumentali per bambini della scuola elementare e per i ragazzi delle medie che vogliono provare a suonare uno strumento. Queste iniziative hanno portato ad un buon incremento delle iscrizioni che purtroppo negli ultimi hanno immancabilmente risentito della crisi economica.
Grazie all’appoggio dell’Assessorato alla Cultura mi è stato possibile promuovere dei concerti. È nata così una piccola stagionane concertistica che si svolge nei mesi invernali, l’ultima domenica del mese, i “Pomeriggi Musicali”. Questa iniziativa ha riscosso un buon successo ed il pubblico è aumentato di anno in anno.
Un altro appuntamento fisso è diventato il corso pianistico e di espressione corporea, quest’anno siamo giunti alla 5ª edizione, si svolge i primi giorni di luglio e si apre sempre con una conferenza – concerto, della docente di turno, sulla vita e le musiche di un grande compositore.

Si sta avvicinando il trasferimento nella nuova sede, ha voglia di darci qualche notizia?
La nuova sede si trova nel centro storico in un angolo molto pittoresco, vicini il centro Giolitti e la Chiesa della Confraternita. Si tratta di Palazzo Savio, già sede degli uffici del Giudice di Pace. Abbiamo a nostra disposizione due piani. Al primo piano ci sono dei bellissimi salotti dove verrà allestita l’esposizione di strumenti musicali della collezione “G.B. Goletti”, strumenti che comunque saranno anche utilizzati per le lezione di musica.
L’idea che ho in mente è quella di sfruttare questi locali per proporre concerti di Musica da Camera, per vivere e gustare la musica in un atmosfera più intima e familiare, simile ai salotti delle nostre case.
In particolare spero che l’Istituto musicale acquisisca una nuova immagine, dove la musica sia soprattutto cultura e piacere, superando così l’impostazione puramente didattica che ha l’attività nell’attuale sede.
Il palazzo dispone inoltre di un bellissimo giardino e ci piacerebbe utilizzare anch’ esso per incontri musicali e momenti di convivialità.

Quali corsi è possibile seguire all’istituto?
Ci sono corsi per tutte le età. Abbiamo corsi di propedeutica musicale per bambini dai 3 ai 10 anni, corsi strumentali dai 8 anni in sù e offriamo anche la possibilità di seguire i corsi di strumento con i programmi pre – accademici dei conservatori, comprese le materie complementari. Proponiamo gli strumenti più diffusi come pianoforte, chitarra, flauto, violino, clarinetto, batteria, ma ci sono anche arpa, mandolino e ghironda. Siamo disponibili ad aprire nuovi corsi su richiesta e un numero minimo di iscritti.
Novità di quest’anno sono due corsi rivolti a mamme e bambini; uno per donne in dolce attesa che attraverso la respirazione e la vibrazione della voce possono mettersi in relazione con il proprio corpo e con il nascituro. L’altro è per bambini da 0 a 36 mesi che prevede un tuffo nel mondo della musica insieme a un genitore o un’altra persona che abbia un forte legame affettivo, per stimolare in modo del tutto naturale la comunicazione attraverso movimenti, ritmi e canti.

Famosi direttori d’orchestra hanno espresso le proprie lamentele sull’insegnamento della musica nelle nostre scuole, spesso facendo riferimento all’inutilità del cosiddetto “ piffero”. Lei , in quanto insegnate di pianoforte alla Scuola Media di Busca, che cosa ne pensa?
Effettivamente lo studio del flauto dolce è una pratica molto diffusa e non sempre è apprezzata dagli alunni. Il flauto diritto era molto usato fino al periodo Barocco. Infatti esistono concerti per flauto dolce e orchestra molto belli e virtuosistici. Erano strumenti costruiti in legno mentre oggi, per motivi economici e di praticità, vengono prodotti in plastica: già solo questo fatto sminuisce il suo valore e la qualità del suono.
E’ bello avere delle nozioni di musica e ascoltarla, ma la cosa più coinvolgente ed educativa è sicuramente praticarla. L’uso del flauto dolce in questo senso può essere giustificato perchè per tanti rimane l’unica esperienza diretta con la musica, permette di suonare tutti insieme e inoltre ha un costo molto basso. Per cambiare questa impostazione dell’educazione musicale servirebbe un grosso investimento da parte dello Stato, perché le scuole non dispongono di sufficienti risorse economiche.
Ma oltre le tante Scuole di Musica quali gli Istituti Musicali, i Licei Musicali e i Conservatori, esiste da 40 anni, nella scuola Media italiana, un corso ad indirizzo musicale che permette agli alunni di imparare a suonare uno strumento. A Dronero è stato attivato tre anni fa, e, insieme all’attività del Civico Istituto Musicale, rappresenta una grande opportunità per il paese.

Se dovesse far apprezzare la musica classica ad una ragazza o un ragazzo di vent’anni, quale compositore gli consiglierebbe?
I giovani di oggi ascoltano molto poco musica classica ed è sicuramente un compito della scuola avvicinarli a questo mondo. Ma a parte le attività didattiche nella scuola disponiamo di mezzi che rendono molto facile l’accesso ad una quantità incredibile di registrazioni, cd e video. Importante è l’utilizzo dei brani di musica classica nelle colonne sonore dei film o delle pubblicità televisive, che facendone largo uso, permettono a chiunque di iniziare l’ascolto .
Se dovessi portare una ragazza o un ragazzo a sentire un Concerto cercherei un programma contenente dei brani non troppo lunghi e non troppo impegnativi , e magari di un compositore famoso o comunque famigliare: tra i classici direi sicuramente Mozart e tra i romantici opterei per Schubert e Chopin.

Andrea Battistoni, giovane direttore d’orchestra italiano, alla trasmissione “Che Tempo che fa” ha stilato una sua lista di 5 sinfonie più semplici e divertenti al primo ascolto. Le andrebbe di stilare una sua personale lista?
Ai tempi della scuola media ci fecero vedere un filmato basato sulle “Quattro stagioni” di Vivaldi abbinato a un video sulla natura. Un connubio che mi entusiasmò molto ed è sicuramente un modo per avvicinare i giovani alla musica. Ma anche il Flauto Magico di Mozart con la dovuta preparazione, una delle Sinfonie londinesi di Haydin e la Nona Sinfonia del compositore ceco Antonin Dvorak detta anche “Sinfonia del nuovo mondo”. Infine ci sono brani più spettacolari come il “Volo del Calabrone” di Rimskij Korsakov o la “Campanella” di Liszt che stupiscono per le difficoltà tecniche.

Alessandro Monetti

ll Clandestino sfrattato

clandestino Le motivazioni per vivere in un paese piccolo sono tante: dalla qualità della vita, al paesaggio, al senso di sicurezza che deriva dal conoscere bene il proprio territorio. Pensiamo di poter percepire ogni minimo movimento intorno a noi, invece, anche in un piccolo paese come il nostro, ci sono sempre delle nuove scoperte, tra queste, il Circolo Culturale Clandestino.

Questo circolo, con alle spalle 22 anni di attività, propone svariati eventi culturali: prove aperte di gruppi dell’underground musicale cuneese, laboratori di teatro contemporaneo, djset di musica elettronica, convegni, mostre e readings. Ogni socio è il vero protagonista con le sue iniziative.
In data 11 novembre giunge al presidente del Circolo Culturale Clandestino una lettera inviata dal comune di Dronero nella quale si richiede di liberare i locali utilizzati dal circolo nella frazione di Tetti. Il Comune, nella lettera, fa riferimento alla necessità di lasciare a disposizione gli spazi condivisi con il circolo, al Consorzio Irriguo e all’Acli-Pro Loco: l’amministrazione desidera collocarli nella frazione di Tetti visto l’aumento della popolazione residente.

Il direttivo del Clandestino, sempre disposto ad arrivare a compromessi ed alla pacifica convivenza, ha quindi richiesto un incontro con il Sindaco per maggiori chiarimenti , proponendo di limitarsi al solo utilizzo di una stanza, al momento inutilizzata .Come quanto scritto nel comunicato del circolo, durante il colloquio con il sindaco e il vicesindaco è emerso che: “Lo spazio in più richiesto dalle associazioni della frazione Tetti sarà adibito ad archivio”. Inoltre “la sede costa troppo, il riscaldamento in particolare, è un costo che il Comune non vuole più sobbarcarsi, specie dopo aver ristrutturato dei locali in Dronero destinati ad accogliere le attività delle molteplici realtà associative presenti sul territorio dronerese.”
Il circolo quindi ritornerà, secondo la decisione del vicesindaco, nei locali del Teatro Iris: sede storica del circolo Clandestino dal 1992 al 2004. Il Clandestino si è dato disponibile ad eventuali miglioramenti dei locali con la raccolta fondi attraverso il tesseramento, l’organizzazione di un’asta e altre iniziative. Per maggiori informazioni consultare il sito

Nel passato il circolo Clandestino è stato meta rinomata per i giovani amanti della cultura e delle novità artistiche. Con il passare degli anni numerose amministrazioni comunali non hanno ritenuto il Circolo un valido interlocutore per le loro politiche culturali, da qui lo scarso interesse a promuovere le iniziative del Clandestino.
Speriamo che l’adeguata collocazione del circolo ,venga presa come buon proposito per il prossimo anno da parte dell’amministrazione . Buon proposito speriamo anche da parte dei cittadini che avranno la possibilità di partecipare a numerosi eventi, semplicemente contattando il Circolo Culturale Clandestino.

Alessandro Monetti

Mostra las barbòiras del Vilar

barboiras Inaugurata sabato 28 giugno presso la sede di Dronero dell’Associazione Espaci Occitan, in via Val Maira 19 (ex caserma Aldo Beltricco), la mostra temporanea “Las Barbòiras del Vilar” -dedicata al Carnevale di Villaro di Acceglio la cui ultima edizione risale al 1991 – ha chiuso a fino alla fine di agosto. Verrà poi trasferita ad Acceglio, in accordo con l’Amministrazione comunale del paese dell’alta Valle, dove troverà la sua collocazione definitiva.

Le opere, realizzate dagli artisti droneresi Piero e Sara Benedetto, illustrano i principali personaggi che componevano la grande Compagnia del carnevale accegliese, festa d’inverno ricca di simboli legati alla rinascita e alla fertilità, organizzata per più giorni nelle settimane precedenti la Quaresima.

La mostra, realizzata con materiali di recupero rielaborati artisticamente e adattati a contenere la raffigurazione delle tradizionali “Barbòiras”, i personaggi protagonisti dell’antico rituale carnevalesco alpino dell’alta Valle Maira, è rimasta esposta nei locali di Espaci Occitan e visitabile negli orari di apertura dell’Istituto di Studi fino alla fine di agosto 2014. Esposti anche articoli tratti dalle pagine del giornale “Il Progresso” datate 1912 e 1915 a testimoniare quanto fosse importante per la comunità di Villaro il Carnevale.

Frutto di un lavoro di ricerca compiuto nel 2010 sui carnevali alpini, l’idea progettuale, ammessa a contributo sul bando Esponente 2013 della Fondazione Cassa di Risparmio di Torino, è stata realizzata in continuità agli interventi promossi da Espaci Occitan in favore della valorizzazione e tutela del patrimonio culturale sostenuti dall’Assessorato alla Cultura della Regione Piemonte.

RD

I diritti degli animali

animali Il Prof. Luigi Lombardi Vallauri, professore ordinario di Filosofia del diritto nell’Università di Firenze e Presidente Onorario della Società Italiana di filosofia del Diritto, ha tenuto, Sabato 23 Agosto, una Conferenza sulla Questione Animale presentando la sua ultima fatica, un trattato di Biodiritto scritto insieme alla collega Silvana Castiglione.

Articolata e molto erudita l’esposizione del Professore che ha parlato ad un pubblico di non addetti ai lavori di argomenti profondi, con cui ogni giorno la vita di ognuno di noi si confronta, perchè la nostra vita e la vita degli animali cammina insieme da sempre.
Il Professore è partito dalle ragioni dell’animalismo, cioè di quel movimento culturale che difende e protegge la vita degli animali. Il relatore ne ha elencate cinque.

La prima, la Bellezza. Gli animali sono una sorta di “bene ambientale” e come tali vanno salvaguardati e tutelati, così come si tutela un quadro antico o una chiesetta romanica.
La seconda, la Pietà. La sensazione di paura che prova una gazzella nella savana alla vista di un leone non è molto diversa da quella che prova un impiegato alla vista del proprio capoufficio. Usa proprio questa analogia, il Professor Lombardi, per rimarcare come gli animali siano soggetti senzienti, cioè esseri dotati della capacità di sensazione, che soffrono, godono, ed hanno bisogno di affetto. Anche se manca loro il linguaggio simbolico, hanno però una loro soggettività, quindi vanno aiutati e tutelati. Proprio da questo sentimento di pietas trae origine una delle ragioni all’animalismo.
La terza, l’Umanità. Proprio dall’Umanesimo e dalla coscienza dei suoi principi nasce uno slancio ideale teso a proteggere l’uomo dal disonore dei suoi cattivi comportamenti nei confronti degli animali.
La quarta, la Spiritualità. La dottrina della non violenza si applica anche ai comportamenti degli uomini verso gli animali.
La quinta ed ultima, la Superiorità dell’uomo. Noblesse oblige, più l’uomo si ritiene superiore, maggiori sono i suoi doveri, non i privilegi, tra questi anche il dovere di rispettare gli animali, proprio in quanto esseri inferiori.

A seguire una sintesi dello stato della legislazione relativa ai diritti degli animali.
Giuridicamente se gli anni 70-90 sono stati gli anni dei diritti avanzati: divorzio, aborto, statuto dei lavoratori, cioè anni in cui la legislazione ha subito importanti cambiamenti per inglobare questi nuovi diritti. Gli anni dal ’90 al ’10 sono stati gli anni del diritto animale, anni in cui il diritto ha preceduto la coscienza sociale, la legislazione dell’Unione Europea è quella tra le più avanzate al mondo.
Il Trattato di Lisbona, articolo 13 afferma: “l’Unione e gli Stati membri tengono pienamente conto delle esigenze in materia di benessere degli animali in quanto esseri senzienti”
L’art. 544 del nostro codice penale prevede il carcere per chi uccide un animale senza necessità, così come a chi infligge maltrattamenti. Purtroppo, come spesso accade, ai princìpi si deroga, proprio con questa finalità è stato promulgato, sempre nel nostro codice penale, l’Art. 19, che prevede che le disposizioni dell’articolo precedente non siano applicabili nei casi delle leggi speciali in materia di caccia, di pesca, di allevamento, di trasporto, di macellazione degli animali, di sperimentazione scientifica sugli stessi, di attività circense, di giardini zoologici. Purtroppo con questa scappatoia si riesce a giustificare più o meno tutto. Ma la società sta cambiando e la sensibilità verso gli animali e le loro condizioni di vita sta sensibilmente crescendo e di questo devono sempre più tenere conto i giudici nell’interpretazione della legge. E’ con queste parole di speranza che il Prof. Luigi Lombardi Vallauri chiude la sua interessante conferenza.

Massimo Monetti

La presenza riformata in Dronero fra ‘500 e ‘600

coppelle Note a proposito delle “terre infette d’heresia” nel Marchesato di Saluzzo
di Gianpaolo Giordana

Fra le pagine di storia dronerese forse meno note o dimenticate, a dispetto del-la notevole diffusione della monumentale opera del barone Giuseppe Manuel di San Giovanni (1), poi ristampata meritoriamente dal periodico“Il Drago”, dovrebbero avere un posto di particolare importanza quelle riguardanti la consistente presenza riformata a partire dalla seconda metà del ‘500.
Benché fosse stata posta bene in luce e, direttamente o indirettamente, anche ben documentata da numerosi studiosi dei secoli passati, sia storici di parte protestante che missionari cappuccini, essa venne poi come rimossa, nemmen troppo inspiegabilmente dimenticata ed infine destinata all’oblio, relegata fra la polvere ed il sommario ordine (durato per troppi decenni) degli archivi civici e parrocchiali.
Buon per noi che altri studiosi, dal valdese Arturo Pascal (2) al frate cappuccino Mariano Biamonte (3), abbiano non solo iniziato a soffiare sulla polvere cominciando a restituirci frammenti importanti e tutt’altro che disonorevoli della nostra storia, ma abbiano altresì contribuito a darci di quei lontani eventi una visione organicamente inserita nel contesto europeo ed italiano del tempo, bellicoso e violento, carico di rancorose rivalse e segnato da reciproche e insanabili intolleranze tra i contendenti, papato e sovrani cattolici da un lato, nuove chiese riformate, principi e sovrani protestanti dall’altro.
È proprio in quel contesto non privo di toni da crociata, spesso sinistramente segnato e illuminato dalle torture e dai roghi della “santa Inquisizione”(4), che si snodano le vicende tribolate della comunità riformata di Dronero. Per meglio inquadrarle e per cercare divalutare –quasi intuire– la vita, i pensieri ed il coraggio di quei nostri lontani concittadini, poche pagine valgono meglio e sono più efficaci di quella sinteticamente riassunta di seguito, tratta (come i documenti pubblicati in appendice) dalla Tesi di Laurea del già citato Mariano Biamonte (5):

“Nel periodo della riforma protestante e della controriforma e restaurazione cattolica, l’intolleranza appariva una cosa ovvia; … si era creata una mentalità collettiva che considerava logica ogni azione contro il nemico della propria religione. Per quanto riguarda la Chiesa Cattolica tale atteggiamento nasceva dalla convinzione di possedere la verità assolutae immutabile …
La riforma della Chiesa dovette attuarsi in una atmosfera di lotte spesso tragiche … la Chiesa postridentina è una chiesa di battaglia … quindi sarebbe antistorico immaginare che i Cappucini sorti proprio nell’ambiente intransigente della Restaurazione Cattolica, avvicinassero gli eretici con mentalità aperta … l’eretico che se ne era allontanato (dalla chiesa romana) e persisteva nei suoi errori, era un traditore, un dannato, un qualcosa di ripugnante da evitare e perseguire senza posa … Non esisteva libertà religiosa; il singolo non poteva scegliere. Quindi, per l’eretico restava solo un’alternativa: o ritrattava i suoi errori, ovvero veniva scomunicato e perseguitato dall’autorità civile con la confisca dei beni, l’esilio, la privazione della libertà e non raramente della vita stessa.
Tutti i mezzi, anche la morte, erano considerati “buoni” per riuscire a strappare una ritrattazione”.
Fu in questo clima, dunque, di rigida intolleranza da ambo le parti ma in cui una delle due –la cattolica– godeva nell’Italia e nel Piemonte del tempo di posizioni immensamente più vantaggiose (derivanti dal totale appoggio del potere sia civile che religioso) che ebbe inizio e che poté svilupparsi lungo un arco di molti anni la Riconquista cattolica delle Valli eretiche del Piemonte, in particolar modo delle cosiddette “valli valdesi” (Val Pellice, Val di Pragelato e Val Germanasca o di San Martino), della Castellata (l’alta Val Varaita) e di parti spesso importanti delle Valli Stura, Grana, Maira, Po e Dora Riparia (l’alta valle di Susa), tutte di lingua e cultura occitana.
I primi passi dell’azione dei missionari cappuccini datano a partire dal 1595, ma si dovrà attendere spesso la fine del 1600 ed oltre perché la presenza della “peste heretica”, e con lei la presenza organizzata del movimento riformato nella valli cuneesi abbia fine (com’è ampiamente noto, invece, nelle valli torinesi del Pellice, del Chisone e della Germanasca tale presenza perdura tuttora, mentre nell’Alta Valle di Susa (o della Dora Riparia), dopo periodi di rigogliosa presenza, le ultime presenze riformate scomparvero soltanto intorno al 1730 (6).
Tuttavia, in modo appartato e discreto ma talvolta rigidamente clandestino, esse continuarono a manifestarsi, con modalità diverse e forse prive di collegamenti visibili, in forme più o meno consapevoli ma talora non trascurabili di presenze ed in comportamenti (7) “protestanti” che si protrassero bel oltre, ancora nel 1800 inoltrato e dopo (8)

cappuccini

Tanto più significativa appare allora alla fine del ‘500, quando più appariva poderosa ed attrezzata la macchina da guerra della Controriforma, la presenza riformata in Valle Maira, massime a Dronero (cui si riferisce la trascrizione dei documenti sotto pubblicati) e ad Acceglio, benché sia lecito supporre che soltanto poche comunità valligiane fossero state risparmiate dalla “peste heretica”.
La “piccola Ginevra” (come venne definita la città di Dronero, altrimenti detta dalla parte avversa “l’antico dragone del male”) giunse a contare oltre tremila riformati (8), all’incirca la metà, forse più, della sua popolazione. Una cifra assai elevata, comprendente cittadini di ambo i sessi e di ogni censo, originari del posto o di origine forestiera, (9) e che, forse percentualmente inferiore a quella di altre località del Marchesato e della stessa Valle Maira (ad esempio Acceglio, dove negli stessi anni pare rimanesse non più di una manciata di famiglie papiste) ma superiore per densità a quella di tutti i maggiori e più popolosi centri marchionali.
Dagli elenchi appresso pubblicati, appendici ad una lettera al romano pontefice (10) scritta dal missionario cappuccino p. Valeriano Berna da Pinerolo (11)-(12), si può approssimare una valutazione attendibile dell’ampiezza e della capillarità di diffusione delle idee riformate nella nostra cittadina.
Vi troveremo molti nomi di famiglia: di forestieri, quasi tutti, presumibilmente, di origini valligiane (13) e non solo nel senso della Maira, di droneresi e di valmairesi; nomi di famiglia estinti ed altri ancora in qualche modo esistenti: nomi sicuramente rarefatti a partire dagli anni successivi, quelli delle coercizioni e dei soprusi, delle violenze papiste e dell’esilio; nomi indicanti vuoi il mestiere del capofamiglia (Armorero, Pichaper, Mercante,), vuoi il villaggio di origine (Verneto, Ussoglio, Tollosano, Tenda); nomi, infine, tuttora presenti e che nella maggioranza dei casi marcano una evidente origine valligiana (Abello, Bruna, Bernardi, Colombero, Finello, Fresia, Gauterio, Giolitti, Marino, Resplendino, Rosana, …).

mura

Proprio grazie ad alcuni di questi ultimi nomi potrebbero aprirsi altre pagine di storia locale, se solo si trovasse qualcuno disposto a scavare nei registri dello stato civile ed in quelli parrocchiali per decifrare certi movimenti di popolazione in qualche modo rapportabili ale vicende politico-religiose del tempo ed ai flussi e riflussi della “riconquista cattolica”. C’è da augurarselo per il futuro, a partire dalle vicende della emigrazione seicentesca (se si preferisce dell’ esilio o della cacciata) di buona parte della comunità di Acceglio che, pochi anni dopo i correligionari droneresi, ebbe a vivere esperienze ancor più dure, tragiche e definitive (14).

I segni sul ferro

foto Una carrellata sulle fotografie di Giorgio Ioshi Rivoira ci trasmette la sensazione di essere in una galleria che espone installazioni di “arte povera”.

Gli stracci di Pistoletto o gli alberi graffiati di Penone, le statue di Cattelan infilate nel cemento o le ultime opere di Ron Arad esposte alla Pinacoteca Agnelli, con le “500” schiacciate per imitare un erbario di fiori pressati , hanno ormai preparato la nostra sensibilità a varcare il limite del consueto, dell’univoco per cercare nuove sfumature e nuove voci di bellezza, di poesia, di linguaggio. Giorgio Ioshi vuole accompagnarci attraverso il territorio a guardare con occhi nuovi, per l’appunto, ciò che assai meno noti artisti hanno creato, dando in pasto alla Natura i loro mezzi di metallo colorato ormai inservibili: automobili di tutte le specie, furgoni, locomotrici, roulottes che essa ha provveduto pietosa a trasformare, regalando… segni sul ferro, moquette di erbe fini, spruzzi di ruggine, grovigli di rovi e infilando aria tra i finestrini e i diversi piani come nei tagli di Fontana! E visto che nell’installazione spesso il visitatore ha un posto importante, ecco che imprevedibili abitanti, gatti, cani e lucertole, si lasciano fotografare negli abitacoli logorati da una prima vita ma divenuti palazzo per le loro sieste tranquille. Le macchie di colore e le forme ammorbidite dal passare del tempo, i malinconici ricordi e l’umorismo leggero sono specchio fedele e quasi concentrato di una vita che passa troppo in fretta e cambia, cambia. Una mostra quella di Giorgio Ioshi che sarà anche uno stimolo per il dialogo tra i visitatori: impossibile guardare quella vecchia Cinquecento o quel camion e non raccontarsi momenti indimenticabili, o guardare la locomotiva abbandonata sul binario e non pensare a viaggi anche solo sognati! Una esperienza da leggere in infinite maniere, non ultima anche una visione ecologica di condanna per chi ha abbandonato, furtivamente, oggetti usati che non gli servono più, “creature” che parevano avere un’anima nel momento della corsa gloriosa nel vento!

Nazarena Braidotti